La frenesia globale della caccia al vaccino anti-Covid, ha fornito al governo di Jair Bolsonaro il pretesto ideale per distrarre l’opinione pubblica interna e internazionale dalla pessima gestione della pandemia in corso, culminata con il siluramento e le dimissioni di ben due ministri della Salute nel giro di un mese, Luiz Henrique Mandetta e Nelson Teich – rispettivamente ortopedico e oncologo affermati – i quali si erano battuti, il primo soprattutto, per rafforzare la prevenzione attraverso lo screening di massa e la chiusura delle attività commerciali. Le uniche armi su cui la più grande nazione sudamericana poteva puntare per evitare lo sterminio attuale, data la precarietà della sua sanità pubblica, e lo stato di promiscuità domestica di oltre metà della popolazione – 110 milioni di individui – ammassata in favelas e “bairros” popolari senza fognature e acqua potabile, sovente costretta in baracche di 40-50 mq. dove vivono stipate una media di 7-8 persone per unità abitativa.
Tag Archives: Brasile
Brasile: sui poveri si abbatte il Covid e la violenza di polizia
Nello stato di Rio ad aprile e maggio almeno 65 vittime per «operazioni di sicurezza»
Neanche le misure di isolamento sociale, varate per contrastare la pandemia, sono riuscite a fermare l’azione violenta della polizia brasiliana.
Le carceri in Brasile col coronavirus assomigliano all’inferno
21 luglio 2020
Le carceri brasiliane ai tempi del coronavirus hanno l’aspetto di un girone dantesco. È questa l’immagine che restituisce Sergio Grossi, ricercatore dell’Università di Padova e dell’Universidade Federal Fluminense di Rio de Janeiro, specializzato in Educazione e Carcere.
Tornato in fretta e furia in Italia a causa del collasso del sistema sanitario, pubblico e privato, del Paese – che finora ha registrato più di due milioni di contagiati da coronavirus e più di 80mila morti – il ricercatore racconta ai nostri microfoni la situazione nelle carceri brasiliane.
Anarres del 10 luglio. L’Eni e le missioni militari italiane. Liber* e mostruosu. Nuova toponomastica a Torino. Brasile. Pandemia, lotte sociali e autogestione.
Come ogni venerdì abbiamo fatto il nostro viaggio settimanale su Anarres, il pianeta delle utopie concrete. Dalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming.
Ascolta e diffondi l’escopost:
Il Coronavirus si abbatte sui Paesi poveri, ma noi siamo nella Fase 2 e ce ne freghiamo
Più di 20mila casi in un giorno in Brasile, più di 6000 tra India e Bangladesh devastate dal tornado, e migliaia di casi in Africa, in aumento esponenziale. Mentre l’Europa entra nella fase 2, il mondo muore di Coronavirus nella nostra indifferenza più totale. Lontani i giorni della solidarietà globale, l’Occidente si mostra per quel che è: un pezzo di mondo arido ed egoista.
di Francesco Cancellato
Forse, presi come siamo dalla movida e dalla ripartenza della serie A non ce ne siamo nemmeno accorti, ma il Coronavirus si sta espandendo nei Paesi e nei continenti più poveri del pianeta, con una violenza mai vista sinora, nemmeno a Bergamo, o a Madrid, o a New York. Per dire, ieri è stato il giorno con il maggior numero di nuovi casi dall’inizio dell’epidemia e ci sono stati più di 20mila contagi in un giorno in Brasile, più di 6000 tra India e Bangladesh, devastate dal ciclone Amphan, più di 4000 in Perù, quasi 3000 in Arabia Saudita, più di 4000 in Cile, quasi 2000 in Pakistan, quasi 1000 in Bielorussia, quasi 500 in Afghanistan, più di 400 in Sudan. Potremmo continuare con l’elenco, ma il messaggio è già abbastanza chiaro così: mentre noi Paesi ricchi e occidentali siamo in piena fase 2, e pensiamo a far ripartire l’economia e la vita di tutti i giorni, nel resto del mondo, quello che ricco non è, l’orrore è appena cominciato. Ed è un orrore che non possiamo neanche immaginarci, nemmeno dopo aver visto sfilare le bare sui convogli militari a Bergamo, quando invocavamo la solidarietà del mondo intero.
Acqua sotto i ponti, ormai. Come ampiamente prevedibile, a tutto questo stiamo reagendo con la solita, insopportabile, indifferenza. Niente servizi sui telegiornali, né arcobaleni alle finestre e “andrà tutto bene” per i profughi rohingya di Cox Bazar, o per gli indio dell’Amazzonia, o per la popolazione afghana devastata da decenni di guerra. Soprattutto, nemmeno una parola da parte del mondo politico occidentale, europeo e americano, se non per la solita squallida eccezione di Donald J. Trump, che si è subito affrettato a emanare un travel ban nei confronti dei brasiliani, sia mai che provino a entrare negli Stati Uniti. E tutto questo nonostante persino l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per bocca di Tedros Adhanom Ghebreyesus, suo direttore generale, abbia più volte espresso “profonda preoccupazione per l’impatto che potrebbe avere su popolazioni che hanno già molti casi di Hiv e malnutrizione”.
Non che l’Europa sia meglio, o che gli italiani-brava-gente si staglino in questo mare di colpevole indifferenza. Lontani i giorni in cui accoglievamo tra gli applausi i medici russi, cinesi, cubani e albanesi venuti a darci una mano, o le forniture di mascherine e gli attestati di solidarietà che arrivavano da tutto il mondo. Ora il mondo brucia e noi ci voltiamo dall’altra parte, come da copione. Abbiamo ospedali Covid vuoti? Sia mai che doniamo mezzo respiratore a Paesi che seppelliscono cadaveri al ritmo di migliaia al giorno. Mendichiamo miliardi a Bruxelles? Sia mai che ci venga in mente di alzare il ditino e chiedere all’Europa di cacciare qualche miliardo in più per i Paesi che stanno sull’altra sponda del Mediterraneo. Chiediamo a gran voce la mutualizzazione del nostro debito e degli Eurobond? Sia mai che a qualcuno non venga la pazza idea di proporre una moratoria dei debiti per i Paesi africani che non hanno nemmeno gli ospedali, figurarsi mascherine, tamponi e respiratori.
Gianluca Vialli, parlando del suo tumore, ha detto che la malattia non ti cambia, ma ti rivela per quel che sei. Ecco, lo stesso vale per le pandemie. Il dolore, la sofferenza e la solidarietà altrui non ci hanno cambiato, ma ci hanno solo mostrato per quel che siamo: un pezzo di mondo arido, egoista, indifferente a tutto quel che lo circonda. E, lo diciamo con rassegnazione, ce ne renderemo conto quando torneremo alle urne, nei prossimi mesi, quando a trionfare saranno quelli che urleranno “prima gli italiani”, quelli che ci diranno di non preoccuparci della sofferenza altrui, quelli che bolleranno come nemici del popolo e anti-italiani chiunque provi a sussurrare il contrario. Mendicanti coi ricchi, egoisti coi poveri: davvero vogliamo essere ricordati così? Davvero non ci facciamo nemmeno un briciolo di orrore?
Brasile. Le fosse comuni per i morti di Coronavirus
La pandemia di coronavirus, che sta dilagando in tutto il mondo, ha colpito in maniera particolarmente dura il più grande Paese dell’America Latina, il Brasile. Secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute lo scorso martedì (21 aprile), i casi confermati sono più di 46.200, con oltre 2.930 decessi. L’epicentro dell’epidemia si trova nella città più grande del Paese, San Paolo. Anche altre regioni, specialmente quelle meno ricche, hanno difficoltà ad affrontare l’epidemia e in diverse città la situazione è ormai al collasso.
Caring Communities
Caring Communities
di Nicoletta Poidimani
(http://www.nicolettapoidimani.it)
Siete voi, che io sappia, ad aver inventato il nome di “Antropocene”.
Vi siete intestati l’intero onore del disastro;
adesso che si compie è troppo tardi per rinunciarvi.
I più onesti tra voi lo sanno bene:
io non ho altro complice che la vostra organizzazione sociale,
la vostra follia della “grande scala” e la sua economia,
il vostro fanatismo per il sistema.
Monologo del virus
Generalmente non faccio uso di termini inglesi quando è possibile utilizzarne l’equivalente italiano, ma purtroppo tradurre l’espressione Caring Community significa anche tradirla e perderne il senso sociale e politico.
America Latina, Covid-19 e le donne
Un articolo di Maria Teresa Messidoro, vicepresidente di Lisangà, sul sito (www.lisanga.org) o sulla pagina di tgvallesusa.