Nemmeno il tempo, per il premier Giuseppe Conte, di dirsi «felice di ospitare come Presidenza italiana del G20 nel 2021 il Global Health Summit con Ursula von der Leyen», all’indomani dell’annuncio della presidente della commissione Ue, che già si accende la contesa per la sede dell’importante vertice mondiale che per la prima volta si terrà in Italia l’anno prossimo. [..] c’è Milano che, dopo aver vinto la sfida con Torino come candidata italiana per ospitare il Tribunale europeo dei brevetti, si consorzia ora con Bergamo e Lodi, città martoriate dal Covid-19, nel tentativo di costruire un fronte lombardo che faccia da traino.
Sono stati resi noti poco fa i progetti che il governo intende finanziare attraverso il recovery fund, la manna di fondi europei che dovrebbe aiutare la ripartenza post-covid19.
Quali saranno gli effetti della pandemia sull’occupazione? I dati comunicati al termine dell’ultimo consiglio direttivo della Banca Centrale Europea (BCE) ci aiutano a comprendere la portata della recessione che stiamo vivendo e fanno presagire il peggio per gli anni a venire. Per il 2021, infatti, la BCE stima ‘un picco del tasso di disoccupazione al 9,5%’ per l’Eurozona (i Paesi dell’Unione che adottano l’euro), dal 7,6% del 2019. Per quanto evidenti, questi numeri non ci permettono, tuttavia, di catturare la portata di questa platea di disoccupati in termini assoluti. Per rendere meglio l’idea, stiamo parlando, per l’anno in corso, di quasi 16 milioni di persone in tutta l’area dell’euro, dato che sale a 20 milioni di individui se includiamo anche i paesi dell’Unione che non hanno adottato la moneta unica. Un numero spaventoso.
L’esperienza del lockdown ha forse solo rafforzato, in coloro i quali sanno leggere la fase, la consapevolezza di un adagio che tiene banco tutt’ora nello sproloquio polemico che passa sotto il nome di dibattito politico, ossia la responsabilità individuale di ogni singolo per il buon andamento della società. Se da un lato è innegabile che il piccolo gesto quotidiano reiterato nel tempo da un numero crescente di persone crea problemi, dall’altro questo assunto viene distorto e reindirizzato su corpo sociale come giustificazione per ogni situazione negativa. È un po’ come la faccenda dei rifiuti: se da un lato c’è chi li butta in ogni dove dall’altro si pretende che il comportamento del singolo sopperisca all’inerzia dell’industria di abbandonare alcuni materiali pericolosi, o peggio che il singolo si trasformasse in una sorta di micro-centrale di smistamento. Questo piccolo esempio è per inquadrare la fase, incentrata sulla responsabilizzazione del corpo sociale per quanto concerne le azioni delle varie governances.[1]
Dopo una maratona di cinque giorni è stato nella notte sul recovery plan. L’elargizione dei fondi sarà subordinata a tagli alla sanità, alla ricerca, alla riconversione energetica. I soldi devono generare altri soldi non salute e benessere per le persone.
Questi fondi verranno pagati a duro prezzo dagli europei poveri.
Di seguito un commento a caldo all’economista Francesco Fricche.
A lanciare l’allarme sulla incidenza del Covid 19 nel nostro paese, questa volta sono i virologi o le autorità sanitarie ma gli economisti della Banca d’Italia.
Nell’Italia del coronavirus politici e giornaletti sono sempre a caccia del nuovo capro espiatorio su cui addossare la colpa dei propri fallimenti. Dai migranti, ai runner, ai pensatori su spiagge solitarie, e naturalmente, come da tradizione i giovani.
Mentre ci chiediamo quando rientrerà definitivamente l’emergenza sanitaria e in che modo nei prossimi mesi verranno allentate le restrizioni, è difficile illudersi la vita quotidiana torni com’era prima di febbraio.
In Europa, e soprattutto nell’Unione Europea – la seconda potenza economica mondiale – giorno dopo giorno si evidenzia che le politiche pubbliche condotte negli ultimi venti anni hanno minato le strutture della sanità pubblica che avrebbero potuto affrontare una pandemia come quella del Covid-19. A marzo questa zona era il cuore della pandemia. Oggi è il turno degli Stati Uniti e domani dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia, con rischi sempre più gravi per milioni di persone in paesi che hanno strutture sanitarie deficitarie.
Questi ultimi mesi hanno segnato un drastico e assolutamente imprevisto cambiamento di abitudini e innescato scenari inediti con cui tutte e tutti noi stiamo cercando faticosamente di fare i conti.
Ma la tragedia non è per tutti. Mentre si gioca con la vita dei lavoratori in nome della tenuta economica del paese, mentre tante e tanti di noi si chiedono come sopravvivere, come sempre qualcuno ci guadagna. E molto.
L’epidemia dovuta al diffondersi del COVID-19 rappresenta la più grave pandemia dai tempi dell’influenza spagnola del 1918-1920 e promette di innescare la più grave crisi economica del sistema capitalistico dallo scoppio della Grande Recessione del 2008. Tra le economie più colpite vi sono infatti le più grandi potenze industrializzate del mondo, tra cui Stati Uniti, Italia, Spagna, Cina e Germania, ma anche Francia, Regno Unito e Giappone, responsabili di oltre il 60% del PIL globale.
“Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?” questa domanda venne coniata da Edward Lorenz, un famoso matematico e meteorologo statunitense nel lontano 1972. La frase fece storia e contribuì alla divulgazione della teoria matematica del caos, rendendosi popolare come “effetto farfalla”. Da allora, la farfalla in questione ed il suo delicato -ancorché catastrofico- battito d’ali hanno avuto fortuna, soprattutto in ambito letterario e cinematografico: in un mondo nuovo sempre più piccolo, i simboli adeguati sono scarsi e ce n’è un certo bisogno.
L’intervento dello stato centrale con imposizioni draconiane che stravolgono l’esistenza, l’uso mediatico di un fenomeno sanitario globale, la narrazione geopolitica di una pandemia terrificante e mortale senza trasparenza dell’autorità locale, le conseguenze economiche e commerciali che si cominciano a intravedere dietro alla diffusione repentina del coronavirus, nonostante le quarantene, la sospensione della mobilità personale e collettiva, la diffusione della sindrome e delle fake news; la quantità di ambiti che vengono stravolti dalla notizia – ancor prima della sua effettiva trasmissione e ferale nocività – e lo sconvolgimento delle aree d’influenza che si andavano estendendo con la Belt and Road Initiative… Tutto viene condizionato e stravolto dal virus che nasce dalle abitudini culinarie millenarie della vecchia Cina e imbrigliano la nuova, forse offrendo l’occasione di svoltare definitivamente all’interno della Cina verso la revisione, la gentrificazione, il superamento della tradizione popolare; e globalmente all’esterno si creano le condizioni per rivedere in parte i criteri produttivi di merci e la diffusione del controllo cinese sulle infrastrutture e sulla distribuzione delle merci, che sembrava permeare il trend del periodo. Ora invece il dragone cinese appare in difesa e in difficoltà a causa del coronavirus e dell’isolamento che comporta, ma anche in prospettiva potrebbe innescarsi un rilancio di stimoli alla pervasività cinese dei mercati e anche un completamento dei processi di trasformazione per chiudere vecchie produzioni che verrebbero delocalizzate.