Nel corso della pandemia l’industria militare non si è mai fermata, la produzione di armamenti non si è mai interrotta e gli investimenti per la difesa, considerati un volano indispensabile per la ripartenza, sono ricompresi nell’idea malsana di “crescita” che ci ha portato al disastro, e che continua a rappresentare l’orizzonte malato delle scelte politiche ed economiche nazionali e internazionali.
Secondo i dettagli della Legge di Bilancio attualmente in discussione in Parlamento nel 2021 l’Italia spenderà oltre 6 miliardi di euro per acquisire nuovi sistemi d’armamento: cacciabombardieri, fregate e cacciatorpedinieri, carri armati e blindo, missili e sommergibili.
6 miliardi destinati alla guerra invece che al diritto universale alla salute.
Il governo ha deciso l’acquisto di altri otto super-jet per l’intelligence elettronica: ciascuno costa circa mezzo miliardo. Sarà la squadra di 007 volanti più potente d’Europa, con l’obiettivo di controllare i cieli del Mediterraneo
Le frontiere sono essenziali per dividere e invisibilizzare, negare corpi ed identità, cancellare sogni e speranze, annullare i diritti e la cittadinanza. Per delimitare i confini e separare gli uni dagli altri sono indispensabili le guerre e gli eserciti ed è imprescindibile trasferire quotidianamente sempre più risorse finanziarie dal welfare al complesso militare-industriale.
Quest’anno le spese militari sono aumentate del 6%. Sono 26,3 miliardi, 72 milioni al giorno. Nel bel mezzo della pandemia, nel disastro del servizio sanitario, della scuola, del trasporto pubblico, mentre aumentano la disoccupazione, la povertà e lo sfruttamento, il governo aumenta le spese militari.
“Pandemia di guerra”, volantone antimilitarista realizzato dalla Cdc-FAI e dalla redazione di Umanità nova in vista delle iniziative per il 4 novembre. Da stampare (formato A3 da piegare) e diffondere.
Al link qui sotto potete trovarlo da scaricare sia in versione a colori che Bianco/nero:
23, 24 e 25 luglio 2020: Tre giorni di informazione e lotta che hanno visto la riuscita realizzazione di altrettanti punti informativi in giro per la città di Torino, in ordine cronologico presso il mercato di piazza Foroni, nella centralissima via Po, ed infine a porta Palazzo.
Con Trump che denuncia un altro trattato di controllo degli armamenti, con Mosca che annuncia nuovi test del “siluro del giudizio universale” e la Cina che diventa il secondo produttore mondiale di armi, la crisi sanitaria mondiale non ha assolutamente frenato la militarizzazione ad oltranza delle grandi potenze.
Si vis pacem para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra. I nostri padri utilizzavano questa nota frase dello scrittore latino Vegezio per giustificare campagne di guerra devastanti mettendole sotto l’insegna della ricerca della pace. Nei secoli, sembra che questo slogan abbia mantenuto tutta la sua attualità e continui a sfoggiare una vitalità invidiabile. Le spese militari nel mondo sono in spaventosa quanto inesorabile ascesa negli ultimi anni e, guarda caso, con esse i conflitti. Pur rischiando di smentire Vegezio, quindi, sarebbe stato più saggio e rispondente alla realtà scrivere “si vis bellum para bellum”, o, ancora più veritiero, “si vis pecunia, para bellum”, se vuoi essere sicuro di aumentare esponenzialmente i tuoi guadagni, produci, vendi, specializzati in armamenti.
Il governo ha celebrato l’unione sacra degli italiani contro il Coronavirus con un’esibizione di frecce tricolori, che hanno sorvolato la penisola, per approdare il 2 giugno a Roma, per la “festa” della Repubblica. In Piemonte si sono svolte numerose iniziative antimilitariste tra Asti, Alessandria, Caselle e Torino.
In un paese, il nostro, in cui è presente una sola azienda che produce ventilatori polmonari, ma 231 che fabbricano armi, la retorica della guerra al Covid-19 ha trovato linfa adatta di cui alimentarsi. E, non appena identificato a Codogno il paziente 1 affetto da coronavirus, il linguaggio mainstream è immediatamente entrato in guerra. L’Italia, come tutti gli altri Stati, ha dichiarato “guerra al Covid19”, “nemico” invisibile da combattere, le terapie intensive sono diventate “trincee” dove medici e infermieri lavoravano ininterrottamente, l’approvvigionamento di mascherine è stato trasformato in “economia di guerra”, qualcuno ha paventato che fosse necessario un cambio di mentalità “come in tempi di guerra” e per la fase 3 da più parti si parla di “ricostruzione” e di “dopoguerra” come nelle situazioni post belliche.
Come ogni venerdì abbiamo fatto il nostro viaggio settimanale su Anarres, il pianeta delle utopie concrete. Dalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming.
L’industria bellica non conosce crisi, neanche durante l’emergenza. La produzione italiana di armi per guerre che non esistono aumenta ogni anno, mentre cresce l’importazione delle forniture mediche per 7,7 miliardi di euro. Intanto medici e infermieri sono sempre meno e i tagli alla sanità sempre di più. Continue reading