Le proteste contro il lockdown che stanno attraversando l’Italia ci restituiscono l’immagine di un paese sull’orlo di una crisi di nervi. Non stupisce allora che in molti, anche nel movimento, si improvvisino psicanalisti che, notoriamente, sono dei pazienti che tendono a curare gli altri per non curare se stessi. Trascinati da un desiderio alla deriva, violentemente attaccato a quell’oggetto sfuggente e recalcitrante chiamato lotta di classe, finiamo per vederla ogni qualvolta si manifesti un sussulto, un vetro rotto o, se non altro, un po’ di possibile. Mentre si consuma il rito un po’ introverso degli scioperi autunnali, una voce chiama nel deserto: tu ci chiudi, tu ci paghi, dice, e l’odore inebriante del reddito garantito si diffonde nell’aria, appena un po’ rarefatta da fumogeni di varia provenienza.
Quest’anno le spese militari sono aumentate del 6%. Sono 26,3 miliardi, 72 milioni al giorno. Nel bel mezzo della pandemia, nel disastro del servizio sanitario, della scuola, del trasporto pubblico, mentre aumentano la disoccupazione, la povertà e lo sfruttamento, il governo aumenta le spese militari.
“Abbiamo interrotto la manifestazione dall’Associazione Proprietà Edilizia annunciata per questa mattina in Piazza Maggiore in difesa del loro diritto naturale alla proprietà privata e per chiedere la cancellazione del blocco degli sfratti. La risposta è stata la polizia, schierata a difendere palazzinari e speculatori ben accompagnati dai fascisti.
Centinaia di persone al concentramento della manifestazione contro Confindustria a piazza dei Martiri nella giornata nazionale dei lavoratori e delle lavoratrici combattivi. Mentre molti manifestanti erano già in movimento, distanziati e in sicurezza, verso la Prefettura e la Regione i cordoni della polizia hanno impedito al resto del corteo di muoversi.
1) In quale stato versa il padronato italiano? Per una fenomenologia di Confindustria
Dal negazionismo all’economia di guerra. La crisi
Il confindustriale è uomo pratico. Un secolo di addomesticamento nel capitalismo italiano ha reso mediocri le sue ambizioni. Decenni di gestione industriale l’hanno trasformato in un individuo refrattario a ogni avventura. Verrebbe perciò da sé credere che quest’abitudine a porsi solo problemi che può facilmente risolvere abbia portato il confindustriale a essere un capitalista discretamente realista. Non è così. Certo, il confindustriale per sua natura non può che detestare la fantasia, ma allo stesso tempo non si può nemmeno dire che apprezzi sempre la realtà!
Francesca Nava, Il focolaio. Da Bergamo al contagio nazionale, Editori Laterza, Bari – Roma 2020, pp. 242, 15 euro
“…eh, ma io in questo momento rifornisco la Jaguar” (Marco Bonometti, Presidente di Confindustria Lombardia)
“Abbiamo anche minacciato di fermare la produzione, certo. E’ l’unica arma che abbiamo. Loro si sono sentiti ricattati, noi abbiamo detto «ricattati è poco, possiamo fare anche di peggio»” (Operaio della Dalmine – Gruppo Tenaris)
Il titolo scelto per questa recensione è tratto dalla frase che chiude, come un macigno, il penultimo capitolo del bel saggio-reportage della giornalista di origini bergamasche Francesca Nava, appena pubblicato dagli Editori Laterza. Un saggio imprescindibile per tutti coloro che vogliano parlare o discutere, a ragion veduta, dell’inferno pandemico scatenatosi a partire dalla Val Seriana alla fine di febbraio di quest’anno.
La «rivoluzione» di Bonomi: niente aumenti salariali. Ha usato l’aggettivo «rivoluzionari», Carlo Bonomi. Il presidente di Confindustria però lo fa a sproposito – «è un aggettivo che proprio non ci si addice» – lanciando un messaggio chiaro sulla strategia per l’autunno: servono «contratti rivoluzionari rispetto al vecchio scambio di inizio Novecento tra salari e orari» perché «nel frattempo è il lavoro e sono le tecnologie, i mercati e i prodotti, le modalità per produrli e distribuirli, ad essersi rivoluzionati».
Il messaggio in realtà era rivolto solo ai presidenti territoriali e di categoria di Confindustria. Ma l’Ansa ne è entrata in possesso, costringendo anche il sito del Sole24Ore a divulgarlo urbi et orbi.
2020. Era Covid. La fase 1 è finita. L’economia arranca. Nell’impresa di far ripartire tutto senza ricostruire nulla, con l’intento di perseverare sulla strada della disuguaglianza sociale, dei doveri in entrata e dei diritti in uscita, un manipolo di politici prepara la più grossa diligenza carica di ori e di denari dai tempi della trilogia del dollaro. Quelli filmici. Come ai tempi, nel tragitto questa diligenza è stata presa d’assalto: lo scontro è stato cruento, gli esiti li descriveremo in quest’approfondimento che parte da un fatto, passato inosservato in un’epoca in cui l’esposizione mediatica pare direttamente proporzionale all’ignoranza messa in scena.
Il governo ha celebrato l’unione sacra degli italiani contro il Coronavirus con un’esibizione di frecce tricolori, che hanno sorvolato la penisola, per approdare il 2 giugno a Roma, per la “festa” della Repubblica. In Piemonte si sono svolte numerose iniziative antimilitariste tra Asti, Alessandria, Caselle e Torino.
Appena calata l’attenzione sull’emergenza sanitaria, il sistema imprenditoriale e proprietario italiano ha deciso di passare al contrattacco con inusuale violenza. Giocano d’anticipo per farci pagare la recessione che verrà e per evitare che la loro crisi di legittimità si fissi in nuove pretese sociali. Ora, con l’approvazione del decreto Rilancio, i nuovi rapporti di forza vengono ratificati da un esecutivo preso in ostaggio dagli interessi privati.
16 maggio 2020, da http://www.ondarossa.info
Con Maurizio Donato si analizza l’ultimo D.L. del governo: pioggia di soldi ai padroni, le briciole per noi.
E il peggio deve ancora venire.
1. Partiamo da un’evidenza. La pandemia di Covid19 ha cambiato la fase. Ha sparpagliato le carte in gioco a livello complessivo, ci troviamo di fronte a un quadro mutato. Non nelle sue strutture portanti, certo, ma a livello dei suoi intimi processi e contraddizioni. Processi già da lungo avviati si sono visti accelerare inesorabilmente, contraddizioni aperte in tempi non sospetti si sono viste acuire. Nella trama complessiva dei rapporti economici, politici, sociali; non solo nello scontro tra classi, ma dentro le stesse classi; non solo nella competizione tra diversi blocchi sovranazionali di interessi capitalistici, ma all’interno di essi. In qualche modo, rispetto al mondo di prima, le condizioni di quello di oggi si sono potenzialmente avvicinate di un “passettino” a un punto di rottura. A sparpagliare le carte, d’altronde, il banco può saltare. Ma come? È l’interesse strategico dei militanti: la ricerca, la preparazione, l’assunzione soggettiva di questa possibilità di rottura. Esprimerne tatticamente la sua attualità, alle condizioni date. Praticarne rigidamente la prospettiva, dentro la tendenza. Strappare la rottura al piano inclinato dell’innovazione capitalistica, per ribaltarla in rottura autonoma, di parte. Trasformarla, quindi, in rivoluzione.
Alcuni dettagli sulla Fondazione privata Bruno Kessler, specializzata in intelligenza artificiale e che, tra le altre cose, si occupa anche della ricerca bellica (anche con partnership con università di tutto il mondo) e della messa a punto di armamenti e tecnologie per la gestione della sicurezza urbana, e che ha fornito a Cts (Comitato tecnico scientifico) e governo i modelli previsionali alla base della fase 2 dell’ “emergenza Covid”. Il presidente di FBK (Fondazione Bruno Kessler) è Francesco Profumo, l’ex ministro della ricerca del governo Monti. Il gruppo di lavoro della Fondazione Kessler, guidato dall’epidemiologo Stefano Merler, è stato coinvolto nelle Task Force governativa e regionali (Lombardia, Veneto, Trentino) per gestire la crisi del settore sanitario a seguito di ripetuti tagli nel settore (ovvero la cosiddetta emergenza Coronavirus) attraverso l’impiego di modelli matematici sulla trasmissibilità e di scenari alternativi a partire dai quali il governo e gli “esperti” hanno poi operato le proprie scelte.
Da oggi parte la campagna “Ora a casa restateci voi” per chiedere le dimissioni dirette della giunta Fontana dopo la gestione disastrosa dell’epidemia in Lombardia (di cui abbiamo già avuto modo di parlare anche noi in diversi approfondimenti in questi due mesi). Consapevoli che le responsabilità del disastro non si fermano alla Regione ma sono molto più profonde e coinvolgono anche importanti pezzi del governo, del Comune di Milano, di Confindustria e Confcommercio, convinti che la soluzione non sia il commissariamento ma la fine di questa classe tecnico-politica, sosteniamo l’appello per iniziare a farla finita con i signori verde-nero-azzurri della destra lombarda.