Controllo degli affitti in Catalogna. Una vittoria del movimento contro gli sfratti

disegno di martina di gennaro

23 settembre 2020

“State disinfettando il manganello a ogni nuovo sgombero?”, chiede via Twitter un’attivista di Barcellona ai Mossos d’Esquadra, la polizia catalana. La violenza con cui i funzionari di polizia in Catalogna trascinano a forza fuori dalle loro case donne sole con bambini, lavoratori migranti, coppie di anziani, disabili, contrasta amaramente con lo zelo con cui fanno rispettare le leggi per difendere la popolazione dal virus. Nello stato spagnolo ci si può ritrovare sul collo il ginocchio di un poliziotto per avere la mascherina messa male; ma solo nella prima settimana dopo la fine della moratoria a Barcellona sono stati eseguiti centocinquanta ordini di sfratti, circa trenta al giorno. Eppure la casa è il principale dispositivo di protezione individuale (e collettivo) per il pericolo di contagio. A difendere le persone in pericolo di rimanerne senza, però, non ci sono le istituzioni, neanche quelle progressiste, ma solo i militanti di base della rete dei Sindacati di quartiere, anch’essi in gran parte vittime di sfratti o in pericolo di sfratto.

Questo mese il Sindacato Inquilini di Barcellona, che in qualche misura coordina i diversi nodi locali della rete, ha messo a segno una vittoria importante di cui in Italia ancora non si è parlato: il Parlamento catalano ha approvato una legge che regola gli affitti. Mentre nel resto del continente e negli Stati Uniti negli ultimi anni sono entrate in vigore diverse forme di “rent control”, dopo la liberalizzazione del mercato degli anni Ottanta e Novanta, questa è la prima legge di questo tipo nel Sud Europa. Si tratta di misure diverse dalle vecchie protezioni sull’affitto del dopoguerra, che dovevano garantire la casa a chi tornava dal fronte e che hanno bloccato alcuni canoni per decenni senza frenare però la crescita del mercato. I geografi scozzesi Tom Slater e Hamish Kallin, che hanno collaborato alla campagna Living Rent con cui è stato introdotto il rent control in Scozia, hanno scritto che le misure di nuova generazione sono studiate proprio per mantenere fluide sia la disponibilità di case che il miglioramento delle loro condizioni. Queste leggi però mettono lo stesso un freno al cosiddetto libero mercato degli alloggi – cioè la libertà dei ricchi di giocare a loro piacimento con un bene essenziale per la sopravvivenza e la salute di tutti. Paradossalmente, la legge catalana è stata approvata da un governo che alcuni commentatori italiani continuano a considerare “di destra”, quando non “ultradestra”. Cerchiamo di fare un po’ di luce.

COME SI ARRIVA A UNA LEGGE COSÌ
La crisi degli alloggi è endemica a Barcellona. Ma lo è anche la lotta contro gli sfratti: i comitati di quartiere che difendevano gli inquilini negli anni Venti e Trenta del Novecento sono state le palestre rivoluzionarie per le milizie che hanno fermato il golpe di Francisco Franco; e anche il recente successo della nuova sinistra di Barcelona en Comù si deve in gran parte alla solidarietà generalizzata verso chi difendeva le vittime dell’ondata di sfratti posteriore alla crisi del 2008. Il presunto rimedio alla crisi, cioè il salvataggio miliardario delle banche, ha peggiorato ancora la situazione. La gigantesca liquidità messa a disposizione dallo stato ha permesso la creazione di potenti monopoli che hanno investito prevalentemente nell’immobiliare, accumulando le case che erano tornate alle banche dopo la crisi dei mutui. Secondo il rapporto dell’Osservatorio metropolitano sulla casa di Barcellona (O-HB), quasi un terzo dei 265.444 appartamenti in affitto della città è nelle mani di grandi proprietari, cioè di persone o compagnie che possiedono più di dieci case.

Le piattaforme online come Booking o AirBnb hanno contribuito a ridurre ulteriormente gli alloggi disponibili per i residenti: ci sono sedicimila appartamenti turistici a Barcellona (di cui undicimila legali), mentre le case popolari, secondo fonti del Comune stesso, sono solo seimila e quattrocento in tutta la città. Lo squilibrio estremo si deve a decenni di governi socialisti, o neoliberali, o neo-liberal-socialisti, che hanno potenziato solo la vocazione turistica della città inaugurata con le Olimpiadi del 1992. Barcellona ha un milione e trecentomila abitanti, ma nel 2019 è arrivata a ricevere dodici milioni di turisti. Se aggiungiamo le case vuote, almeno tredicimila, è ovvio che il risultato è un aumento continuo dei canoni d’affitto: il canone medio dal 2013 al 2019 è salito del 43%, da 681 a 978 euro. Questo porta, inutile dirlo, alla progressiva riduzione di popolazione soprattutto nelle zone centrali.

Una volta frustrate le speranze di soluzioni istituzionali, la risposta a questa situazione è stata, come sempre, l’autorganizzazione. Gruppi di persone sfrattate o minacciate di sfratto, sostenute da collettivi o centri sociali, hanno costituito dei Sindacati di quartiere per bloccare le espulsioni, a volte coordinandosi con le piattaforme nate negli anni dopo la crisi, come la PAH. Il Sindacato inquilini che ha promosso la nuova legge è nato ufficialmente nel 2017, e fin dall’inizio ha lavorato su più fronti: da una parte sostenendo le assemblee dei quartieri per impedire le espulsioni, dall’altra tessendo alleanze istituzionali per modificare le leggi. La strategia somiglia a quella delle organizzazioni di base degli USA che abbiamo descritto qui, che usano il simbolo della spada e lo scudo per spiegare la loro azione, sia in difesa (dagli sfratti) che in attacco (alle leggi che li permettono).

L’azione legislativa però era rimasta nell’ombra per tutto il 2018, quando l’intero dibattito politico era dominato dalla repressione del governo del Partido Popular di Rajoy contro la proposta di referendum catalano: parlare di regolare gli affitti in quel momento era improponibile. Ma proprio utilizzando lo scenario politico rivoluzionato dall’indipendentismo, il Sindicat è riuscito ad allargare la sua base d’appoggio istituzionale. La lotta agli sfratti naturalmente aveva già il sostegno dei partiti più affini, cioè gli indipendentisti anticapitalisti della CUP e i Comuns di Ada Colau. Nel corso del 2019, però, alcuni partiti che avevano fatto parte delle coalizioni di governo responsabili delle scelte scellerate degli anni precedenti, hanno subito un progressivo distanziamento dai partiti d’ordine del bipolarismo spagnolo. I socialdemocratici di ERC, una volta rotti i ponti con il PSOE, si sono trovati finalmente liberi di avvicinarsi al movimento per la casa; e addirittura nella coalizione di governo di Puigdemont, il partito conservatore Junts Per Catalunya, dopo la rottura definitiva con il PP, è emersa una corrente possibilista sulla proposta di regolare gli affitti. La nuova legge, quindi, è stata votata sia dagli indipendentisti che dai Comuns, e ha avuto contro socialisti e popolari. Ma mentre i socialisti si erano impegnati formalmente a studiare una proposta simile a livello statale (e si sono ben guardati dal farlo), il PP ha già minacciato il ricorso al Tribunal Constitucional.

COME FUNZIONA LA NUOVA LEGGE
Il Tribunal Constitucional ha annullato sistematicamente tutte le leggi più progressiste dello stato spagnolo e i gruppi immobiliari hanno già affermato che la competenza per regolare gli affitti deve essere di questo tribunale e non del parlamento catalano. Per il momento, però, la legge è entrata in vigore. Funziona così: la Generalitat catalana e il Consiglio metropolitano di Barcellona definiscono quali sono le zone in cui il mercato immobiliare è “teso”, cioè dove c’è poca disponibilità di case a prezzi accessibili, e la Generalitat fissa un indice dei prezzi massimi del canone. In queste zone di tensione nessun nuovo contratto potrà superare l’indice; i proprietari non potranno più alzare i canoni a piacimento, né rinnovare contratti che non rispettino questo indice. Le zone di tensione devono rispondere ad almeno uno di questi tre criteri: che il prezzo degli affitti sia cresciuto più della media, che gli inquilini spendano più di un terzo del salario nell’affitto, o che i canoni d’affitto siano aumentati di almeno tre punti più dell’indice della Generalitat in cinque anni. L’affitto regolato si applicherà nei sessanta comuni catalani con più di ventimila abitanti, un’area in cui vivono cinque milioni di persone (sui sette milioni della Catalogna); ne sono esclusi i pochissimi inquilini che sono riusciti a mantenere gli antichi contratti protetti, eliminati dalla liberalizzazione del mercato negli anni Novanta, gli inquilini delle case popolari e i proprietari definiti “vulnerabili”, che guadagnano meno di due volte e mezzo il salario minimo, cioè meno di 1.900 euro al mese, affitto incluso. Questi proprietari non sono obbligati a congelare il prezzo, ma non possono comunque superare l’indice massimo.

L’indice si calcola in modo simile al Mietspiegel tedesco: è una stima dei prezzi al metro quadro, con un valore massimo e minimo in funzione delle condizioni dell’immobile, della posizione, dei servizi (ascensore, parcheggio, ecc.). A differenza del nostro canone concordato, però, sarà obbligatorio: gli affitti potranno aumentare solo all’aumento delle condizioni di vita degli inquilini. Se il proprietario ristruttura la casa può applicare un aumento fino al venti per cento, dimostrando di aver investito nei lavori il proprio capitale. Le sanzioni vanno dai tremila ai novantamila euro, non solo per i proprietari che non rispettano il limite all’affitto, ma anche per quelli che non informano correttamente i loro inquilini dell’esistenza di questa legge. Sono previste multe più lievi per chi non comunica chiaramente il prezzo dell’affitto, il canone dell’ultimo contratto o i valori di riferimento degli affitti.

Se questa legge è di per sé una grande novità, non è la prima che il governo catalano indipendentista ha fatto in questi anni. Nel 2016 il Tribunal Constitucional aveva bloccato una legge catalana contro gli sfratti, e quella che impediva alle banche di mantenere edifici vuoti. Più di recente, il PP ha fatto ricorso contro un’altra legge della Generalitat, che obbligava i grandi proprietari immobiliari ad aumentare la durata dei contratti di affitto protetto da tre a sette anni, e a offrire un contratto calmierato agli inquilini vulnerabili. Paradossi dell’indipendentismo: la coalizione emersa dalla battaglia del referendum del 1 ottobre, che va dalla destra neoliberale alla sinistra socialdemocratica, tramite le alleanze e gli accordi con sinistre più radicali elabora leggi molto più avanzate di quelle dello stato centrale. Il governo rosso-viola, dove Podemos è costretta a scendere a patti con il PSOE (il più strenuo difensore dello status quo) si dimostra invece molto più conservatore su una questione così cruciale per l’economia spagnola come quella degli alloggi. Come per tutto quello che succede ora in Catalogna, i progressisti spagnoli sono costretti a scegliere se prendere l’esempio da queste esperienze locali e rompere con il vecchio sistema anche a livello statale, o se invece aggrapparsi al cosiddetto ordine costituzionale, autoritario ed elitista. La stessa cosa si potrebbe dire degli altri paesi europei: prendiamo le distanze, o prendiamo l’esempio? (victor serri / stefano portelli)

 

FONTE: https://napolimonitor.it/controllo-degli-affitti-in-catalogna-una-vittoria-del-movimento-contro-gli-sfratti/


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