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Land-grabbing al tempo del Covid: terza edizione del rapporto Focsiv

Land-grabbing al tempo del Covid: terza edizione del rapporto Focsiv

29 ottobre 2020

Il fenomeno dell’accaparramento di terre coltivabili da parte di grandi compagnie straniere porta fame, violenze, repressioni, sgomberi e perdita dei mezzi di sostentamento per i piccoli agricoltori nei paesi in via di sviluppo. Un nuovo colonialismo perpetrato in questi anni dai grandi colossi multinazionali con la complicità dei governi neoliberisti e di enti internazionali come l’Unione Europea, la Banca Mondiale e il Dipartimento per lo Sviluppo Internazionale del governo del Regno Unito.

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Ci stanno uccidendo


(In Cile tra il 18 marzo e il 7 luglio sono state arrestate oltre 90 mila persone, il doppio di quelle registrate nel periodo della rivolta dell’autunno 2019, quando milioni di persone protestavano in strada. Foto Izquierdadiario.es)

1 ottobre 2020 – Non lasciano uscire la gente nemmeno per andare a fare la spesa. L’altro giorno hanno preso alcuni bambini che andavano a comprare qualcosa in un chiosco, li hanno fermati, perquisiti in tutto il corpo e poi gli hanno puntato l’arma alla testa. Uno dei bambini aveva tre anni. La denuncia di una mamma di una delle villas miserias di Buenos Aires, cui è stato ucciso il figlio lo scorso anno, è impressionante. Accade assai spesso che alcuni dei processi che in Europa si manifestano con maggior lentezza e in modo meno intenso e visibile, mostrino prima e più apertamente il loro volto in América Latina. Purtroppo si tratta quasi sempre di un volto spietato. Conosciamo da tempo e fin troppo bene le straordinarie capacità del capitalismo di trasformare le sue crisi, anche le più profonde, in opportunità. Sta accadendo con l’estrattivismo, in América Latina (ma anche da noi), che approfitta dell’emergenza (sanitaria, economica, etc.) per intensificare la violenza predatoria e giustificarne le devastanti conseguenze ambientali e sociali. Come racconta qui Raúl Zibechi, tuttavia, la pandemia e il confinamento forniscono oggi l’occasione per sferrare un’aggressione violentissima ai territori latinoamericani con una repressione di inaudita ferocia nei confronti di chi all’estrattivismo si oppone e, più in generale, dei settori popolari. In particolare di quelli che nell’autunno dello scorso anno erano stati protagonisti di grandi rivolte come quelle cilene ed ecuadoriane. Una impetuosa ondata di assassinii, arresti e abusi di potere da parte delle forze dell’ordine, accompagnata in molte regioni dall’offensiva dei paramilitari, si sta abbattendo sull’intero continente, dalla crescita del razzismo istituzionale e sistematico degli Stati Uniti alle repressioni “normalizzate” sui Mapuche nella Patagonia argentina e cilena. La tenebrosa risonanza tra la denuncia della quarantena selettiva che diventa segregazione in molti quartieri di Madrid, Portland, Bogotà, Rio de Janeiro e Santiago del Cile è piuttosto evidente, ma la resistenza non manca e comincia a organizzarsi

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Estrattivismo pandemico (parte 4)

29 settembre 2020, di Alexik.  Qui i capitoli precedenti

Come da manuale, la recessione che viene – la peggiore, secondo l’OCSE, dal dopoguerra – sta imprimendo un nuovo impulso all’aggressione del profitto contro i territori.
L’illusione che la crisi pandemica potesse portare ad un ripensamento sull’assurdità di questo modello di sviluppo si è dissolta molto in fretta, a fronte della capacità del capitale (infinitamente maggiore della nostra) di trasformare le crisi in opportunità.
Sul piano normativo le conseguenze di tale aggressione si traducono in forma di deroghe alle tutele ambientali, provvedimenti a sostegno delle attività estrattive o dell’agroindustria, deregulations degli appalti per le grandi opere, rilancio del finanziamento pubblico di infrastrutture devastanti.

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Estrattivismo pandemico [1/2/3]

di Alexik

Ci avevamo sperato, dal chiuso delle nostre case, osservando sorpresi l’aria della pianura padana tornare trasparente, la biodiversità riapparire e la fauna selvatica avventurarsi, timida, attraverso il cemento degli spazi urbani.
Toccavamo con mano, durante il lockdown,  la dimostrazione di come sarebbe bastato fermare questo sistema di produzione, questo modello di mobilità, questo consumo insensato di roba inutile, perché la natura cominciasse a riprendersi ciò che è suo.
Avevamo sperato che fosse diventata chiara a tutti la possibilità concreta di un cambiamento radicale, ma sapevamo, in cuor nostro, che avevamo vissuto solo una fragile tregua nell’aggressione del capitale agli ecosistemi e ai territori, un rallentamento che precede la rincorsa.
Ed anche che come tregua aveva fin troppe eccezioni.

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