14 ottobre 2020, di https://noinonabbiamopatria.blog
Con questo titolo non c’è alcuna possibilità di essere fraintesi. Non c’è alcuna contiguità con la teoria che il covid-19 non esiste o non faccia male. Esiste e fa male! La teoria negazionista è una visione sociale determinata dalle necessità del processo di riproduzione delle relazioni complessive del valore del capitale che rendono impossibile contrastare la pandemia, in quanto è un elemento endogeno del processo stesso dell’accumulazione del capitale e della distruzione delle forze produttive naturali che ne consegue. In sostanza il capitale impersonale, stretto tra rincorsa all’accumulazione e creazioni delle condizioni di riproduzione della forza lavoro, oscilla tra DPCM e negazionismo.
Tant’è che mentre nell’emisfero occidentale del mondo ed in India la pandemia si allargava a macchia d’olio e qui in Europa si pensava il virus fosse quasi scomparso, non possiamo negare che nel mese di ottobre stiamo assistendo ad una ripresa della diffusione del coronavirus in Italia, Francia, Spagna, Gran Bretagna, Germania e finanche nei paesi dell’est europeo a tassi preoccupanti, seppur non ancora drammatici per le sue ricadute sull’aumento dei morti (che comunque anche essi sono in graduale risalita).
Qualcuno continuerà a sostenere che i tassi di mortalità all’oggi non sono esiziali, così come furono bassi quelli dei mesi di marzo ed aprile. Senza troppo entrare nel merito della falsità di queste conclusioni, si vuole ricordare che ancora oggi i numeri definitivi per esempio dei tassi di mortalità in Italia e nel mondo legati alle “influenze stagionali” richiedono un lungo esame medico e statistico per determinare che i 300 o 400 morti causati dall’influenza stagionale dell’anno nel 2018, dopo attento esame diventano circa 10000 un anno e mezzo dopo e nel mondo intorno ai 400 mila morti, mentre già ora sono confermati circa un milione e centomila morti da coronavirus (senza ulteriore analisi sull’aumento medio della mortalità in tutti i paesi colpiti ben superiore ai morti da covid ufficiali).
Laura Spinney nel suo libro “1918 L’influenza spagnola – la pandemia che cambiò il mondo”, annota, confermando il metodo del materialismo dialettico e della dialettica della natura marxista, che la specie umana non si distingue dalle specie animali di fronte alle epidemie. Però la reazione degli uomini segue le dinamiche del mondo “naturale” secondo le specifiche relazioni di classe che caratterizzano la società umana. In un passaggio la scrittrice chiarisce che di fronte alle pandemie “..le richieste di sicurezza, un’economia prospera e la salute pubblica di rado vanno insieme…”. Sempre leggendo il suo libro si capisce la ragione storica e materialisticamente dettata dalle condizioni generali del capitalismo del perché la pandemia del 1918-1920 raggiunse una mortalità vicina al numero dei morti della seconda guerra mondiale (cui ci vollero almeno trenta anni di studi epidemiologici, statistici e demografici per arrivare a tali conclusioni) e fu così devastante soprattutto nella macro area che và dall’antica Persia, all’Afghanistan, all’India e alle zone geografiche dell’ex impero zarista e tutte quelle intorno al Mar Caspio ed a quelle che raggiungono i confini nord orientali dell’India e con la Cina nord occidentale. Mentre la pandemia di oggi vede – con l’eccezione della moderna India – proprio in queste aree ed in tutto il sud est asiatico (per esempio il Vietnam) una migliore capacità a non farsi travolgere dalla diffusione del coronavirus. La ragione ultima forse sta proprio nell’ultimo ed unico lascito del lungo ciclo di lotte contro il colonialismo storico e contro l’imperialismo, ma anche esso in via di totale sbaraccamento e demolizione: lo stato nazionale politicamente “indipendente” e borghese realizzatosi attraverso il moto della rivoluzione anticoloniale dei popoli di colore degli anni 40, 50 e 60, di cui questi paesi nel 1918-1920 ne erano del tutto privi, quindi impossibilitati ad attuare qualsiasi politica appena coerente e “contenitiva” del virus. Oggi dove i contraddittori e ancor più antiproletari residui di quei moti non si sono completamente disciolti, quegli stati temporaneamente riescono a realizzare un migliore “contenimento” della pandemia.
Ad essere colpiti maggiormente sono oggi proprio i paesi e gli stati capitalisti più avanzati e con stati super attrezzati. Sebbene la pandemia del 1918-1920 si diffuse proprio dagli USA e dall’Europa dei fronti di guerra a tutto il mondo, oggi questi stessi paesi reagiscono peggio che nel passato. E’ il livello generale e globale della crisi del capitalismo ad impedire ai super Stati borghesi centralizzati una qualsivoglia azione di tutela dalla pandemia. Non solo perché per sconfiggere il “male naturale” – conseguenza endogena dell’attuale modello di produzione – richiederebbe di combattere il virus fin nel profondo delle relazioni del processo economico e del modello produttivo capitalistico nei suoi rapporti con la natura e con il mondo animale. Ma anche perché la stessa crisi generale di questo modello sottrae sempre più ai governi borghesi e capitalisti gli spazi per attuare delle politiche di “contenimento” della pandemia preventive e tendenti a limitarne i danni.
Il governo Conte già nei primi mesi dell’anno in maniera criminale non fece nulla per oltre un mese e più, prima che il balbettio del lockdown ed il fermo di alcune attività produttive venisse attuato. Non c’è molto da aggiungere riguardo al fatto che già da prima del 31 gennaio c’era l’allerta coronavirus in Italia come nel resto dell’Europa. Eppure, le partite di Champions League tra squadre italiane, spagnole ed inglesi vennero ugualmente giocate. Eppure, mentre i lavoratori degli ospedali di Bergamo e d’intorni richiamavano rabbiosi la drammaticità della situazione, la Confindustria di Bergamo mandava ai suoi partner il rassicurante messaggio video “Bergamo is running”. Non c’è da rimarcare che ci è voluta la rabbia montante dei lavoratori degli ospedali e dei pronto soccorso del nord e della Lombardia, che sono stati necessari gli scioperi spontanei nelle fabbriche e negli hub della logistica e la minaccia di uno sciopero generale per insinuare nel governo Conte la presa d’atto che qualche misura più drastica andava presa attraverso i famosi dpcm (tanto tardivi, contraddittori e incoerenti).
Qualcuno potrebbe ritenere che l’eccezionalità della situazione non si potesse prevedere, e che dunque l’impreparazione della struttura sanitaria pubblica lasciata al suo galoppante sfacelo da decenni di tagli alla sanità non poteva essere risistemata in quattro e quattr’otto. Ma anche questo è falso se prendiamo atto di quanto nel 2005 (prima ancora delle recenti SARS, MERS, Ebola, Zika, influenze aviarie e suine varie degli ultimi 15 anni) allertò il buon George W. Bush all’insieme dello Stato federale U.S.A. ed al mondo intero [video intervento di Bush al NHS del 2005]. A commento, vale ancora la constatazione di Laura Spinney che “..le richieste di sicurezza, un’economia prospera e la salute pubblica di rado vanno insieme…”, se non per il fatto che gli Stati capitalistici hanno iniziato i finanziamenti miliardari per le campagne di vaccinazione di massa, troppo spesso inutili se non addirittura dannose ed al solo vantaggio delle multinazionali e delle corporations del Big Pharma.
Ma è in questi giorni ed in queste ore che il velo che copre la politica assassina del governo Conte e dei governi degli stati capitalistici avanzati viene meno. Dopo aver concentrato ulteriore ricchezza finanziaria nelle mani delle banche e delle grandi Coporations attraverso i MES, Recovery Fund e Coronabond scaricando i costi sociali della pandemia sui lavoratori e sulla piccola borghesia dedita al commercio ed all’artigianato, facendo pesare sulle spalle proletarie e di chi vive del proprio lavoro le conseguenze di una maggiore indebitamento degli Stati per ripagare la maggior concentrazione delle ricchezze in poche mani, nessuna necessaria preparazione sanitaria e sociale preventiva alla ripresa della curva epidemiologica è stata attuata. In maniera ipocrita ed omicida il governo Conte ha chiarito nei discorsi di maggio che annunciavano la riapertura delle varie attività produttive e commerciali (a dire il vero non solo tutte le attività produttive elencate come strategiche hanno sempre continuato a produrre, costi quel che costi, come l’industria militare. Ma anche almeno 25 mila piccole e medie imprese industriali hanno continuato le loro attività sulla base dell’autocertificazione), che lo Stato avrebbe monitorato la situazione epidemiologica basandosi sui criteri di “soglie”, ossia basate sul rapporto di crescita dei casi con il numero di posti liberi negli ospedali. Fintanto che gli ospedali non collassano, che tutto proceda come prima.
Ma intanto gli ospedali, i pronto soccorso non sono stati potenziati, sono rimasti quel che erano. Le strutture della sanità privata non sono state requisite per causa di forza maggiore (e nemmeno con l’indennizzo). I cordoni sanitari necessari mai predisposti. Una organizzazione razionale ed efficace degli esami epidemiologici non esiste, il tampone costa un sacco di soldi se non hai l’autorizzazione dell’ASL. I lavoratori precari della sanità non sono stati stabilizzati. La scuola pubblica non ha ricevuto niente per reinvertire il suo sfacelo. Le supreme necessità della riproduzione del valore del capitale costringono i genitori a tornare a lavorare, i quali non possedendo altra alternativa né sostegno, pretendono che la scuola pubblica possa parcheggiare i propri figli almeno durante quelle 4 o 5 ore di lavoro, tanto, come “tanti hanno spiegato”, il covid colpisce solo i “vecchi”. Dunque, va da sé e va bene se alla fine gli insegnanti delle scuole elementari e medie inferiori rimangono presi tra una istintiva reazione a non voler riprendere l’insegnamento in aula, che è percepita come una reazione corporativa da parte degli altri lavoratori e genitori, e l’adattarsi con i mezzi di fortuna segando i banchi in due o facendo accomodare gli studenti inginocchiati a terra usando le sedie come banchi, per garantire le distanze di sicurezza per i bambini. Dunque, va da sé che si continua ad obbligare i lavoratori a raggiungere fabbriche, magazzini, esercizi commerciali e uffici dove il valore viene prodotto dalla forza lavoro, usando dei mezzi di trasporto pubblici inadeguati a garantire il distanziamento sociale di fronte ad una ripresa della diffusione del virus. E se le scuole, la sanità e la cura per gli anziani è allo sfascio, le donne lavoratrici sono costrette ad un triplice sforzo in sostituzione di qualsiasi sostegno “welfaristico” di fronte alla pandemia, sia che esse si recano nelle fabbriche o negli uffici, sia se esse lavorano “comodamente” in smart working. Sulla donna lavoratrice grava sempre più il peso della totale dismissione dei servizi sociali.
Abbiamo già assistito questa estate delle avvisaglie che il virus non era affatto scomparso. Tra i braccianti bulgari di Mondragone, in alcuni comparti e magazzini della logistica in Emilia, negli impianti di macellazione della Puglia, nei centri di permanenza per gli immigrati e richiedenti asilo di Treviso e ancora nelle case di riposo per anziani quali il San Raffaele di Roma (struttura data in gestione ai privati, ossia alla logica del profitto, dove sono morti almeno 43 pazienti anziani) i primi casi di covid isolati, non gestiti causa il lassismo dello stato borghese, sono diventati via via dei focolai sempre più importanti.
In queste settimane gli hub e magazzini della logistica, in special modo alla BRT, vedono l’esplosione di nuovi preoccupanti focolai [vedi video intervista]. I famosi DPCM stabiliscono delle linee guida cui anche le ASL si attengono. Nessuna di queste linee guida del governo però consente ai lavoratori della logistica di non andare a lavorare nonostante abbiano eseguito un tampone per il covid, ma il cui risultato guarda caso tarda ad arrivare. Quindi, giorno dopo giorno, gli operai vanno al lavoro ed i contagi aumentano e si trasmettono ai familiari ed amici fuori dai magazzini.
Come sempre, la vita dell’uomo e della donna è considerata secondo la logica del valore della merce della forza lavoro e per la capacità che essa ha di produrre plusvalore. Finché se ne può spremere l’ultima goccia, che si continui a produrre costi quel che costi. Secondo quanto sostiene il padrone BRT, i lavoratori – prevalentemente immigrati –possono scegliere anche di rimanere a casa se hanno paura di prendersi la malattia. Ma nessuna disposizione del DPCM prevede l’obbligo di indennizzo per queste assenze finché non arriva l’esito positivo dell’esame diagnostico, figuriamoci se prevedono qualche copertura salariale o normativa per gli altri lavoratori cui né ASL né il padrone hanno disposto il tampone. Meglio far arrivare in ritardo gli esiti degli esami di laboratorio, così nel frattempo BRT può continuare ad estorcere valore dai suoi operai e lavoratori. Poi domani, grazie alla deregolamentazione del mercato del lavoro, dove i lavoratori della logistica sono vittime di un regime di appalti, subappalti e cooperative, è sempre possibile sostituire buona parte degli operai che sono rimasti a casa per la paura di ammalarsi, o quelli a tempo determinato ma sindacalizzati, con altri lavoratori interinali o “somministrati” attualmente disoccupati (come SDA, altro grosso driver della logistica, sta tentando di fare in queste settimane).
Ecco la menzogna e la criminale politica che c’è dietro anche l’ultimo DPCM del governo Conte. Una politica che ancora più di ieri lascia la collettività umana e quella essenzialmente proletaria, femminile, immigrata e senza alcun conto di bambini e vecchi, in balia della ripresa della pandemia. E’ anche ipocrita scaricare le responsabilità del meccanismo dello sfruttamento e del modo di produzione capitalistica sui comportamenti “individuali” dei giovani come fanno i paladini alla De Luca: dietro certi comportamenti “individuali” di indifferenza ed egoismo, ci sono le leggi impersonali del capitalismo.
Non sappiamo se con la ripresa della diffusione del coronavirus seguirà una crescita della mortalità (di cui però sappiamo che a Bergamo è stata del 600% superiore a quella dell’anno precedente, mentre per la media nazionale intorno al 40% superiore ai primi 6 mesi dell’anno precedente).
Ma una cosà è certa e bisogna averne consapevolezza:
è solo con la lotta determinata ed intransigente che l’umanità lavoratrice può difendersi dal ricatto difesa della salute o sottomissione del lavoro alla dittatura del profitto e della “dittatura” sanitaria dei dpcm del governo Conte.
Il 23 ottobre c’è lo sciopero generale dei lavoratori della logistica indetto da S.I. Cobas e da ADL Cobas per il rinnovo contratto nazionale di categoria e successiva giornata di mobilitazione nazionale il 24 ottobre. Nelle prossime settimane FIM, FIOM e UILM hanno indetto per il 5 novembre 4 ore di sciopero degli operai metalmeccanici, i quali già nei giorni precedenti avevano risposto con lo sciopero spontaneo alla rottura della trattativa per il rinnovo del CCNL da parte di Federmeccanica.
La lotta unitaria e la battaglia degli operai per la difesa dei contratti nazionali di lavoro di categoria è tanto più importante e vitale in questa fase in cui una ulteriore deregolamentazione del mercato del lavoro espone le vite e la salute dei proletari e di tutti all’azione combinata della ripresa del virus e dei dpcm espressione delle necessità dei padroni.