24 settembre 2020
In Italia i deceduti sono 20 nelle ultime 24 ore per un totale nazionale di 35.758. Tra loro un ragazzo di 33 anni, operatore sanitario positivo al covid19, morto ieri pomeriggio al pronto soccorso di Cagliari. Il giovane si era contagiato in costa Smeralda ed era seguito a domicilio ma le condizioni hanno subito un rapido peggioramento fino al decesso. L’uomo era stato uno dei primi contagiati di questa estate, quando si era registrato un enorme focolaio di Sars-CoV-2 in Costa Smeralda, dove il 33enne aveva trascorso alcuni giorni di vacanza. Le sue condizioni di salute si sono aggravate all’improvviso nella giornata di ieri. L’operatore sanitario era seguito a domicilio dall’Ats, è arrivato in condizioni disperate in ospedale, con una grave insufficienza respiratoria.
Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE registra nella settimana 16-22 settembre, rispetto alla precedente, un ulteriore incremento nel trend dei nuovi casi (10.907 vs 9.837) a fronte di un lieve aumento dei casi testati (385.324 vs 370.012). Dal punto di vista epidemiologico crescono i casi attualmente positivi (45.489 vs 39.712) e, sul fronte degli ospedali, i pazienti ricoverati con sintomi (2.604 vs 2.222) e in terapia intensiva (239 vs 201). Dopo la sostanziale stabilità registrata nella settimana precedente, tornano a salire anche i decessi (105 vs 70).
Da 8 settimane consecutive i numeri confermano la crescita costante della curva epidemica e delle ospedalizzazioni, e al momento sono molte le variabili che non lasciano ipotizzare alcuna flessione: dalla riapertura delle scuole all’aumento della circolazione del virus nella stagione invernale; dal continuo incremento dei casi in paesi senza restrizioni di ingresso in Italia, alla convivenza tra coronavirus e influenza stagionale; dalla vita in ambienti chiusi e su mezzi pubblici più affollati, alla ventilata riapertura degli stadi.
Nino Cartabelotta presidente Fondazione Gimbe Ascolta o scarica
Riccardo Munda Medico di famiglia e guardia medica a Selvino e Nembro nella bergamasca Ascolta o scarica
Nel mondo raggiunti i 32 milioni di contagi. I decessi oltre i 900.000. Gli Stati Uniti, il paese piu’ colpito, hanno registrato ieri 37.330 casi di coronavirus e 1.098 morti: è quanto emerge dai conteggi della Johns Hopkins University. I nuovi dati portano il bilancio complessivo dei contagi nel Paese a quota 6.934.205 e quello dei decessi a quota 201.909. In Europa i contagi sono più di 5 milioni; 6mila nuovi casi in Gb; allarme in Spagna, a Parigi bar chiusi alle 22, stop totale di bar e ristoranti a Marsiglia ed Aix-en-Provence.
***
Il medico di Nembro: «Covid, la cura nella medicina di base. I miei pazienti tutti vivi»
Il medico di base Riccardo Munda, 39 anni da Mazzarino (Caltanissetta), è uno di quelli che la guerra al Covid l’ha fatta in prima linea. Munda assiste circa 1400 pazienti in due ambulatori a Selvino e a Nembro in provincia di Bergamo, dove il numero di morti rispetto al 2019 è aumentato del 1000%. Eppure, tra i suoi pazienti nessuno è morto, né ha avuto bisogno di ricovero. Il segreto non sta in qualche ritrovato miracoloso della scienza. Anzi, Munda non ha nemmeno i titoli per esercitare come medico di base. «Sono solo un sostituto provvisorio», racconta lui stesso. «Se domani venisse un medito titolare io perderei il posto da un giorno all’altro. Non sono specializzato perché dopo la laurea avevo bisogno di lavorare e nessuno mi avrebbe mantenuto per frequentare i corsi di formazione. Ma dalla laurea in poi ho sempre lavorato».
In Lombardia dunque mancano i medici di base?
E rispetto a marzo adesso ne mancano ancora di più. Molti sono andati in pensione, altri hanno paura, altri ancora sono morti. Qualche settimana fa l’Ats ci ha chiesto la disponibilità per attivare una unità di continuità assistenziale diurna in una decina di comuni, perché non si trovano medici. Chiedono a noi di fare la guardia medica diurna per questi pazienti che oggi non hanno un medico di base.
Lei non ha perso nemmeno un paziente per il Covid.
Tra quelli che ho curato, nessuno. Uno dei miei assistiti in realtà è morto, ma non si era rivolto a me. Si sentì male durante un weekend, lo portarono in ospedale ed è morto lì, “parcheggiato” in un reparto Covid per settimane, come la maggior parte dei malati gravi.
Come si spiega questo risultato?
Sono andato a casa dei pazienti tutti i giorni, mentre praticamente tutte le persone morte sono rimaste per settimane a casa senza assistenza. Riferivano i sintomi al medico di famiglia, alla guardia medica, al 118, ma c’era sempre qualcuno più urgente da seguire. Se i medici di base avessero visitato i pazienti e attivato per tempo l’assistenza domiciliare integrata, con l’ossigenoterapia e un infermiere per la reidratazione, le persone si sarebbero salvate. Così ho fatto io, che non sono certo un luminare. La responsabilità è tutta della medicina territoriale. I miei colleghi ospedalieri non sono arrivati neanche a visitare i pazienti, perché non ci sono abbastanza medici per un numero così grande di malati. Gran parte di queste persone sono morte senza vedere un medico.
Cosa bisogna fare per rilanciare la medicina territoriale?
Raddoppiare per decreto il numero di medici di famiglia. E pagarli il doppio. Per una visita io ricevo 17 euro che se ne vanno quasi tutti in contributi, tasse e dispositivi di protezione. A conti fatti, uno come me visita i pazienti tutti i giorni in cambio di niente. Quanti medici sono così fessi da rischiare la vita gratis? Se per esempio una visita fosse pagata cento euro, il risparmio per la sanità sarebbe comunque enorme perché un giorno di ricovero in ospedale ne costa almeno millecinquecento. E invece hanno fatto l’unica cosa che non dovevano fare: aumentare da 1400 a 1800 il numero massimo di assistiti per ogni medico di base. Se i medici non bastavano prima, cosa vuoi che si faccia con ancora più assistiti? Ma le regole sono fatte per favorire gli ospedali privati e i loro proprietari. Temo che anche soldi dell’Europa faranno la stessa fine.
Se i medici di base non fossero liberi professionisti ma parte integrante del Servizio sanitario nazionale, con le Asl a coordinarli l’assistenza sarebbe stata garantita meglio?
Le Asl hanno altri strumenti per far lavorare i medici di base: basterebbe togliere loro la convenzione se non fanno il loro dovere. Ma la realtà è un’altra: il territorio è pieno di sostituti come me, che non hanno nemmeno la convenzione. E siamo noi a tenere la Asl sotto ricatto, perché hanno un maledetto bisogno di noi.
Adesso si pensa di aumentare gli investimenti in telemedicina.
Invece di investire sulle persone si pensa a comprare tecnologia. Intendiamoci, la telemedicina potrebbe anche essermi d’aiuto. Ma quando tutti si ammalano servono i medici che vanno a visitare, non ci sono stregonerie. Qualche mio paziente ha dovuto fare anche 19 giorni di antibiotici, ma alla fine ce l’hanno fatta tutti.
di Andrea Capocci
da il Manifesto del 24 settembre 2020