13 maggio 2020. Bologna. Sette persone condotte in quattro diverse carceri, obbligo di dimora per altre cinque. Al centro delle accuse l’incendio di un ripetitore avvenuto nel dicembre 2018 a Monte Donato. Tuttavia, fa sapere la Procura, l’operazione avrebbe “strategica valenza preventiva” rispetto a “momenti di tensione sociale” durante l’emergenza coronavirus, come le proteste alla Dozza.
Questa notte 7 compagne/i sono state/i arrestate/i in esecuzione di un’ordinanza del GIP di Bologna per 270bis. Elena, Nicole, Stefania, Guido, Duccio, Giuseppe, Leo.
Sono state perquisite le loro abitazioni e il Tribolo. Altr* cinque compagn* hanno ricevuto la misura dell’obbligo di dimora e di firma a Bologna. Anche le loro abitazioni sono state perquisite.
Di entrambi si parla da mesi. Ma il governo non ha una strategia precisa né sugli uni né sugli altri, le regioni (in alcuni casi persino i comuni) si muovono da soli e i rischi, anche di violazioni, sono tanti
La pandemia ha bloccato la macchina del capitalismo. Ma sappiamo che questo blocco è temporaneo. Sappiamo anche che le pandemie non sono certo una novità, ma questa è la prima dell’Era Digitale, dove è arrivata come un regalo agli stati autoritari. Lo dimostra, ad esempio, l’imposizione in molti stati delle applicazione di sorveglianza sanitaria. “Se prima del coronavirus ci aggiravamo da sonnambuli nello stato della sorveglianza, oggi stiamo correndo in preda al panico tra le braccia di uno stato della super-sorveglianza – scrive Arundhati Roy – in cui ci è chiesto di rinunciare a tutto… Come fermare questo motore? Questo è il nostro compito”
La crisi della filiera della produzione della carne, con più di 5mila casi di Covid-19 e già 20 morti, ha prodotto una crisi politica in un paese che ha fatto della cultura dell’hamburger e del barbecue uno dei propri pilastri identitari. Ma ha anche svelato una delle storie di sfruttamento del lavoro più brutali in uno dei settori industriali più anti-sindacali, da cui negli Ottanta è partita la controffensiva neoliberista reaganiana.
Il progetto Brigata Brighella è nato dall’urgenza di contribuire a rimarginare le ferite del tessuto sociale causate -anche- dalla pandemia. La Brigata Brighella è un teatro ambulante animato da contastorie che distribuisce allegria sogno e fantasia nei territori più vulnerabili, case popolari e periferie urbane, della nostra città. Portando anche pacchi alimentari, elaboriamo e raccontiamo fiabe contemporanee per la città che abitiamo e per il mondo in cui viviamo oggi, con un occhio di riguardo all’attualità, all’intercultura e alla convivenza civile. Attraverso il dialogo, già avviato, con il territorio, creiamo incontro e comunità. Brigata Brighella è un lavoro drammaturgico-attorale originale a servizio della comunità, per rafforzare l’inclusione sociale nella nostra città. Il gioco del teatro è la pratica che esercitiamo per creare comunità e incontro, tra bambini e non. È un dono che abbiamo deciso di fare come volontari in un momento di forte crisi economica ed emotiva.
«O moriamo di fame, o moriamo di Coronavirus», sintetizza R., un’abitante del campo rom di Cupa Perillo a Scampia, e non c’è molta ironia nella sua voce. Non è l’unica cosa che pensa di questa situazione. Pensa anche che le circa centocinquanta bambine e bambini che frequentano regolarmente la scuola, relegati nelle baracche senza connessione e senza tablet non avranno alcuna possibilità di stare al passo con i compagni della loro età. Pensa ai vecchi che non hanno alcuna forma di reddito, che a stare fermi magari non si ammalano, ma che non possono andare avanti. Pensa a quelli già ammalati. Pensa a chi come lei ha un lavoro che ha subito un’interruzione e non sa se riprenderà, o a chi non ha niente, magari per assenza di documenti, e deve comunque uscire tutti i giorni per pensare alla sopravvivenza per sé e per gli altri. Tuttavia, in maniera disciplinata, spaventati come tutte e tutti su questo pianeta, le norme di chiusura i rom le hanno rispettate alla lettera, senza muoversi. E almeno nessuno si è ammalato di Coronavirus.
In un momento come quello attuale, che la tecnologia sia un fatto politico sta diventando molto più evidente di quando le nostre infrastrutture funzionano senza problemi. Molti sono i processi in corso: la comunicazione virtuale, l’uso di piattaforme digitali e l’automazione dei processi produttivi assumono nuovi connotati mentre evitiamo di incontrarci dal vivo o fare acquisti in maniera diretta. Tali cambiamenti sono destinati ad avere effetti a lungo termine sull’ecosistema tecnologico in cui viviamo e ancora maggiori ricadute sull’organizzazione del lavoro. Vecchie preoccupazioni tecnopolitiche sulle barriere all’accesso, la neutralità della rete, la sorveglianza e la proprietà sui dati, la proprietà pubblica delle infrastrutture per le telecomunicazioni e il potere radicato degli oligopoli tecnologici stanno tornano a interrogarci con urgenza.
11 maggio 2020. Gli allevamenti intensivi, negli ultimi dieci anni, sono stati il terreno fertile per lo sviluppo di nuove malattie infettive che dagli animali, segregati in minuscole gabbie e costretti a vivere tra escrementi e topi, sono poi arrivate all’uomo. Continuando così, c’è il rischio di nuovi e diversi focolai.
[Pubblichiamo questo articolo, aldilà del fatto che contenga analisi di “esperti” che sono parte attiva del problema, perché contenente indicazioni e dati interessanti]. Continue reading
Non solo Bezos è titolare del brand che vale di più al mondo, ma il titolo della sua compagnia Amazon vola incontrastato in borsa: nella seduta dello scorso 14 aprile il prezzo ad azione aveva raggiunto la cifra record di 2.283 dollari (era 2.170,22 dollari il 19 febbraio). E l’emergenza globale in corso ha contribuito a rendere ancor più evidente quanto Amazon sia l’infrastruttura principe del mercato, indispensabile sia per i consumatori sia per gli stessi concorrenti. Tutto ciò mentre il colosso di Seattle pratica normalmente il predatory pricing (una strategia tariffaria in cui i prezzi di beni o servizi vengono inizialmente fissati ad un prezzo molto basso con l’intento di limitare la concorrenza e creare barriere all’ingresso per poi procedere al successivo rialzo in fase di monopolio).
Diversi studi, ancora a livello preliminare, segnalano un nesso tra inquinamento e mortalità da Covid-19. Il degrado ambientale è all’origine di quasi tutte le epidemie passate e lo sarà di altre future.
E’ stato licenziato l’operatore sanitario che aveva denunciato la Fondazione Don Gnocchi, una delle Rsa private finita al centro di una delle inchieste della procura di Milano per epidemia e omicidio colposi.
Abbiamo intervistato M., attivista femminista e operaia, che racconta come sta cambiando il lavoro operaio nel terzo settore in tempi di Covid19. Svolgere lavori essenziali durante il picco pandemico ha voluto dire prima di tutto mettere a rischio la propria salute, specialmente se le aziende lucrano sui fondi pubblici che dovrebbero usare per applicare norme di sicurezza che alla catena di montaggio sono virtualmente impossibili da seguire senza ridurre i ritmi della produzione. Lavoro essenziale vuol dire anche l’estensione dell’orario e la moltiplicazione dei turni senza che vi sia un aumento dei salari. Nel neonato settore della sanificazione salari bassissimi vengono corrisposti a una forza lavoro fatta prevalentemente di donne e migranti, che anche durante la crisi sanitaria sono sottoposte al ricatto del permesso di soggiorno. Questo tuttavia non ha impedito loro di prendere parola. In fabbriche, magazzini, ospedali, scioperi e proteste hanno mostrato l’attualità dello slogan dello sciopero femminista: se le nostre vite non valgono, ci fermiamo! La divisione sessuale del lavoro non si limita ai luoghi della produzione ma continua all’interno mura di casa, dove sono ancora una volta le donne a prendersi cura di figli, anziani e malati, come dimostra il fatto che siano soprattutto loro a fare richiesta dei congedi parentali. Proprio la divisione sessuale del lavoro e la connessione tra lavoro produttivo e riproduttivo è stata al centro delle mobilitazioni di Non Una di Meno, che ha anticipato con lo sciopero femminista dell’8 marzo quella possibilità di interrompere la produzione e riproduzione sociale, una possibilità che gli scioperi pandemici hanno rivendicato con forza. Come emerge chiaramente da questa intervista, partire dalle condizioni materiali e di vita è stata la prima spinta per la presa di parola e la costruzione di una lotta in questi mesi. Riconoscere la portata e l’attualità dello sciopero femminista è la chiave anche durante la ricostruzione, anticipare e continuare a sottolineare le connessioni fra razzismo, sessismo e sfruttamento è quanto mai necessario.
Di seguito un articolo che parla delle app di tracciamento dei contatti. A differenza di quanto si afferma nell’articolo, sappiamo che queste app non solo sono del tutto inutili dal punto di vista del contenimento della diffusione di un qualsivoglia virus, ma anche potenzialmente pericolose per la sfera dei diritti e delle libertà individuali, poiché condizionano e assuefanno via via all’uso delle varie tecnologie del controllo, in vista di una società sotto stretta sorveglianza hi-tech, sul modello cinese tanto invocato dagli “esperti” ed indicato quale esempio da seguire. Se lo pubblichiamo è perché contiene alcune informazioni utili.
11 maggio 2020. Cordinamento migranti: “Sentenza che conferma il razzismo delle leggi e delle istituzioni di questo Paese”. Asgi, che aveva presentato l’esposto: “Decisione ingiusta”. Ieri sera, intanto, solidali con megafono e fuochi d’artificio sotto il carcere della Dozza.