Regolarizzazione braccianti: norme ipocrite e donne invisibili

Braccianti e regolarizzazione

Un’analisi femminista dell’articolo 110 bis del Decreto Rilancio, che esclude gran parte delle persone migranti irregolarmente soggiornanti, condona i datori di lavoro sfruttatori e invisibilizza il lavoro femminile e le sue problematiche.

Dopo due mesi di dibattiti tra politici di cui avremmo fatto volentieri a meno per la pochezza dei contenuti di stampo razzista e capitalista, è stato approvato il Decreto Rilancio. L’articolo 110 bis “Emersione di rapporti di lavoro” è quello che “finalmente” sancisce la regolarizzazione dei documenti di alcune persone immigrate. Si stima che saranno circa 200mila a fronte delle almeno 600-700mila persone sans-papier presenti in Italia, a cui si aggiungeranno coloro che, per via della crisi economica o dei permessi precari in scadenza, non riusciranno a rinnovare il permesso di soggiorno.

Cosa vuol dire essere “irregolari” in Italia?

Le persone migranti irregolari non possono iscriversi al Sistema Sanitario Nazionale: non hanno un medico di base e hanno accesso solo alle cure urgenti recandosi al Pronto Soccorso. I medici non potrebbero denunciare le persone considerate irregolari, ma spesso questo timore c’è e non incentiva a godere del diritto alla salute, già estremamente parziale.

Non potendo fare l’iscrizione anagrafica, non si ha accesso alle misure di welfare, ai servizi sociali e agli ammortizzatori sociali.

La mancanza di documenti, inoltre, impedisce l’accesso ad affitti e mutui e costringe in molti casi queste persone a vivere in, cosiddetti, insediamenti informali (spazi abbandonati, baraccopoli), spesso sovraffollati, in cui mancano i servizi igienici e l’acqua potabile.

Impossibilitate a svolgere lavori regolari e obbligate, quindi, a lavori precari e in nero, queste persone non hanno ufficialmente un reddito, perciò non possono, per esempio, richiedere il ricongiungimento familiare o la cittadinanza.

Quanto sia problematica la situazione di irregolarità, che costringe migliaia di persone all’invisibilità e le lascia senza accesso ai diritti fondamentali, è stato particolarmente evidente durante l’emergenza Covid-19 che ha palesato i rischi legati alla mancanza di accesso ai servizi sanitari, alla casa e alle misure di sostegno economico.

Abbandonate a loro stesse dallo Stato, senza soldi e senza spazi idonei a mantenere le distanze richieste e l’igiene necessaria, le persone migranti irregolari sono state supportate solo da gruppi attivisti e solidali.

Perché sono problematiche le nuove norme di regolarizzazione?

L’articolo 110 bis del cosiddetto Decreto Rilancio, prevede due canali di regolarizzazione: attraverso l’emersione del lavoro irregolare e attraverso il rinnovo del permesso di soggiorno scaduto per trovare un nuovo impiego.

È stato chiaro, fin dalle prime battute del dibattito, che l’interesse dei nostri politici per una misura di regolarizzazione fosse solo utilitaristico. In un momento in cui gli spostamenti sono difficoltosi, il settore agricolo, come denuncia la Coldiretti (“Il 40% di frutta e verdura rischia di marcire nei campi”), si è trovato privato delle braccia che ha sempre sfruttato per guadagnare producendo cibo a bassissimo costo. Allo stesso modo, durante la pandemia mondiale si è reso più necessario che mai il lavoro di cura, svolto nella maggior parte dei casi da badanti stranier*.

Allora si è deciso di regolarizzare lo “straniero utile”, continuando la retorica di maggiore o minore funzionalità di mercato che ha accompagnato i cittadini stranieri fin dai primi arrivi in Italia.

Gli immigrati ci “rubano il lavoro” ma ora ci serve che facciano quel lavoro, quello che “gli italiani non vogliono fare”.

Il testo, risulta evidente, non nasce per garantire ai cittadini stranieri il godimento dei diritti fondamentali di cui l’Occidente si vanta di essere la madrepatria, ma, al contrario, è chiaramente scritto seguendo le esigenze economiche e produttive capitalistiche che sono pronte a sacrificare tutto, anche le vite umane riducendole in schiavitù, pur di ottenere profitto.

Ricalcando l’ideologia colonialista, si ripropone un modello lavorativo, quello del caporalato, basato sul rapporto padrone – schiavo in cui è l’uomo bianco ad arricchirsi sulla pelle e con la forza lavoro della persona migrante, destinata solo a lavori di bassa manovalanza e considerata inferiore, un animale da soma piuttosto che una persona.

Vincolare i permessi di soggiorno ai contratti di lavoro e quindi alle logiche volatili del mercato, come ha dimostrato la legge Bossi-Fini, è proprio ciò che ha creato, insieme ai decreti sicurezza firmati da Matteo Salvini, questo grandissimo numero di persone irregolarmente presenti sul territorio, invisibili, abbandonate nelle mani dello sfruttamento, lavorativo e del caporalato, che le espone a molestie e minacce.

Come già successo con le passate regolarizzazioni, questo vincolo incentiva il traffico di contratti di lavoro e spinge le persone migranti ad accettare qualunque tipo di contratto, anche sottopagato, pur di non essere espulse. Allo stesso tempo espone  lavoratori e lavoratrici al rischio di ricatti da parte del datore di lavoro sul numero di ore lavorative e sulla paga.

Il testo ha un intento chiaramente limitante ed escludente a causa dei requisiti troppo stringenti.

L’articolo, infatti, prevede l’esclusione delle persone condannate, tra le altre cose, per reato in flagranza o per reati inerenti gli stupefacenti. Una clausola che a una prima lettura potrebbe sembrare ragionevole, ma come sappiamo, reati come il furto, la ricettazione, lo spaccio di droghe, sono statisticamente più diffusi nella popolazione migrante proprio a causa delle difficoltà ad accedere a forme di lavoro regolari e non precarie. Porre una condanna, anche non definitiva, su reati di questo tipo come un limite per l’accesso alla regolarizzazione è chiaramente fatto con l’intento di escludere un’ampia fetta di popolazione migrante.

C’è poi il vincolo della prova di presenza sul territorio prima della data dell’8 marzo attraverso i rilievi fotodattiloscopici (cioè il rilevamento delle impronte digitali), che lascia la possibilità della regolarizzazione al caso: è tutta questione di fortuna/sfortuna, perché se la persona non è mai stata fermata dalle forze dell’ordine non li ha.

Inoltre, secondo l’avvocato Paolo Cognini, è un “mero esercizio di potere e contenimento” l’aver stabilito la data del 31 ottobre 2019 come momento a partire dal quale se è scaduto il permesso di soggiorno allora si può far domanda, soprattutto tenendo conto che l’ultima regolarizzazione risale al 2012.

Braccianti e regolarizzazione

Una regolarizzazione che agevola i padroni sfruttatori

Al contrario l’articolo 110 bis sembra chiaramente agevolare il datore di lavoro che ha sempre sfruttato il lavoro in nero. Pagando 400 euro e una multa simbolica (sarà la persona migrante a sborsare la cifra pur di ottenere la regolarizzazione?), il datore di lavoro di fatto ottiene un condono, lo Stato riscuote liquidità in un momento di crisi economica, mentre la persona migrante non recupera le coperture previdenziali non versate.

Se poi la procedura di regolarizzazione richiesta dal datore di lavoro ha esito negativo per motivi non legati a lui, viene comunque condonato. Mentre il migrante a cui viene rifiutata la richiesta per motivi non legati alla sua persona, si ritrova di nuovo nello status di irregolarità, con un procedimento di espulsione e probabilmente anche rinchiuso in un CPR (Centro di permanenza per il rimpatrio).

Questa legge quindi non mette in discussione i meccanismi strutturali che incentivano lo sfruttamento della mano d’opera in nero dovuti all’economia capitalistica basata sulla concorrenza a tutti i costi – che produce lavoro invisibile e vite usa e getta – e alle leggi securitarie e discriminatorie in materie di immigrazione che producono in realtà irregolarità.

Le donne migranti sono state invisibilizzate

Il dibattito sulla regolarizzazione ha avuto al centro il migrante maschio bracciante. Le lavoratrici migranti in ambito agricolo sono state invisibilizzate e poco spazio è stato dato ai lavori di cura, storicamente a netta maggioranza femminile.

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Eppure la situazione delle braccianti, come è stato denunciato da Stefania Prandi nel libro Oro rosso. Fragole, pomodori, molestie e sfruttamento nel Mediterraneo (qui la nostra intervista all’autrice), è estremamente problematica e necessita di una regolarizzazione. Tra l’isolamento sociale delle braccianti e l’omertà e il silenzio diffuso delle istituzioni, le donne impiegate nel settore agricolo sono sfruttate perché possono essere pagate meno degli uomini e subiscono minacce, abusi e violenze, anche sessuali.

Nonostante l’abuso del potere sia una pratica conclamata, per le donne è difficile denunciare a causa della vergogna, della colpevolizzazione delle vittime (detta victim blaming) e per la paura di ritorsioni e di perdere il lavoro, non riuscendo più a mantenere se stesse e i/le figli/e.

“C’è una dinamica del ricatto – scrivono Alessandra Sciurba e Letizia Palumbo in Vulnerability to Forced Labour and Traffiking – le donne migranti che lavorano nelle serre sanno che per mantenere il posto, presto o tardi, dovranno probabilmente assecondare le richieste sessuali dei datori di lavoro”.

Le lavoratrici domestiche e della cura, colf e badanti, per la maggior parte originarie di paesi dell’Est o extra-europei, si sono trovate a vivere una situazione estremamente precaria durante l’emergenza sanitaria: per paura del contagio, sono state licenziate e sostituite dai familiari, spesso donne, rimaste a loro volta a casa con uno stipendio ridotto o disoccupate.

“Perdere il lavoro, o vedersi ridurre l’orario lavorativo, mette a rischio la possibilità del rinnovo del permesso di soggiorno: la crisi può tradursi in un ampliamento dell’irregolarità, già molto diffusa nel settore del lavoro domestico e di cura, e più in generale nell’economia italiana”, si legge nell’appello Verso una democrazia della cura. Ancora una volta il welfare pubblico ha dimostrato tutta la sua inadeguatezza, lasciando il lavoro di cura al “welfare parallelo” totalmente a carico delle donne, mogli bianche che si dividono tra casa, famiglia e lavoro o donne razzizzate e supersfruttate.

Il licenziamento per le badanti è estremamente problematico perché oltre allo stipendio, perdono anche la casa, poiché spesso gli accordi di lavoro prevedono anche vitto e alloggio. Inoltre, vivendo di fatto una segregazione non solo occupazionale ma anche fisica tra le mura domestiche, difficilmente sono state fermate e sottoposte ai rilievi fotodattiloscopici, necessari per esser riconosciute come presenti sul territorio prima dell’8 marzo 2020.

Resta ovviamente escluso il sex work, non riconosciuto nemmeno come un lavoro, le cui lavoratrici però, come hanno denunciato in questi mesi Ombre Rosse, il Comitato per i diritti civili delle prostitute e le unità di strada, sono fortemente in difficoltà.

Il lavoro femminile migrante rimane ancora fortemente impregnato da retoriche sessiste e da stereotipi colonialisti che vedono la donna nera a disposizione dell’uomo bianco, anche e soprattutto sessualmente, e la donna dell’Est naturalmente “puttana” e perciò disponibile. Le molestie e gli stupri sono pratiche diffuse, che questo decreto non nomina, non prende in considerazione e quindi non combatte.

Ascoltare le persone migranti

Ancora una volta non si ascoltano le richieste delle persone direttamente interessate, con un mix di paternalismo e razzismo si silenzia la voce delle persone migranti, considerate sempre incapaci di parlare per loro stesse. Ma le persone attiviste migranti esistono, sono in grado di formulare opinioni, di esprimere i loro bisogni e andrebbero ascoltate!

Aboubakar Soumahoro, sindacalista USB, ha lanciato uno sciopero dei braccianti delusi dalle misure proposte dal decreto: “Siamo invisibili per il governo, il 21 maggio saremo invisibili anche nei campi”.

In questi mesi due campagne si sono mosse per richiedere la regolarizzazione delle persone sans papier in Italia e oggi contestano, proponendo misure alternative, i canali individuati dal decreto.

L’Asgi, Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, chiede permessi di soggiorno con durata di un anno con criteri meno stringenti di accesso che permetterebbero a tutte e tutti di ottenerlo. Sapere chi è in Italia e includerlo nei percorsi sanitari di prevenzione, diagnosi e cura è oggi indispensabile per la salute di tutti, spiegano.

La campagna Siamo qui. Sanatoria Subito, promuove una regolarizzazione generalizzata, slegata dal contratto di lavoro, per avere accesso, non solo a tempo determinato, ai diritti fondamentali, alle misure di sostegno del welfare, alla casa, a un salario degno, alla salute.

Non vanno regolarizzate le braccia ma gli esseri umani!

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FONTE: https://pasionaria.it/braccianti-migranti-regolarizzazione-coronavirus/


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