Negli Usa si stimano 75mila suicidi legati alla crisi del coronavirus, classificate come “morti per disperazione”. I dati appartengono a uno studio redatto dal Well Being Trust e dai ricercatori dell’American Academy of Family Physicians. La disperazione del post-Covid.
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Come assistere le persone nell’isolamento domestico
Logica per l’organizzazione dell’assistenza. La cosa più significativa che le persone possono fare per ridurre la diffusione del virus e la mortalità è praticare il distanziamento fisico e l’autoisolamento. Tutte le persone appartenenti a gruppi a rischio (oltre i 60 anni e/o affetti da patologie croniche come malattie cardiovascolari e cardiache, pressione sanguigna alta o bassa, diabete, malattie polmonari o del sistema immunitario), le persone che hanno recentemente viaggiato in zone di contagio o le persone con sintomi sospetti a cui il medico ha consigliato l’isolamento, sono altamente consigliate di restare a casa e di evitare il contatto con gli/le altri/e. In tal modo, si evita il rischio di essere infettati/e o di infettare gli/le altri/e.
L’eccezione come cura
19 marzo 2020
1.
Ho in cura delle persone che hanno attraversato lunghi periodi di auto-quarantena: per mesi, per anni, non uscivano mai di casa. Se erano soli, uscivano solo per fare la spesa alimentare, per andare alla posta. Se avevano un lavoro, lo avevano lasciato; se erano studenti, avevano interrotto gli studi. (Alcuni hanno chiesto e ottenuto il reddito di cittadinanza, il che – a mio avviso – asseconda la loro sindrome.) È una sindrome che non ha nome – la si chiama agorafobia, ma in realtà queste persone di solito non hanno paura degli spazi aperti, bensì delle altre persone, della folla che circonda, urta, spinge. Li chiamerei claustrofilici, rubando il termine al mio maestro in psicoanalisi, Elvio Fachinelli, autore di un libro, Claustrofilia appunto (di Adelphi).