Il Progetto. Abbiamo lanciato questo crowdfunding per sostenere lesbiche, gay, trans e queer in difficoltà economica a causa della crisi sanitaria ed economica del Covid-19, con un’attenzione particolare ai bisogni di rifugiat* e richiedenti asilo lgbitq+, alla condizione delle e dei sex workers che non lavorano a causa del Covid e che sono esclus* da qualsiasi forma di sostegno statale, alla qualità della vita e del cibo, e ai bisogni immateriali, ma non meno essenziali, di comuncazione e connessione.
20 Maggio 2020. Un’analisi femminista dell’articolo 110 bis del Decreto Rilancio, che esclude gran parte delle persone migranti irregolarmente soggiornanti, condona i datori di lavoro sfruttatori e invisibilizza il lavoro femminile e le sue problematiche.
Abbiamo intervistato M., attivista femminista e operaia, che racconta come sta cambiando il lavoro operaio nel terzo settore in tempi di Covid19. Svolgere lavori essenziali durante il picco pandemico ha voluto dire prima di tutto mettere a rischio la propria salute, specialmente se le aziende lucrano sui fondi pubblici che dovrebbero usare per applicare norme di sicurezza che alla catena di montaggio sono virtualmente impossibili da seguire senza ridurre i ritmi della produzione. Lavoro essenziale vuol dire anche l’estensione dell’orario e la moltiplicazione dei turni senza che vi sia un aumento dei salari. Nel neonato settore della sanificazione salari bassissimi vengono corrisposti a una forza lavoro fatta prevalentemente di donne e migranti, che anche durante la crisi sanitaria sono sottoposte al ricatto del permesso di soggiorno. Questo tuttavia non ha impedito loro di prendere parola. In fabbriche, magazzini, ospedali, scioperi e proteste hanno mostrato l’attualità dello slogan dello sciopero femminista: se le nostre vite non valgono, ci fermiamo! La divisione sessuale del lavoro non si limita ai luoghi della produzione ma continua all’interno mura di casa, dove sono ancora una volta le donne a prendersi cura di figli, anziani e malati, come dimostra il fatto che siano soprattutto loro a fare richiesta dei congedi parentali. Proprio la divisione sessuale del lavoro e la connessione tra lavoro produttivo e riproduttivo è stata al centro delle mobilitazioni di Non Una di Meno, che ha anticipato con lo sciopero femminista dell’8 marzo quella possibilità di interrompere la produzione e riproduzione sociale, una possibilità che gli scioperi pandemici hanno rivendicato con forza. Come emerge chiaramente da questa intervista, partire dalle condizioni materiali e di vita è stata la prima spinta per la presa di parola e la costruzione di una lotta in questi mesi. Riconoscere la portata e l’attualità dello sciopero femminista è la chiave anche durante la ricostruzione, anticipare e continuare a sottolineare le connessioni fra razzismo, sessismo e sfruttamento è quanto mai necessario.
La quarantena, della fase 1, 2, 3… non ferma Maria Teresa Messidoro nel suo impegno a informare, e dove necessario contro-informare, rispetto a quanto accade nel sud del mondo, in particolare in America Latina.
Mentre le procedure di routine e non urgenti vengono rinviate nelle aree più colpite dall’epidemia, l’eccezionalità della situazione ha un impatto negativo sul diritto delle donne ad un aborto sicuro. Negli Stati Uniti, ad esempio, i legislatori repubblicani chiedono che qualsiasi nuovo finanziamento per combattere il COVID-19 includa l’emendamento Hyde anti-aborto.
Da un bel po’ di tempo ormai le donne non sono disposte a farsi addomesticare dal patriarcato. Che oggi esso tenti di riaffermarsi all’interno di una pandemia globale come supplemento necessario del dominio del capitale non è per loro una sorpresa: in fondo il patriarcato è pandemico da tempo immemorabile. In ogni parte del mondo e da posizioni diverse, le donne stanno continuando a rifiutare la violenza maschile e ad affermare la pretesa di libertà che in questi anni ha fatto dello sciopero femminista un processo globale.
La pandemia #COVID19 sta influendo drammaticamente sulle vite di chi fa lavoro sessuale. La maggior parte delle e dei #sexworker non è in grado di accedere alle prestazioni sociali istituite come misure di emergenza dal Governo. È un momento di disperazione e di paura: molte delle giovani sex worker donne e persone trans sono migranti, sole e senza una rete familiare a cui far riferimento; molte altre sono madri e con il loro lavoro sostengono tutta la famiglia.
20 aprile 2020. Mercoledì 15 aprile il Parlamento polacco ha iniziato la discussione di una proposta di legge che riduce al minimo le situazioni in cui una donna può ricorrere legalmente all’interruzione volontaria di gravidanza. Attualmente il paese ha già una delle legislazioni più restrittive d’Europa sull’aborto, che è consentito solo in caso di stupro, incesto, se la vita della madre è a rischio o in caso di gravi malformazioni. Il progetto di legge arrivato in Parlamento, lo vieterebbe anche in quest’ultimo caso, che secondo le organizzazioni per i diritti riproduttivi rappresenta il 98% delle interruzioni di gravidanza in Polonia. Si tratterebbe sostanzialmente di un divieto quasi totale. Insieme a quello sull’aborto, è arrivato in aula un altro disegno di legge, “Stop Pedofilia”, che mira a criminalizzare l’educazione sessuale per giovani e adolescenti.
Con la Professoressa ed Economista Annamaria Simonozzi analizziamo le misure prese per la pandemia del corona virus con un’ottica di genere. In tutti i periodi di crisi sono spesso le donne a pagare i prezzi più alti. Alcuni suoi scritti li possiamo anche trovare sulla rivista online ingenere.
Il diritto all’interruzione di gravidanza messo in discussione dal coronavirus
«Ho passato l’ultimo giorno utile prima del decreto che ci ha bloccati a casa, a tentare di contattare telefonicamente, invano, consultori e ospedali. Il giorno dopo sarei dovuta andare di persona, ma non è più stato possibile. Gli unici che mi hanno risposto non hanno più il reparto di ginecologia».
«Il mio medico di base non vuole farmi il certificato necessario per l’aborto, il mio ginecologo privato è obiettore, il consultorio del mio paese è chiuso, a quello della città vicina che dovrebbe essere aperto per emergenze non risponde mai nessuno».
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Per uscire insieme dalla pandemia e cambiare il sistema
Le ultime settimane di quarantena non fermano l’articolazione delle lotte femministe e transfemministe globali: quattro anni di scioperi femministi e transfemministi hanno già mostrato che la nostra mobilitazione attraversa confini e ci continua ad unire in un’unica grande marea.
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15 aprile 2020. Secondo i dati raccolti dalla rete di centri antiviolenza D.i.Re – Donne in rete contro la violenza, 2867 donne si sono rivolte ai centri antiviolenza dall’inizio del lockdown, con un incremento del 74,5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Secondo Paola Sdao, che con Sigrid Pisanu cura la rilevazione statistica annuale della rete D.i.Re, si tratta di “un dato che conferma quanto la convivenza forzata abbia ulteriormente esacerbato situazioni di violenza che le donne stavano vivendo”.
A cura della Coordinamenta Transfemminista di Udine
In questo momento di estrema confusione e incertezza pensiamo sia fondamentale condividere informazioni chiare che riguardino la salute sessuale e l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza durante l’emergenza sanitaria COVID-19.