Se possiamo lavorare, possiamo scioperare! Il primo maggio di lotta dei facchini della logistica

1 maggio 2020

Quando alle sette e venti di ieri mattina hanno spento i macchinari, dando il via a un’azione di lotta durata oltre due ore, diversi facchini della TNT dello stabilimento di Teverola hanno aperto i loro gilet fluorescenti arancioni, ostentando provocatoriamente la maglia con su scritto a grandi lettere “HERO”, che la multinazionale Fedex gli aveva fatto recapitare qualche giorno prima. Quando l’hanno ricevuta, i lavoratori dello stabilimento campano hanno pensato si trattasse di uno scherzo, anche perché agli “eroi” che in queste settimane di quarantena hanno continuato a lavorare per assicurare la distribuzione dei generi di prima necessità – ma anche dei beni superflui passati per le loro braccia, come televisioni, lavatrici, o piastre per capelli – l’azienda si è rifiutata fino a questo momento persino di anticipare la cassa integrazione, lasciandoli di fatto senza stipendio da fine febbraio.

In Italia sono pochissimi, in questo momento, gli operai a cui sono state retribuite la cassa integrazione e il fondo di integrazione salariale (FIS), strumenti privilegiati di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa. «Il decreto governativo – spiega Piero Aloisi, coordinatore dei SiCobas a Caserta – prevedeva che, in mancanza di liquidità, avrebbero dovuto essere gli istituti bancari ad “anticipare” il salario ai lavoratori. Le banche però, soprattutto al Sud, non ne hanno voluto sapere e gli operai sono rimasti senza stipendio, indipendentemente dalle settimane di lavoro svolte. L’altro problema clamoroso è stata l’eliminazione dalla cassa e dal FIS degli assegni familiari, di cui non si parlava all’interno del decreto. L’Inps ne ha approfittato subito, e nei casi in cui le integrazioni salariali sono state pagate, i lavoratori che hanno figli si sono trovati senza un sostegno fondamentale, tanto più in un momento del genere».

(foto di -sc)

Le proteste negli stabilimenti della logistica nazionale erano cominciate già all’inizio della quarantena, perché fossero garantiti i dispositivi di sicurezza e la cassa integrazione a rotazione, dal momento che i flussi di lavoro stavano diminuendo. I lavoratori l’avevano spuntata in molti casi: a Teverola, uno degli stabilimenti più grandi della Campania (dove erano riusciti a ottenere una sanificazione, misure precauzionali di protezione e presidi esterni alla fabbrica per la misurazione della temperatura), nell’altra filiale TNT campana, quella di Casoria, e in molti altri hub in giro per l’Italia. Ieri e oggi, però, sono tornati a protestare, aderendo allo sciopero nazionale di settore lanciato proprio dai SiCobas, per mantenere alta la guardia rispetto alle misure di protezione, e soprattutto perché l’azienda paghi ai lavoratori che in queste settimane hanno rischiato in prima linea, l’anticipo della cassa integrazione.

«Non si può abbassare la guardia su niente», spiega Giuseppe, facchino a Teverola e delegato sindacale. «A marzo abbiamo fatto una lotta per guanti, mascherine e presidi esterni. Abbiamo lavorato per garantire il flusso delle merci, e oggi rivendichiamo il nostro diritto al salario. Dev’essere l’azienda ad anticipare la cassa, se il governo non intende pagarci subito, come è successo in altre filiere, per esempio in Bartolini, dove dopo un braccio di ferro con i lavoratori l’azienda ha promesso un intervento. Parliamo di aziende che hanno ricevuto centinaia di migliaia di euro di finanziamenti…».

(foto di -sc)

Quando parlano di “mantenere alta la soglia di attenzione”, i facchini della TNT fanno riferimento alle condizioni di lavoro. Quello delle distanze di sicurezza è un problema non ancora del tutto risolto, soprattutto a fine turno, quando per smaltire la merce rimasta, l’azienda chiede a più lavoratori di salire contemporaneamente sui tir, aggiungendo a volte un terzo facchino oltre ai due già a bordo, senza contare il quarto operaio che ogni dieci minuti arriva per caricare la merce sul carrello. Il tutto in pochissimi metri. Eppure, i facchini non risultano meritevoli, per la retorica nazionale, del rango di “salvatori della patria”, sebbene in questi mesi, esattamente come i medici e gli infermieri, ma anche gli operai di tante altre fabbriche, i lavoratori del trasporto pubblico e quelli dei supermercati, abbiano continuato nella loro attività, pagando un prezzo molto alto. In tutti i più grandi magazzini di distribuzione del nord Italia ci sono state decine di contagi al Covid-19, tanto che alcuni, come la TNT di Piacenza, hanno dovuto chiudere per una o due settimane. Christian Ramirez, facchino alla BRT di Sedriano, in provincia di Milano, è morto a quarant’anni il 18 aprile scorso. Henry Villanueva Tatlonghari di anni ne aveva invece quarantatré e da quindici viveva e lavorava a Modena. È morto anche lui di Coronavirus, probabilmente contagiato nello stabilimento UPS di Carpi in cui lavorava, così come accaduto a Osvaldo, facchino allo stabilimento TNT di Monza.

Anche per questo i blocchi di ieri e lo sciopero di oggi hanno raggiunto la maggior parte delle filiere della logistica. A Bologna (SDA), nel centro più importante d’Italia, le attività sono rimaste completamente bloccate per tutta la notte e la mattinata di oggi. Lo stesso è accaduto a Casoria, in provincia di Napoli, a Torino, all’SDA di Campi Bisenzio e alla TNT di Calenzano, e a Modena, dove le proteste erano già cominciate all’inizio della settimana. E poi Milano, Brescia, Bergamo, Piacenza, Firenze, Roma e Caserta, con blocchi e scioperi alla TNT-Fedex, BRT, UPS, SDA, GSI, Fercam.

(foto di -sc)

«Certo non è facile – spiega Salvatore, delegato del sindacato alla SDA di Roma, dove in questi due giorni i lavoratori si sono astenuti dal lavoro -, l’azienda cerca in tutti i modi di farci pagare il fatto che, in maniera spontanea, abbiamo lasciato i capannoni, praticando l’astensione fin dal mese di marzo, perché non li ritenevamo sicuri. E allora riceviamo provocazioni, rimodulazione delle rotazioni, cambi di turno, persino cambi di magazzini. Lo sciopero di oggi è stata un’occasione per compattarci e andare avanti nelle nostre rivendicazioni». Anche a Teverola, tra i lavoratori stessi, c’è stato un po’ di stupore nel vedere che, dopo aver spento il macchinario che regola lo scarico e lo smistamento dei pacchi, anche facchini di altri sindacati abbiano solidarizzato e appoggiato la protesta. In alcuni magazzini sono rimasti per tutta la giornata, anche a blocco finito, gli striscioni affissi dai lavoratori. “Se possiamo lavorare, possiamo anche scioperare!”, recita il più utilizzato da Padova a Napoli. A Genova, mentre affiggevano un lenzuolo con lo slogan della protesta in piazza De Ferrari, davanti la sede della Regione Liguria, i lavoratori sono stati identificati e multati. Era anche su questo, probabilmente, che intendevano portare l’attenzione. (francesco migliaccio / riccardo rosa)

 

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FONTE: https://napolimonitor.it/se-possiamo-lavorare-possiamo-scioperare-il-primo-maggio-di-lotta-dei-facchini-della-logistica/


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