La Grecia è uno dei paesi europei che ha subìto meno l’emergenza sanitaria. Il governo greco ha sfruttato la pandemia per imporre misure favorevoli ai padroni e che, presumibilmente, rimarranno anche dopo. Ora ci si appresta ad affrontare una “nuova normalità”. I quartieri di Atene più colpiti dal virus sono quelli abitati dall’alta borghesia, in cui i controlli polizieschi si sono limitati a raccomandazioni di mantenere le distanze. Nei quartieri popolari invece la polizia ha mandato la celere ad attaccare con lacrimogeni e manganelli le persone che sono tornate a vivere la socialità. C’è stata una risposta di piazza contro la repressione, con migliaia di abitanti e compagni, a cui la polizia ha risposto con 5 arresti. Queste azioni sono state giustificate bollando queste persone come “irresponsabili”.
Mentre il numero dei morti sta velocemente raggiungendo quota 70 mila, il virus e’ arrivato fin dentro la Casa Bianca costringendo alcuni membri della Task Force a mettersi in quarantena. Intanto alcuni media hanno rivelato come l’amministrazione Trump abbia ostacolato la pubblicazione di un documento creato dal Centers for Disease Control and Prevention.
Mi rendo conto che può sembrare strampalato ricevere la lettera di un
virus, ma dal momento che continuate a nominarmi, ho pensato anche io di
dire la mia.
In collaborazione con il collettivo dei media anarchici RadioFragmata, presentiamo il seguente report dalla Grecia sui continui tentativi da parte del Governo che – insieme a imprenditori, polizia e fascisti – cerca di trarre vantaggio dalla pandemia di COVID-19 per intensificare la repressione – e sugli sforzi di anarchici, migranti, prigionieri, lavoratori ribelli e altri per combattere e aprire spazi di libertà.
Questi aggiornamenti sono un adattamento del contributo mensile di RadioFragmata al podcast “Bad News Report” sulle attuali condizioni in Grecia. Speriamo di sensibilizzare su questa situazione e di far convergere più ascoltatori sul podcast stesso; vi raccomandiamo “Bad News Report” e l’Anarchist/Anti-Authoritarian Radio Network nel suo insieme.
Il Covid-19 sarà in mezzo a noi per parecchio tempo. Alcuni diritti diventano difficili da esercitare ma rimangono essenziali. Come faremo a organizzare le proteste? Il caso di New York
«O moriamo di fame, o moriamo di Coronavirus», sintetizza R., un’abitante del campo rom di Cupa Perillo a Scampia, e non c’è molta ironia nella sua voce. Non è l’unica cosa che pensa di questa situazione. Pensa anche che le circa centocinquanta bambine e bambini che frequentano regolarmente la scuola, relegati nelle baracche senza connessione e senza tablet non avranno alcuna possibilità di stare al passo con i compagni della loro età. Pensa ai vecchi che non hanno alcuna forma di reddito, che a stare fermi magari non si ammalano, ma che non possono andare avanti. Pensa a quelli già ammalati. Pensa a chi come lei ha un lavoro che ha subito un’interruzione e non sa se riprenderà, o a chi non ha niente, magari per assenza di documenti, e deve comunque uscire tutti i giorni per pensare alla sopravvivenza per sé e per gli altri. Tuttavia, in maniera disciplinata, spaventati come tutte e tutti su questo pianeta, le norme di chiusura i rom le hanno rispettate alla lettera, senza muoversi. E almeno nessuno si è ammalato di Coronavirus.
Podcast della radio-iniziativa dello scorso 28 aprile
Sono ormai passati due mesi dall’ultima volta che siamo saliti su una cima. Sessanta lunghi giorni in cui, in un modo o nell’altro, abbiamo cercato un’alternativa mentale alla grande passione che ci accomuna.La montagna è “sospesa”, messa in pausa, ma solo per noi. Oltre i muri delle nostre case, oltre i confini e le restrizioni, oltre il lockdown, le montagne cambiano di stagione, selvatiche, libere. Noi intanto viviamo di ricordi, attimi, immagini che hanno formato la nostra comunita’. E ancora una volta proviamo ad imparare, cambiare, osservare. Ancora una volta la montagna ci puo’ aiutare , senza presunzione, anche da quaggiù.
Lo scorso 28 aprile ci siamo concessi un’oretta di trasmissione radio sulle libere frequenze di Radio Onda d’Urto con ospiti, progetti, punti di vista, aggiornamenti dalle sezioni, racconti.. buon ascolto!
Non bastavano le “mascherine tricolori” di Casapound e le mascherine con il simbolo di Fratelli d’Italia. Ora ci sono anche quelle con la faccia di Benito Mussolino stampata sopra. Le produce un’azienda di Verona per i nostalgici fessi.
L’Ecuador è uno dei paesi più colpiti dalla pandemia del Covid-19 in Sud America, una situazione drammatica con immagini che hanno fatto il giro del mondo, come i corpi agonizzanti e i cadaveri bruciati per le strade. Ma dietro questa cruda realtà non c’è un triste destino fatalista, bensì l’irresponsabilità del governo. Un’auto-organizzazione solidale che prende l’eredità della rivolta dell’ottobre 2019 – quando una mobilitazione popolare si oppose contro le politiche neoliberiste di austerità che andavano ad aumentare il prezzo della benzina e ad incidere negativamente sulla qualità della vita della popolazione ecuadoregna – sta provando a coordinare una serie di iniziative dal basso per fronteggiare l’emergenza. Per capire meglio questa delicata fase storica del paese, pubblichiamo un’intervista a Marcelo Jara, membro delle Brigate di Solidarietà Kitu.
Ad inizio aprile il presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Tijjani Muhammad-Bande, ha nominato l’ambasciatore di Rabat all’Onu, Omar Hilale, come facilitatore del processo di rafforzamento delle istituzione relative ai Trattati dei diritti umani delle Nazioni Unite.
Commenti disabilitati su Ad inizio aprile il presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Tijjani Muhammad-Bande, ha nominato l’ambasciatore di Rabat all’Onu, Omar Hilale, come facilitatore del processo di rafforzamento delle istituzione relative ai Trattati dei diritti umani delle Nazioni Unite. Il rappresentante sarà affiancato dall’ambasciatore svizzero come co-facilitatore di questo processo ed entrambe riferiranno, il prossimo settembre, al Presidente dell’Assemblea Generale stabilendo raccomandazioni da esaminare al fine di «valutare e decidere le misure che saranno adottate per rafforzare e migliorare il funzionamento del sistema delle Nazioni Unite sui Diritti Umani». «L’elezione di un rappresentante del Marocco delinea il riconoscimento del progresso e dei risultati del Regno nel campo dei diritti umani, sotto la guida di Mohammed VI» ha affermato il ministro degli esteri, Nasser Bourita. La nomina di Hilole, al contrario, ha creato numerose polemiche a livello internazionale sia da parte di numerose organizzazioni non governative che delle rappresentanze del Fronte Polisario e della Repubblica Araba Democratica Saharawi (Rasd), dopo i numerosi richiami a Rabat da parte del Comitato delle Nazioni unite per la tortura (Cat). «Questa nomina sembra contraddittoria e sospetta – afferma il Polisario in un comunicato ufficiale- visto che in materia di diritti negati l’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i diritti dell’uomo (Hcdc) ha richiesto al Marocco chiarificazioni in merito al trattamento di numerosi prigionieri saharawi, riguardo alla loro tutela in questo periodo legato di diffusione del coronavirus nel paese». In un suo report di aprile, Amnesty International richiede che le autorità marocchine rilascino immediatamente «tutti coloro che sono incarcerati solo per l’espressione delle loro opinioni tra cui decine di manifestanti del movimento Rif, rapper, blogger e giornalisti, mentre crescono le paure per la diffusione di COVID-19 nelle carceri» . Negli ultimi sei mesi, le autorità marocchine hanno intensificato la loro intolleranza ed hanno arrestato centinaia di persone con reati come «disprezzo alle istituzioni» o «ingiuria della monarchia». Esempi lampanti del clima di repressione sono le incarcerazioni dei blogger Moul El Hanout e Youssef Moujahid, per aver rivendicato il diritto alla libertà di espressione, o dell’attivista Ghassan Bouda, arrestato per il proprio sostegno al movimento del Rif. Gli stessi leader dell’hirak del Rif, Ahmed Zefzafi e Nabil Ahamjik avevano iniziato uno sciopero della fame il 22 febbraio «per richiedere l’accesso alle cure mediche adeguate e ai diritti di visita dei familiari», sciopero interrotto il 17 marzo per paura della diffusione di COVID-19. Secondo l’Associazione Marocchina dei Diritti Umani (Amdh) risulta «insufficiente la grazia per 5600 detenuti», voluta da Mohammed VI lo scorso 5 aprile, a fronte di una popolazione carceraria di oltre 90mila persone «con scarse misure igieniche e di tutela dei carcerati». «Per coloro che rimangono in detenzione» afferma l’Amdh «il governo marocchino deve fornire un livello di assistenza medica che soddisfi le esigenze di tutti e garantisca la protezione più efficace possibile contro la diffusione di COVID-19». A fine aprile le autorità carcerarie hanno riportato la notizia del contagio di circa un centinaio di persone, tra detenuti e guardie penitenziarie, nel carcere di Ouarzazate e altri carceri nel sud del Marocco. «Senza provvedimenti seri, l’aumento del contagio nelle carceri» afferma l’Amdh «rischia di provocare numerose proteste e rivolte all’interno di tutti gli istituti penitenziari del paese». Anche a livello internazionale aumentano le richieste da parte di numerosi parlamentari europei e del gruppo Gue (Sinistra Unitaria Europea) per l’immediata liberazione dei prigionieri politici saharawi che, come afferma il comunicato, «dopo le torture subite e la loro indegna condizione di detenzione, con la violazione dei principali diritti civili, sono ora soggetti al contagio di coronavirus senza alcuna possibilità di tutela o cura». | tags: Fronte Polisario, Marocco, prigionieri politici | posted in Racconti e testimonianze dai territori
La pandemia di Covid-19 non è uguale ovunque. In alcuni contesti del mondo il virus si aggiunge ad una situazione difficile preesistente. È il caso della Palestina, dove demolizioni di case, arresti di attivisti, esproprio di terre, espansione degli insediamenti illegali e attacchi alle comunità da parte degli israeliani non si fermano, come denuncia il Coordinamento della Campagna Bds. Non solo: nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania il sistema sanitario palestinese, devastato da decenni di occupazione militare, assedio e distruzione delle infrastrutture, affronta enormi difficoltà nel contenere la pandemia e Israele discrimina tra ebrei israeliani e palestinesi nell’accesso alla prevenzione e alle cure, ostacola il lavoro di medici e infermieri palestinesi e distrugge presidi sanitari.
Ai primi di aprile alla Gls in Zai proteste e astensione dal lavoro contro la decisione di far lavorare gli assunti delle interinali senza rispettare le misure anti-contagio. Vengono assunti nuovi dipendenti per vanificare lo sciopero.
Il Primo Maggio 2020 ci ha messi di fronte a una sfida difficile: non è mai stato più necessario agire per cambiare e non è mai stato così complicato. In alcune zone del mondo – come Lubiana, Vienna e Chicago – gli anarchici hanno fatto importanti passi avanti; altrove, dove la gente è rimasta in casa per disperazione o ha tentato di rimettere in scena tradizioni familiari, i risultati sono stati scoraggianti. Qui, analizzando poco più di una decina di Paesi, offriamo una panoramica di tutti i diversi esperimenti in cui le persone si sono impegnate, nella speranza di offrire spunti e modelli utili per gli eventi a venire.