Category Archives: Lavoro e capitalismovirus

Covid19 – Nessuna da sola! Solidarietà immediata alle lavoratrici sessuali più colpite dall’emergenza

Covid19 - Nessuna da sola! Solidarietà immediata alle lavoratrici sessuali più colpite dall'emergenza

La pandemia COVID-19 sta influendo drammaticamente sulle vite di chi fa lavoro sessuale.

La maggior parte delle e dei sex worker non è in grado di accedere alle prestazioni sociali istituite come misure di emergenza dal Governo. È un momento di disperazione e di paura: molte delle giovani sex worker donne e persone trans sono migranti, sole e senza una rete familiare a cui far riferimento; molte altre sono madri e con il loro lavoro sostengono tutta la famiglia.

In queste settimane e sempre di più nelle prossime, l’emergenza che stiamo vivendo sta spingendo sull’orlo del baratro molte/i di loro, dando origine a situazioni di disagio e povertà sempre più gravi. E sarà sempre peggio. Vi sono persone dedite ad attività di prostituzione in forma libera, concordata o costretta, già in condizioni di vulnerabilità umana e sociale, e che oggi rischiano di precipitare in condizioni di povertà estrema. Condizioni di necessità che potrebbero costringerle a lavorare, violando le regole, esponendosi alle relative conseguenze penali e ai rischi per la propria salute e quella collettiva.

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1° Maggio. I lavoratori in lotta in tutto il mondo sfidano Covid-19 e repressione

Photos: Workers Across The World Mark May Day, Even During Coronavirus

Riprendiamo qui il Comunicato del SI Cobas sul 1° maggio nel mondo.

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Mutuo aiuto tra/per coloro che hanno perso il lavoro

Idee contro precarietà, licenziamenti e mancanza di denaro

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Kessler, cosa fa la fondazione che ha assistito il Comitato tecnico scientifico del governo (Cts)

Alcuni dettagli sulla Fondazione privata Bruno Kessler, specializzata in intelligenza artificiale e che, tra le altre cose, si occupa anche della ricerca bellica (anche con partnership con università di tutto il mondo) e della messa a punto di armamenti e tecnologie per la gestione della sicurezza urbana, e che ha fornito a Cts (Comitato tecnico scientifico) e governo i modelli previsionali alla base della fase 2 dell’ “emergenza Covid”. Il presidente di FBK (Fondazione Bruno Kessler) è Francesco Profumo, l’ex ministro della ricerca del governo Monti. Il gruppo di lavoro della Fondazione Kessler, guidato dall’epidemiologo Stefano Merler, è stato coinvolto nelle Task Force governativa e regionali (Lombardia, Veneto, Trentino) per gestire la crisi del settore sanitario a seguito di ripetuti tagli nel settore (ovvero la cosiddetta emergenza Coronavirus) attraverso l’impiego di modelli matematici sulla trasmissibilità e di scenari alternativi a partire dai quali il governo e gli “esperti” hanno poi operato le proprie scelte.

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Ora a casa restateci voi! – Una campagna sulla gestione dell’emergenza Covid in Lombardia

Da oggi parte la campagna “Ora a casa restateci voi”  per chiedere le dimissioni dirette della giunta Fontana dopo la gestione disastrosa dell’epidemia in Lombardia (di cui abbiamo già avuto modo di parlare anche noi in diversi approfondimenti in questi due mesi). Consapevoli che le responsabilità del disastro non si fermano alla Regione ma sono molto più profonde e coinvolgono anche importanti pezzi del governo, del Comune di Milano, di Confindustria e Confcommercio, convinti che la soluzione non sia il commissariamento ma la fine di questa classe tecnico-politica, sosteniamo l’appello per iniziare a farla finita con i signori verde-nero-azzurri della destra lombarda.

Leggi il testo del lancio.

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Pandemia, crisi, per le classi oppresse ogni tempo è di lotta

“Il primo maggio dovrebbe essere un simbolo di solidarietà internazionale, di solidarietà non limitata ai quadri dello Stato nazionale che corrisponde sempre agli interessi delle minoranze privilegiate del Paese. Tra i milioni di lavoratori che sopportano il giogo della schiavitù, c’è un’unità di interesse, indipendentemente dalla lingua che parlano e dalla condizione sotto la quale sono nati. Ma tra gli sfruttatori e gli sfruttati dello stesso Paese c’è una guerra ininterrotta che non può essere risolta da nessun principio di autorità e si radica negli interessi contraddittori delle varie classi. Tutto il nazionalismo è un travestimento ideologico di fatti veri: può in un dato momento trascinare le grandi masse di persone dietro suoi rappresentanti menzogneri, ma non è mai riuscito ad abolire la brutale realtà delle cose in questo mondo”( Rudolf Rocker, 1936 )

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Se possiamo lavorare, possiamo scioperare! Il primo maggio di lotta dei facchini della logistica

1 maggio 2020

Quando alle sette e venti di ieri mattina hanno spento i macchinari, dando il via a un’azione di lotta durata oltre due ore, diversi facchini della TNT dello stabilimento di Teverola hanno aperto i loro gilet fluorescenti arancioni, ostentando provocatoriamente la maglia con su scritto a grandi lettere “HERO”, che la multinazionale Fedex gli aveva fatto recapitare qualche giorno prima. Quando l’hanno ricevuta, i lavoratori dello stabilimento campano hanno pensato si trattasse di uno scherzo, anche perché agli “eroi” che in queste settimane di quarantena hanno continuato a lavorare per assicurare la distribuzione dei generi di prima necessità – ma anche dei beni superflui passati per le loro braccia, come televisioni, lavatrici, o piastre per capelli – l’azienda si è rifiutata fino a questo momento persino di anticipare la cassa integrazione, lasciandoli di fatto senza stipendio da fine febbraio.

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Torino. Primo Maggio: ai lavoratori della sanità uccisi dalla giunta Cirio

Uno striscione con la dedica del Primo Maggio ai lavoratori della sanità morti per le politiche criminali della giunta Cirio è stato appeso oggi all’assessorato regionale alla sanità in corso Regina Margherita 153.
Un piccolo gesto per le lavoratrici e i lavoratori, che in questa regione come nel resto d’Italia hanno pagato il prezzo più alto perché la tutela delle persone è stata sacrificata sull’altare del profitto da questa amministrazione, da questo governo e da quelli che li hanno preceduti. In Italia sono 16.953 i medici, infermieri, e OSS contagiati, ossia il 10,7% dei lavoratori contro il 4% della Cina.

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Anarres del 1 maggio. Smart working, telelavoro. Alle radici del Primo Maggio. Riaprono le fabbriche ma le case restano chiuse…

 

Come ogni venerdì abbiamo fatto il nostro viaggio settimanale su Anarres, il pianeta delle utopie concrete. Dalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming.

Ascolta e diffondil’audio:
https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/05/2020-05-01-anarres.mp3?_=1

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Oltre il reddito di quarantena. Un dialogo con Andrea Fumagalli

1 maggio 2020

Nonostante stia prendendo forma un Primo maggio in quarantena, senza cortei o parade, una delle principali rivendicazioni, forse la principale rivendicazione della Mayday Parade, ovvero il basic income, sta scoprendo una nuova popolarità. Sull’endorsement rispetto alla misura, abbastanza clamoroso, di Mario Draghi e sulla proposta dell’helicopter money, Andrea Fumagalli ha già recentemente parlato[1], proponendo la recente versione di Hong Kong come migliorativa rispetto alla vecchia suggestione dei Chicago Boys. Sul reddito di quarantena, rivendicazione emersa recentemente, in particolare dal sindacalismo di base, per creare le condizioni di una chiusura delle attività produttive affiancandovi tutele importanti ai lavoratori, si è ragionato sul fatto che possa essere un utile strumento per rimodulare sia il welfare del paese sia la conformazione della produzione sulla base dei differenti bisogni che emergeranno[2]. Quel che non ci è chiaro è, però, qual è la leva attraverso cui queste istanze possano prender forma, considerate le difficoltà emerse nelle diverse sedi: europea, nazionale, regionale e comunale.

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Milano, lo scandalo delle Rsa e le resistenze sanitarie

30 aprile 2020

“Non era colpa del personale, ma della mancanza del personale”, scriveva Bruno Le Dantec nel suo articolo di qualche settimana fa denunciando la situazione degli ospedali e delle residenze per anziani a Marsiglia e dintorni. Allargando lo sguardo dalla Francia alla Spagna e all’Italia aggiungeva: “Al di là della fatalità del virus, i popoli dei nostri tre paesi non mancheranno di ricostruire il collegamento tra la carenza di mascherine, tamponi, letti, apparecchiature respiratorie […] e la superficialità con cui i governi hanno ignorato i campanelli d’allarme del personale ospedaliero”.

Uno scampanellio che in Italia è diventato ancora più forte da quando l’Istituto Superiore di Sanità ha condiviso i dati sulle fonti di infezione da Covid-19 di circa 4.500 casi accertati nelle prime tre settimane di aprile. Il 44% dei contagi sarebbe avvenuto nelle residenze sanitarie assistenziali (Rsa), trasformandole in quei “cronicari” raccontati da Antonio Esposito pochi giorni fa.

Questi dati non hanno sorpreso medici, infermieri, operatori sanitari, dipendenti delle cooperative e molte altre figure impiegate all’interno delle Rsa, né i parenti degli ospiti, in particolare in Lombardia dove queste strutture hanno registrato quasi duemila decessi da Covid negli ultimi due mesi. È stata l’insistenza dei lavoratori e dei parenti in cerca di spiegazioni a dare avvio alle inchieste della Procura di Milano, poi estese anche alle altre province della Lombardia, per “omicidio ed epidemia colposa” nelle Rsa lombarde.

Oltre alle singole strutture, le inchieste riguardano anche i vertici della Regione Lombardia per accertarne le responsabilità nella diffusione incontrollata del contagio, in particolare in seguito a una direttiva datata 8 marzo nella quale la Regione chiedeva che le Rsa accogliessero pazienti Covid dimessi dagli ospedali per poter liberare posti letto. Mentre numerosi cittadini si sono mossi per chiedere il commissariamento della sanità lombarda e gli organi di rappresentanza dei medici di base hanno espresso la propria preoccupazione per la gestione della “Fase 2” nella regione, la lotta dei lavoratori e dei familiari prosegue in molte Rsa.

È quello che sta accadendo anche ad AbbiategrassoBià in dialetto, un comune di oltre trentaduemila abitanti a meno di trenta chilometri dal centro di Milano, in direzione sud-ovest. Una città antica sorta al centro di una campagna feconda e resistente in prossimità delle acque del Ticino. Ad Abbiategrasso il primo caso di contagio da Covid è stato accertato il 9 marzo all’interno dell’Istituto Geriatrico Golgi, un tempo Pia Casa degli Incurabili e oggi parte del sistema di Rsa gestite dall’Azienda servizi alla persona (Asp) Golgi-Redaelli. Oltre alla sede di Abbiategrasso, l’azienda amministra altre due strutture situate a Milano e Vimodrone. Tra il 9 marzo e il 17 aprile il numero degli ospiti contagiati nella Rsa di Abbiategrasso è salito a novanta persone e sono avvenuti trentacinque decessi, diciassette dei quali certamente positivi al Covid e nove sospetti.

Lucio (nome di fantasia) racconta che il padre ottantenne era stato ricoverato all’inizio dell’anno nella parte dell’Istituto dedicata alla degenza residenziale temporanea per persone affette da demenza, l’area “Cure Intermedie ex Riabilitazione Alzheimer”. Suo padre avrebbe dovuto trascorrere lì alcuni mesi per ottenere maggiore stabilità e dare sollievo alla famiglia che stava attraversando un momento di fatica nella gestione quotidiana della malattia. Invece, come quasi tutti gli altri ospiti dell’ex Riabilitazione Alzheimer, si è ammalato di Covid. A partire dal 9 marzo ai parenti è stato definitivamente impedito di far visita ai propri padri e alle proprie madri a causa di alcuni “possibili casi” di infezione nel reparto. Dopo alcuni giorni di insistenza, i parenti hanno avuto la conferma della presenza di casi positivi e sono stati invitati a recarsi presso l’Istituto per ritirare i vestiti dei propri cari, da lavare a casa.

Lucio spiega: «Questa cosa dei vestiti si faceva anche prima però prima entravi più o meno tutti i giorni quindi non si accumulavano, c’era un cesto in camera, li prendevi e portavi quelli puliti. Il primo sabato dopo la notizia dei contagi c’è stato il delirio. Di solito andava mia sorella a prendere i vestiti, ma quando si è saputo che c’erano dei positivi non se l’è sentita perché ha i bambini piccoli. Alla fine sono andato io a prenderli e mia mamma, che ha più di ottant’anni, ha insistito per lavarli a casa sua. Quando sono arrivato fuori dal reparto c’era una montagna di vestiti, qualche operatore dietro un banco che provava a smistarli e i parenti che davano i numeri per sapere dall’istituto come fare a lavarli senza rischiare di infettarsi». Andare a prenderli con guanti e mascherina e lavare tutto a sessanta gradi, queste sono state le istruzioni fornite dal Golgi e seguite dai parenti, tra molte paure. Nel corso delle settimane la distribuzione dei vestiti è diventata più ordinata e i parenti in coda hanno iniziato a conoscersi meglio e a organizzarsi anche con gli operatori della struttura.

Parenti e operatori hanno contestato alla dirigenza del Golgi il silenzio stampa in cui questa si è chiusa a lungo, prima di dichiarare che la quasi totalità dei pazienti dell’ex Riabilitazione Alzheimer erano risultati positivi ai tamponi e che nel reparto c’erano stati due morti da Covid. Mentre i numeri crescevano anche nel resto della struttura, gli operatori si ammalavano e diminuiva il personale in attività, rendendo sempre più faticosa la cura degli anziani ricoverati. In seguito a numerose richieste e rivendicazioni dei lavoratori rimaste inascoltate dalla struttura e dagli enti locali e regionali responsabili della tutela della salute pubblica, Unione sindacale di base (Usb) Lombardia ha presentato un esposto alla Procura di Milano sulla situazione degli istituti gestiti dall’Asp Golgi-Redaelli. Le principali criticità segnalate dagli operatori rappresentati da Usb sono “la mancata assunzione di personale, l’inadeguatezza del numero di tamponi eseguiti a degenti e personale, l’assenza di una strategia di isolamento dei casi positivi, la carenza di dispositivi di protezione individuale, l’incapacità di individuare protocolli di sicurezza certi e univoci per tutta l’azienda, il mancato controllo sull’operato delle ditte appaltatrici in merito alla sicurezza e alla tutela della salute e la mancata abilitazione del laboratorio interno all’analisi dei tamponi”.

Nel corso dell’assemblea “a distanza” del personale (dipendenti e ditte esterne) organizzata dell’Usb dell’ASP Golgi-Redaelli del 20 aprile, Pietro Cusimano ha ripercorso le principali tappe della privatizzazione della sanità lombarda, di cui rappresentano una parte fondamentale le circa seicento Rsa private, su un totale di settecento strutture. Secondo Cusimano il principale interesse delle Rsa sarebbe diventato il profitto e non più la salute. Solo a partire da questo presupposto sarebbe possibile comprendere la progressiva riduzione e precarizzazione della forza lavoro all’interno delle Rsa, dove operano numerosi dipendenti di cooperative esterne. Nel corso dell’assemblea sono stati presentati anche i dati ufficiali forniti dall’Asp Golgi-Redaelli a metà aprile, in seguito alle pressioni dei parenti degli ospiti e dei lavoratori. Il numero dei dipendenti in malattia all’interno dell’istituto è cresciuto vistosamente nell’ultimo periodo, con 114 lavoratori in malattia nella struttura di Abbiategrasso, 145 a Vimodrone e 112 a Milano. Il numero dei dipendenti di ditte esterne attive nell’Asp Golgi-Redaelli in malattia è stato registrato solo a Vimodrone, mentre non si conoscono i dati di Milano e Abbiategrasso. Anche i tamponi, fatti sui dipendenti delle Rsa dopo numerose richieste da parte dei lavoratori, non sono stati eseguiti sugli operatori di ditte esterne, così come non sono stati distribuiti in modo uniforme i dispositivi di protezione individuale.

Nei giorni successivi all’assemblea dei lavoratori i Nas hanno ispezionato la Rsa di Abbiategrasso ed è stata ricostruita la dinamica dell’infezione, poi divulgata dalla stampa locale: il contagio sarebbe entrato nella struttura all’inizio di marzo attraverso due pazienti asintomatiche dimesse da ospedali delle vicinanze e ricoverate nella Rsa per riabilitazioni. Nel giro di alcuni giorni le due donne, di cui una ricoverata nell’ex Riabilitazione Alzheimer, avrebbero presentato i sintomi, quando ormai la diffusione del virus era avvenuta nell’istituto. Ad oggi non sono stati effettuati tamponi sul personale della Rsa di Abbiategrasso, mentre anche in un’altra struttura per anziani presente nel comune sono stati accertati numerosi casi di contagio. Alla lotta dei parenti e dei lavoratori, nelle ultime settimane si sono uniti anche cittadini, giornalisti e militanti locali per chiedere chiarezza e giustizia alle aziende sanitarie e alle istituzioni. Nel frattempo, anche il padre di Lucio non smette di lottare dentro al suo reparto, «come un vero leone del Ticino che è sopravvissuto alle bizze del fiume e non si spaventa di certo davanti al virus». (gloria pessina)

 

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FONTE: https://napolimonitor.it/milano-lo-scandalo-delle-rsa-e-le-resistenze-sanitarie/


Siamo davvero tutti sulla stessa barca?

Mentre ci chiediamo quando rientrerà definitivamente l’emergenza sanitaria e in che modo nei prossimi mesi verranno allentate le restrizioni, è difficile illudersi la vita quotidiana torni com’era prima di febbraio.

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Denuncia dei lavoratori dei dormitori pubblici di Torino: troppo tardi i tamponi, rischio focolaio tra i senza fissa dimora

iuri camilloni Centro la Fenice Firenze

30 aprile 2020. «Quello che ci sconvolge è che il comune e la Regione ci hanno messo un mese per capire cosa si doveva fare con conseguenze gravi per gli ospiti e i lavoratori». A parlare una delle lavoratrici che ha firmato la lettera dei “Lavoratori del Settore Adulti in Difficoltà di Torino” uscita su Facebook e sui media ieri l’altro. Nella lettera si ripercorrono le tappe della riposta all’emergenza covid per le strutture comunali dei senza fissa dimora che arrivano ad ospitare un totale di 800 persone in periodo invernale: a fronte delle prime richieste di cambiamenti al comune fatte il 10 marzo secondo gli operatori solo il 20 marzo si è iniziato a ridurre il numero degli ospiti per casa, il 24 marzo si è proceduto all’apertura 24h su 24 (tranne dalle 10 alle 14 per la sanificazione), mentre i tamponi sono arrivati solo a fine aprile.

«Ci sono situazioni di alta promiscuità con camere da due, tre persone e un bagno ogni 6, 7 persone» afferma l’operatrice. «Ma anche i primi spostamenti da situazioni con più ospiti sono stati fatti verso due strutture che erano già piene, quelle di via Massaua e via Ghedini, quindi hanno solo aumentato i posti letto là».

I disastro della Reiss Romoli: tanti sospetti covid per venti giorni senza operatori

Le strutture per i senza fissa dimora a Torino sono circa una ventina di cui 8 del comune più due per l’emergenza freddo e le altre sono del privato sociale. La denuncia riguarda 4 strutture del Comune dove i problemi sono arrivati a fine marzo con i primi casi «Il 30 Marzo viene reso noto il primo ospite Covid-positivo all’interno del dormitorio di via Reiss Romoli (oltre che nelle strutture di via Ghedini e piazza Massaua), a cui segue non solo il contagio dell’équipe tutta, ma anche il contagio della quasi totalità degli ospiti presenti in struttura, trasformando così il dormitorio in un focolaio Covid a tutti gli effetti». Si legge nella lettera. «Dopo i primi casi la struttura è rimasta senza operatori perché erano tutti in malattia con i sintomi da covid – spiega l’operatrice – è stato fatto un presidio fuori con la polizia municipale e operatori della cooperativa che gestisce il posto. I tamponi sono stati fatti solo settimana scorsa ai pochi ‘superstiti’ perché di venti ne sono rimasti 6 o 7, tutti gli altri sono stati ospedalizzati».

Ora la struttura è stata svuotata, sanificata e riaprirà la prossima settimana ma quello che sostengono i lavoratori è la paura che anche in altre case si possa verificare una situazione come alla Reiss Romoli. «Via Massaua che è considerato un fiore all’occhiello del comune – dice l’operatrice – è stata le prima struttura in cui si è registrato un caso il 27 marzo, e oltre a non aver modificato niente non hanno neanche fatto i tamponi. Fatto sta che ora sono arrivate a 7 le persone positive in via Massaua di cui l’ultimo di venerdi scorso». Anche negli altri dormitori i tamponi sono arrivati solo a fine aprile quando i primi casi sono stati a fine marzo. Solo nella struttura di via Carrera i prima casi sono più tardivi, della settimana scorsa, e ieri, il 30 aprile sono stati effettuati i tamponi. Anche a ‘Carrera’ sono almeno 4 gli ospiti già positivi.

«In tutto questo – dice la lavoratrice – i lavoratori non vengono neanche presi in considerazione per i tamponi».

Il Comune risponde: siamo amareggiati, abbiamo fatto tutto il possibile il nostro sistema è forte

Il dirigente alle fragilità del Comune di Torino, Uberto Moreggia si dice molto «amareggiato» da quella lettera. «Non si può affermare che il comune non abbia investito o non si sia preso cura del settore delle marginalità – afferma Moreggia a Covid Italia News – da subito abbiamo provveduto a fare i triage esterni, a procurarci i termometri che misurano la febbre a distanza e i dispositivi di protezione individuale come Città di Torino. Ma non era facile solo da metà marzo abbiamo iniziato ad averne a sufficienza. Senza contare che i nuovi posti a Massaua e a Ghedini sono in due parti totalmente separate dalla struttura mentre nella lettera sembra che abbiamo messo più persone nello stesso luogo».

Quello che non si dice nella lettera dice Moreggia è che «ci siamo trovati ad affrontare una crisi sanitaria che ci ha colpito nel periodo di massima affluenza con un enorme impatto che ha intaccato la base dei nostri servizi, cioè la relazione sociale. I dormitori non sono alberghi o ostelli ci sono servizi, possibilità di tirocini percorsi di inclusione».

Il comune poi ricorda che le indicazioni dal livello nazionale sono arrivate solo il 26 marzo con la  circolare del governo su “Emergenza covid e servizi sociali” mentre la regione ha emanato indicazioni più specifiche solo il 6 aprile. «Ma con degli accorgimenti che avevamo già adottato a inizio marzo».

Tamponi in ritardo e lavoratori malati

I tamponi però sono arrivati un mese dopo i primi casi. «Ma pensate che dipendano da noi i tamponi? – risponde il dirigente comunale – sono in capo all’Asl e sono stati fatti quando è stato possibile e del resto rendiamoci conto che i casi si sono verificati in 4 strutture su una ventina e adesso abbiamo un piano per alleggerire ulteriormente i dormitori con altre strutture».

I lavoratori hanno parlato a Covid Italia News di tutta un’equipe rimasta a casa con i sintomi alla struttura di Reiss Romoli ma anche al Ghedini hanno dovuto mandare operatori da altri servizi perché il gruppo che normalmente lavorava lì era a casa in malattia tranne due persone.

«Per quanto riguarda gli operatori – dice Moreggia – sono risultati positive tre persone al Reiss Romoli di cui una è stata anche ricoverata, più un addetto alle pulizie, una persona è risultata positiva alla struttura in via Massaua, ma prima che gli ospiti diventassero positivi. In via Carrera è stato fatto il sierologico a tutti e sono risultati negativi, mentre in via Ghedini non ci sono positivi».

Tra gli ospiti c’è chi ha scelto di uscire dal dormitorio per non rischiare il contagio

E loro? I senza fissa dimora come hanno vissuto tutto questo? Covid Italia News è entrata in contatto con Nicolò Consiglio sfrattato nel 2013 e dopo varie vicende finito nei dormitori pubblici torinesi. «All’inizio ti fanno ruotare un mese in ogni dormitorio -racconta – ed è piuttosto dura ma ero riuscito ad avere una permanenza di nove mesi in via Carrera e pure un tirocinio. Per me era l’occasione di riscatto e di ridare qualcosa indietro». Stava andando piuttosto bene per Nicolò che stava aspirando ad una casa popolare tutta sua. E poi è arrivato lui, il coronavirus. «Verso il 10 marzo le educatrici ci hanno detto che avrebbero chiuso ai nuovi ingressi e che se avessimo avuto un altro posto per passare il periodo di pandemia forse era meglio. Più sicuro». Il signor Consiglio trova questo amico per cui ogni tanto fa qualche lavoretto di riparazione e gli chiede se può stare in uno dei suoi capannoni poco fuori Torino. «Sono arrivato qui che era ancora molto freddo e non avevo i vestiti adatti – racconta – è stata dura anche perché un paio di giorni ho avuto la febbre e ho avuto paura». «Penso di aver fatto la scelta giusta – continua – sono ancora in contatto con il mio ex compagno di stanza che mi ha raccontato che ci sono tre positivi a Carrera ma anche se un po’ di timore ce l’ha mi dice ‘ma dove altro potrei andare?’».

Nicolò però dopo due mesi di isolamento vuole tornare a Torino, «Voglio vedere le mie figlie, voglio riprendere il tirocinio e il mio percorso. Io mi trovavo bene a Carrera. Speriamo che si possa presto ritornare alla normalità».

Cecilia Ferrara
Collettivo Emera

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FONTE: https://coviditalianews.org/2020/04/30/denuncia-dei-lavoratori-dei-dormitori-pubblici-di-torino-troppo-tardi-i-tamponi-rischio-focolaio-tra-i-senza-fissa-dimora/


Cooperative sociali e Covid-19. La lotta è l’unica difesa.

da Lotta di Classe 141 scaricabile integralmente cliccando qui

Oltre alla sanità uno dei settori immediatamente toccati dai provvedimenti governativi è stato quelle delle coop.sociali. Negli asili lavora infatti moltissimo personale coop come ausiliarie e maestre, nelle scuole come educatori e educatrici.

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I morti dimenticati

27 aprile 2020

Come dicevamo in tutti gli articoli precedenti,[1] di là da ogni altra considerazione, l’attenzione mediatica e le conseguenze politiche legate alle malattie da COVID-19 hanno fatto quasi del tutto dimenticare un dato, in sé banale ma fondamentale per capire la realtà effettiva della situazione; tutte le altre malattie che necessitano, nei casi gravi, di ricoveri in terapia intensiva – influenza stagionale, polmoniti batteriche, neoplasie, malattie cardiache e quant’altro – non sono sparite per nulla e necessitano di cure, né più né meno delle infezioni gravi da COVID-19. Eppure la cosa andrebbe continuamente ricordata in quanto è la chiave per capire il senso reale di questa emergenza; una strage di Stato dovuta alle politiche di distruzione dello stato sociale degli ultimi quarant’anni che ha ridotto il Sistema Sanitario Nazionale al lumicino e, di conseguenza, incapace di affrontare l’emergenza e moltiplicando la letalità del virus.

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