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La pandemia ha giustificato nuove forme di sorveglianza di massa. Anche più di quante pensiamo.

La pandemia di COVID-19 ci ha posti in una condizione simile a quella del gatto di Schrödinger: ipotizzando di essere possibili portatori del virus dobbiamo prendere tutte le precauzioni per non contagiare il prossimo; e supponendo di non averlo ancora contratto dobbiamo invece tutelarci; in entrambi i casi dobbiamo seguire una serie di attenzioni ben precise. Al centro di questa cornice c’è ovviamente il nostro corpo e il significato che ha all’interno del sistema politico. Proprio per controllare questa sua vulnerabilità, le politiche anticontagio lo hanno reso oggetto di precise misure che, come alcuni hanno fatto notare fin dall’inizio, dal mantra dell’iorestoacasa alla sorveglianza militare, dai principi di distanziamento sociale ai propositi di “contact tracing”, hanno condotto a un’esasperazione del discorso biopolitico in nome di un nuovo controllo sociale.

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Non ci sarà un dopo

Provate a pensare. Un pronto soccorso a gennaio di quest’anno, quando il Covid 19 ancora aveva un altro nome ed era una questione cinese, lontana.
Un giorno qualunque, a Torino, ma potrebbe essere ovunque. Un display luminoso vi annuncia che ci sono 332 persone in attesa, divisi in codici rossi, gialli, verdi e bianchi. Il pronto soccorso sembra un ospedale da campo in tempo di guerra: barelle ovunque, gente in attesa per ore, giorni. Nel tempo sospeso tra il dolore, la paura e la rabbia.

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