Abbiamo raccolto i racconti dei due compagni e delle due compagne arrestate domenica 19 aprile in corso Giulio Cesare, e ora sottoposti a tre obblighi di firma e un divieto di dimora.
Uno scorcio sulla vita nel carcere delle Vallette al tempo del coronavirus.
Oggi, 24 aprile, da dentro il CPR di Gradisca ci fanno sapere che ci sono almeno cinque persone positive al Coronavirus. Queste persone sono rinchiuse nelle celle comuni, con altri detenuti. Alcune di queste persone sono state deportate dalla Lombardia, in piena emergenza Coronavirus. La Regione Friuli-Venezia Giulia dichiara che ci sono tre persone positive in isolamento: questo è falso. Abbiamo ricevuto fotografie che testimoniano chiaramente che le persone infette sono a contatto con gli altri reclusi: la fotografia allegata è l’esito del tampone di un ragazzo che vive in una cella con un compagno negativo. Le persone positive hanno portato i materassi fuori dalle celle, per dormire nelle gabbie all’aperto e non infettare i propri compagni.
Visto che fino ad oggi il nostro compagno Gabriel non ha scritto comunicati ufficiali, queste parole vogliono essere precisamente un comunicato/diario, oltre che un modo per condividere con quelle persone e compagnx più affini quello che pensa in merito a diverse tematiche. Lo stesso Gabriel ha chiesto esplicitamente alla sua compagna di selezionare quei frammenti (delle lettere a lei inviate) dove riflette/analizza e o specula su questioni interessanti relative all’attuale situazione: il «coronavirus» in carcere, la situazione giudiziaria o le circostanze della sua prigionia. Gabriel sta bene di salute e di spirito ed è pronto per la guerra che lo aspetta nelle galere dello Stato spagnolo. Nonostante la sentenza definitiva del Tribunale Supremo di Lisbona che conferma la sua consegna allo Stato spagnolo, non sappiamo ancora se le «autorità» lo consegnerebbero senza considerare lo «stato di emergenza» dichiarato in funzione della «pandemia» da «Covid-19». Di fatto questo stesso «stato di emergenza» impedisce (teoricamente) la consegna di prigionierx ad altri paesi durante tutta la sua durata.
Un archivio di notizie rilevanti che possono aiutare ad avviare dibattiti e riflessioni comuni sulle richieste che collettivamente dovremmo fare per un futuro più giusto.
Vogliamo esprimere la nostra solidarietà ai parenti dei detenuti di Rebibbia, alle compagne e ai compagni di Rete Evasioni e ai-alle detenuti/e stessi/e per quanto accaduto ieri di fronte al carcere romano.
Uno sguardo sulla gestione dell’emergenza coronavirus nella principale economia e forse anche quello con la maggior disparità sociale: il Sud Africa.
Una delle prime decisioni del governo sudafricano ha deciso la chiusura dei negozi che vendevano alcolici, alcuni dei quali sono stati saccheggiati nelle scorse giornate. Altre tensioni sono nate all’interno delle township dalla chiusura di piccoli negozi di alimentari a gestione da parte di immigrati, che solo ieri sono stati riaperti dopo le proteste dei commercianti e da parte della popolazione stessa delle township che si rifornisce principalmente in questi locali. Continue reading
Nel pomeriggio del 14 aprile nel CAS di Torre Maura sono state date alle fiamme lenzuola e mobili, l’incendio pare essere partito dal terzo piano. Nei giorni passati all’interno del centro sono stati refertati 4 casi di positività al covid19 e tutte le persone presenti nella struttura erano state rinchiuse.Pare però che da settimane venivano chiesti i tamponi per i cosidetti “ospiti”. Per questo c’erano stati dei tentativi di fuga, oltre ad attacchi alla struttura da parte dei fasci. Così da giorni alcuni mezzi della polizia presidiavano l’ingresso ed era stata anche alzata la recinzione.
Già il 7 aprile alcuni solerti cittadini avevano dato l’allarme perché si erano accorti che alcuni “ospiti” stavano scavalcando le mura del CAS.
Nella notte arriva la ripercussione delle guardie: 100 agenti in assetto antisommossa svegliano i detenuti di soprassalto e li piacchiano selvaggiamente. Le comunicazioni e le videochiamate vengono bloccate ma la notizia riesce ad uscire e un gruppo di parenti si riunisce davanti alla casa circondariale per sapere lo stato di salute dei propri cari. Appena iniziano a uscire alcuni detenuti, sono evidenti sul loro corpo i segni di una mattanza.
Qui vi riportiamo le parole di un parente che ha deciso di telefonare a RadioBlakout ed esprimere le sue preoccupazioni e la sua rabbia.
Coronavirus nel carcere di Caserta,
i detenuti: «Massacrati in cella»
Martedì 14 Aprile 2020
È un detenuto scarcerato venerdì l’uomo comparso, in questi giorni, in una foto pubblicata sui social network con la schiena striata da lividi e graffi. Quello stesso detenuto compare in un video inviato a Il Mattino in cui racconta ciò che, secondo lui, è accaduto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere tra le 15 e la mezzanotte di lunedì. Quando, secondo il recluso napoletano che ha denunciato il tutto alle autorità preposte, una volta andati via dal carcere i magistrati di sorveglianza, nel reparto Nilo ci sarebbe stata una rappresaglia della polizia penitenziaria nei confronti dei detenuti che avevano preso parte alla protesta del giorno precedente.
«Quando abbiamo saputo che c’era un detenuto contagiato ci siamo spaventati, noi chiedevamo le distanze e che le guardie non entrassero più nella sezione senza mascherine. Abbiamo chiesto i tamponi e ci hanno promesso che li avrebbero fatti il lunedì. Sono uscito oggi (ieri, ndr) e di tamponi non ne ho visti. L’unica cosa che ho visto, per la prima volta in vita mia nonostante sono stato quindici anni in carcere, è un abuso di potere senza precedenti»: parla un detenuto ai domiciliari da ieri mattina. «Abbiamo protestato, è vero, ma abbiamo fatto solo lo sciopero della fame e la battitura, non abbiamo mai alzato le mani. Abbiamo manifestato la nostra paura di morire come topi in carcere. Lì al Nilo ci sono cardiopatici e diabetici, ormai il virus arriverà anche lì e se non si prendono provvedimenti sarà una tragedia. Dicevano che ci avrebbero fatto i tamponi, lunedì aspettavamo le telefonate normali alle 14.30 e ci hanno detto che non c’era linea. Al quarto piano, io stavo all’ottava sezione, abbiamo iniziato a sentire grida d’aiuto. La gente del padiglione Tevere ci urlava che stavano venendo pure da noi. Ci hanno detto: “Togliti le lenti e mettiti faccia a muro”. Sono arrivate 100 guardie e ci hanno presi a colpi di manganelli nelle spalle e sulle gambe. Urlavano “Noi siamo lo Stato! Noi comandiamo, voi siete la munnezza”. Mi creda, in quel momento anche il più grande delinquente ha avuto paura di morire. Quelli che hanno fatto i promotori della rivolta sono stati picchiati molto più duramente, c’era sangue nelle celle. Io ho preso solo calci perché non ho reagito. Mai in vita mia ho visto una cosa simile, denuncerò tutto». Il detenuto, 50 anni, si è rivolto al suo avvocato per informare la Procura. E non è il solo. «Ci hanno presi a anni di manganellate su tutto il corpo, pensavo che saremmo morti. Ci hanno tirato fuori dalle celle, picchiandoci anche mentre eravamo sulle scale, sto soffrendo per quello che ho subito, ci hanno danneggiato fisicamente e psicologicamente. Chiedo un aiuto per i miei amici che sono rimasti ancora lì». È il racconto di un secondo detenuto, liberato venerdì, colui che ha inviato un video a Il Mattino. Ha grossi bernoccoli sulla testa oltre ai segni rossi sulle spalle. «Dovevano scarcerarmi lunedì sera, ma la misura firmata dal giudice è stata eseguita cinque giorni dopo nella speranza che si attenuassero sul mio corpo i lividi e gli altri segni di percosse. Altri sono messi peggio di me: ho denunciato tutto per tutelare chi è ancora dentro il carcere».
Dal giorno della protesta delle donne dei detenuti davanti al carcere di Santa Maria Capua Vetere, molti di questi racconti sono stati inviati al garante dei detenuti napoletani, Pietro Ioia, che li ha condivisi sui suoi canali social, e al garante campano, Samuele Ciambriello, che ha scritto alla Procura di Santa Maria Capua Vetere per chiedere che si avviino le verifiche del caso. Anche i Radicali hanno trasferito ai pm l’sos dei familiari. E, prima ancora, erano stati i magistrati di sorveglianza ad apprendere dell’esistenza dei file di denuncia sui maltrattamenti e a innescare verifiche.
Diametralmente opposta a quella resa dai detenuti è la versione dei fatti del Dap. Dopo la rivolta del fine settimana, infatti, il Dipartimento ha negato ogni forma di violenza. E, nel contempo, è stato reso noto che, dopo la «battitura», diversi detenuti del Nilo avevano probabilmente in animo di organizzare una rivolta ben più energica di quella di domenica. Durante una perquisizione straordinaria, la polizia penitenziaria avrebbe infatti ritrovato in diverse celle del reparto Nilo armi rudimentali, come mazze e lame ricavate da oggetti di fortuna, oltre a diversi telefoni cellulari. Inoltre, nel corso della prima protesta, alcuni reclusi avrebbero minacciato gli agenti con dei contenitori pieni di olio bollente. Saranno gli accertamenti della Procura a chiarire se, dentro le mura dell’Uccella, lunedì si è verificato qualcosa di illecito.
Franco (nome di fantasia), recluso nelle sezioni di alta sicurezza della casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, è in attesa di giudizio e non sa ancora se il giudice lo riterrà colpevole o innocente. Si ammala qualche settimana prima di Pasqua. Picchi di febbre e problemi respiratori fanno pensare al peggio. Dopo qualche ora di monitoraggio viene “isolato” in infermeria per verificare l’evoluzione dei sintomi. I familiari riescono ancora a comunicare con lui tramite videochiamate ma hanno l’impressione che le cose stiano prendendo una brutta piega. Hanno paura, come tutti. Riescono a sapere tramite l’associazione Antigone e l’ufficio del garante dei detenuti campano che la situazione per ora è monitorata, ma si dovranno fare accertamenti specifici per capire il tipo di malessere. Qualche giorno dopo, la direzione sanitaria che opera in carcere avverte la famiglia che Franco è stato sottoposto a tampone da Covid-19 risultando positivo. Nel frattempo, sarebbe stato ricoverato presso la struttura ospedaliera napoletana del Cotugno. Continue reading
Per due giorni i politici discutono sulla pelle delle persone detenute.
A un mese dalle proteste l’incolumità dei nostri cari è ancora in pericolo, decine sono i contagi ed è già morta una persona.
Adesso basta! Tutte e tutti salvi, tutte e tutti a casa.