E’ ormai chiaro che il susseguirsi dei decreti e la scelta dei colori da assegnare alle regioni (con le conseguenti restrizioni) che cambiano in base alla criticità delle condizioni dei presidi ospedalieri rispetto al numero dei contagi, non sono volti a contrastare l’emergenza sanitaria in atto ma sono palesemente strumenti di repressione e di controllo messi in campo dallo Stato per agevolare gli affari della grande industria alimentare, dell’industria bellica e della logistica.
E per poter imporci a suon di azioni repressive quelli che dovrebbero essere i nostri tempi, i ritmi, le decisioni e i desideri delle nostre vite. In sostanza niente di diverso da ciò che avveniva anche prima del problema Coronavirus. Come già avvenuto all’Aquila per il terremoto, nei luoghi colpiti dagli alluvioni o con i continui sbarchi di disperati in fuga dalle guerre e dal colonialismo capitalista, lo Stato utilizza la condizione emergenziale per fare cassa e rafforzare il suo potere affinando l’uso degli strumenti in suo possesso. Pensiamo inoltre che le scelte dei governi e l’imposizione di esse abbiano trovato terreno fertile per essere messe in atto, agevolate da anni di alienazione e disgregazione sociale e umana dovute alle ripercussioni dell’invasività tecnologica e dall’utilizzo costante e sfrenato dei comfort virtuali.
Ci teniamo ben a distanza da negazionisti e complottisti di ogni sorta e non possiamo negare l’esistenza di un problema sanitario in quanto consapevoli di vivere in territori saccheggiati delle risorse naturali dalle multinazionali della grande industria, in un mondo iper inquinato e malato, in cui nessuno può ritenersi sano e in cui “curarsi” è oggi ancor di più un privilegio dei soliti pochi. Solo autogestendo le nostre vite e attraverso le scelte frutto della nostra autodeterminazione potremmo riappropriarci anche della nostra salute, prendendoci cura di noi stessi, magari (fra le tante) provando a liberarci dallo sfruttamento lavorativo e dal giogo della schiavitù salariale.
Non chiediamo nessun tipo di sostegno allo Stato e ai suoi servi, né aneliamo ad elemosinare ad esso diritti in cambio di obbedienza, legittimandone così l’esistenza. Lo stesso Stato che finanzia la guerra a “discapito della sanità”, che permette e tutela la devastazione della terra costringendo milioni di persone ad una vita di stenti e che quotidianamente attenta oltre che alla nostra libertà anche alla nostra salute è per noi il PROBLEMA, pertanto non è possibile trovare in esso e nelle sue scelte coercitive e scellerate la soluzione all’emergenza in atto, né a tutti gli altri orrori che esso stesso genera.
Anche qui le infami dinamiche del ricatto lavoro/salute con cui da oltre mezzo secolo convive la popolazione sono ben conosciute, e in fase emergenziale vengono imposte dai governi che si susseguono in modo ancora più aggressivo. Dover scegliere se rischiare di morire di fame o di tumore qui è la normalità.
La tetra presenza dell’ILVA ha reso sin da subito Taranto e dintorni una “Zona Rossa”, come il colore della pioggia intrisa di scarti industriali cancerogeni che da oltre sessant’anni cade sulle nostre teste. Nonostante ciò le fabbriche di morte non hanno chiuso battenti neanche durante l’emergenza sanitaria, continuando a produrre armi da guerra e veleni. Non è nostro compito consigliare allo Stato come spendere i soldi che accumula sulle spalle degli sfruttati ma ci preme sottolineare che in piena emergenza Covid, con gli ospedali al collasso e buona parte della popolazione “alla canna del gas” il governo ha ben pensato di regalare 30 miliardi di euro del “Recovery Fund” (il fondo emergenziale per l’impresa) a Leonardo, leader incontrastata nella produzione di elicotteri da guerra e con sede anche a Grottaglie.
Ci hanno “chiesto” ancora una volta di restare chiusi in casa e di rispettare le regole per il bene e la salute di tutti mentre Confindustria, in accordo col governo, decideva che la grande produzione doveva necessariamente andare avanti, continuando a produrre armi, veleni e sfruttamento ed esponendo di fatto i lavoratori ad un alto rischio di contagio.
Rifiutiamo l’idea che l’unica libertà possibile sia quella di rischiare di ammalarsi andando in fabbrica, a fare shopping o a scuola, e se così è siamo certi che prendendoci cura di noi stessi e di chi abbiamo intorno possiamo fare qualsiasi altra cosa. Preferiamo “scommettere” contro il virus e vivere piuttosto che rintanarci in casa in attesa di tempi migliori, come se questi fossero mai esistiti (Cit.)
Liberiamoci dell’aspetto infantilizzante e da irresponsabili che i gestori dell’ordine costituito ci stanno cucendo addosso e se ci chiudono in casa il minimo che si possa fare è lottare radicalmente affinché chiudano anche tutti i luoghi dello sfruttamento, le aziende complici della guerra, della devastazione ambientale e del saccheggio delle risorse, nonché quelle della logistica e dello smistamento frenetico di merci.
E’ ormai chiaro che il modo di vivere che vorrebbero imporci è un modo di vivere insostenibile. Ognuno con i propri strumenti, la propria rabbia e un po’ di fantasia potrebbe contribuire all’inceppamento delle macchine del dominio e alla distruzione definitiva delle sue strutture, per alimentare e tener vivo il sogno della nascita di quel mondo nuovo che portiamo in cuore, per vivere una vita che risponda ai nostri desideri, alle nostre aspirazioni, una vita degna di essere vissuta.
CONTRO LO STATO, IL VIRUS PIU’ PERICOLOSO, RIPRENDIAMOCI LE NOSTRE VITE!
Anarchici e anarchiche