Si può rinunciare al diritto di manifestare durante la pandemia?

Il Covid-19 sarà in mezzo a noi per parecchio tempo. Alcuni diritti diventano difficili da esercitare ma rimangono essenziali. Come faremo a organizzare le proteste? Il caso di New York

Dai discorsi infuocati di Emma Goldman a Union Square durante la Gilded Age fino a Occupy Wall Street nell’era di Bloomberg, la lotta della sinistra di New York City per la giustizia sociale spesso si è sovrapposta alla battaglia per il diritto a protestare in nome del Primo emendamento.

Eppure, nel mezzo della pandemia di questi giorni, il sindaco progressista della città, il democratico Bill de Blasio, ha deciso che le proteste pubbliche sono raduni «non essenziali», e il commissario del New York Police Department Dermot Shea (registrato al voto coi repubblicani) sta facendo rispettare il divieto.

La scorsa settimana i poliziotti hanno disperso un presidio di attivisti Lgbtq che protestavano contro l’alleanza tra il Mt. Sinai Hospital e Samaritan’s Purse, organizzazione evangelica anti-gay e islamofobica. I partecipanti all’evento avevano rispettato le linee guida sul distanziamento fisico. Pochi giorni prima, grandi folle si erano radunate in tutta la città per assistere a uno spettacolo di volo acrobatico dei Blue Angels decisamente non essenziale, e sebbene molti curiosi non praticassero il distanziamento, non si è verificato alcun intervento da parte della polizia di New York.

Nel frattempo, un altro islamofobo conclamato, il blogger Pam Geller, ha fatto causa a de Blasio e Shea, sostenendo che il divieto della città viola il suo diritto di organizzare un evento a sostegno della riapertura delle attività produttive. La protesta di Geller probabilmente avrebbe risuonato con le proteste analoghe nel Michigan e in Pennsylvania, sebbene con meno pistole. Sabato, la polizia ha arrestato nove dei venti manifestanti riuniti vicino al municipio per reclamare la riapertura della città.

Piuttosto che lasciare che l’estrema destra si intesti la battaglia per il rispetto del Primo emendamento, la sinistra di New York dovrebbe ripristinare la sua egemonia nella lotta per il diritto a riunirsi pacificamente.

Prima di questi eventi, de Blasio aveva avuto un atteggiamento leggermente migliore sulle proteste rispetto ai suoi due predecessori. Negli anni Novanta, Rudy Giuliani aveva proibito ogni manifestazione di fronte al municipio. Guidata con pugno di ferro dal commissario Nypd Ray Kelly, l’amministrazione Bloomberg ha proseguito gli attacchi di Rudy al Primo emendamento.

Un mese prima dell’inizio della guerra in Iraq nel 2003, Bloomberg ha negato il permesso per un corteo alle Nazioni unite durante la giornata mondiale di protesta del 15 febbraio. Per evitare che il movimento contro la guerra fosse protagonista di una potente dichiarazione simbolica, l’amministrazione comunale si limitò ad autorizzare una manifestazione stazionaria ad alcuni isolati dall’Onu. La folla, secondo gli organizzatori mezzo milione di persone, ha lottato per aggirare le infinite barricate poste dalla polizia, una tattica consueta di controllo delle proteste sotto il comando di Kelly.

Sebbene Bloomberg avesse consentito una grande manifestazione contro l’amministrazione Bush il giorno prima della Convention nazionale repubblicana del 2004, l’amministrazione del sindaco repubblicano negò il permesso per una manifestazione sul Great Lawn a Central Park. Quella settimana, più di 1.800 attivisti vennero caricati durante la Convention e arrestati illegalmente dal Nypd.

L’ostilità del Nypd nei confronti dei manifestanti ha contribuito a costruire il sostegno pubblico per Occupy Wall Street nell’autunno del 2011. L’amministrazione Bloomberg inizialmente aveva permesso l’accampamento a Zuccotti Park ma alla fine lo sgomberò, con il Nypd che procedette a sequestrare e gettare via la maggior parte dei volumi della People’s Library.

Dopo essersi insediati nel 2014, de Blasio e il commissario del Nypd Bill Bratton hanno ammorbidito l’ostilità dei loro predecessori verso le manifestazioni, ma hanno continuato a tenerle lontane da punti di riferimento iconici. Nel corso delle proteste per l’omicidio di Eric Garner, alla fine del 2014, gli attivisti hanno dato vita a manifestazioni non autorizzate sui ponti di Williamsburg e Brooklyn, scatenando scontri con la polizia.

Nemmeno Giuliani dopo l’11 settembre aveva immaginato di poter vietare del tutto le manifestazioni di protesta. Nel mezzo della pandemia, è assolutamente improbabile che diverse migliaia di persone si uniscano a una mobilitazione. Ma come ha mostrato la scorsa settimana la New York State Nurses Association, anche un piccolo numero di manifestanti può aiutare a richiamare l’attenzione su problemi come la carenza di mascherine nelle strutture detentive dell’isola di Rikers.

Il sindaco de Blasio nella sua conferenza stampa di domenica ha sostenuto che non dovrebbero essere le cariche elettive a decidere sui diritti costituzionali. «Sono un grande sostenitore del Primo emendamento», ha detto il sindaco prima di affermare che «riunirsi nel mezzo di una pandemia» è «idiota». Poi ha ribadito che bisognerebbe trovare il modo di mobilitarsi online per porre l’attenzione su determinate questioni.

Norman Siegel, importante giurista difensore dei diritti civili, ha spiegato all’Indypendent che «il Covid-19 potrebbe rimanere in mezzo a noi per un paio d’anni o più, quindi dobbiamo trovare il modo di esprimerci lo stesso. Dovremmo esercitare i [nostri] diritti. Se non lo facciamo, finiranno per atrofizzarsi. E magari un giorno ci sveglieremo e non li avremo più».

* Questo articolo è apparso su JacobinMag. Traduzione di Giuliano Santoro.

FONTE: https://jacobinitalia.it/si-puo-rinunciare-al-diritto-di-manifestare-durante-la-pandemia/


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