Brigate volontarie d’altri tempi. I sovversivi e il colera di Napoli, 1884

Gruppo di volontari per l'emergenza colera, Napoli 1884. Seduti a terra, da destra Luigi Musini e Felice Cavallotti

21 agosto 2020, da Rivista Malamente

Di Luigi (da Malamente #18, giugno 2020)

Il primo caso si verifica a Saluzzo, in Piemonte, il 28 giugno 1884, proveniente dal Sud della Francia. La malattia che presto comincia a dilagare nonostante i cordoni sanitari dell’esercito è, ancora una volta, il temuto colera. Una malattia di origine batterica, infettiva e contagiosa, che provoca diarrea, vomito e in poco tempo una grave disidratazione: gli occhi si infossano, la pelle si riempie di rughe, la morte attende dietro l’angolo. La trasmissione deriva da cibo contaminato, da poca igiene e scarsa disponibilità di acqua potabile, per questo è più facile incontrarla nei quartieri popolari piuttosto che nelle dimore dei ricchi. Il colera attraversa l’Italia, ad agosto è in Liguria, Toscana, Emilia, a settembre il focolaio peggiore colpisce Napoli. Qui, nel giro di due settimane i malati si contano a migliaia, quasi tutti tra i bassifondi della città, i morti arrivano presto a più di 8.000. Oltre all’esercito, inviato anche a sedare i tumulti popolari che andavano nascendo, arrivano a Napoli alcuni gruppi di volontari. Tra loro chi si batteva per un mondo libero dall’ingiustizia e dalla miseria sociale: anarchici e socialisti.

Gruppo di volontari per l'emergenza colera, Napoli 1884. Seduti a terra, da destra Luigi Musini e Felice Cavallotti

Gruppo di volontari per l'emergenza colera, Napoli 1884. Seduti a terra, da destra Luigi Musini e Felice Cavallotti

Tra i primi volontari contro il colera di Napoli troviamo Andrea Costa. Era stato uno dei pionieri dell’internazionalismo rivoluzionario anarchico, grande protagonista delle lotte operaie e mito delle plebi romagnole, solo da qualche anno aveva intrapreso il non facile percorso, pieno di spine, violente polemiche, accuse di tradimento e amicizie infrante che l’aveva portato dall’anarchismo al socialismo, fino a sposare la lotta elettorale e a diventare, nel 1882, il primo deputato socialista eletto al Parlamento. Con lui, a Napoli, c’è Luigi Musini, giornalista e uomo d’azione, ex garibaldino, secondo deputato socialista d’Italia. Entrambi affiliati alla massoneria, avevano risposto all’appello del Grande Oriente d’Italia[i] e si erano aggregati alla Croce verde di Giovanni Bovio, gran maestro della loggia napoletana. Musini era medico, Costa gli faceva da infermiere: «si aggiravano fra i bassi di Napoli con le tre stellette massoniche sul petto e la croce verde sul braccio, soccorrendo gli ammalati, bruciando le suppellettili ed i vestiti nei quartieri dove il morbo aveva più colpito»[ii]. In ragione dei servizi prestati durante l’epidemia, saranno nominati membri onorari della loggia partenopea Italia.

Muoversi non era facile. Un caffè, un bicchierino di cognac e subito ci si ritrova alla Farmacia del Tigre, punto di raccolta dei volontari; da lì si parte verso i quartieri popolari con in borsa laudano, etere, chinino, disinfettanti, miscele eccitanti e unguenti. Oltre a evitare il bacillo Vibrio cholerae, Costa e Musini devono anche sopportare il costante pedinamento della polizia (è vero che ormai sono onorevoli deputati, ma erano entrati e usciti di galera si può dire fino al giorno prima). Tanto che il 15 settembre scrivono una protesta pubblica sul giornale “Roma”, suscitando un certo imbarazzo nel governo. Ricorda Musini nelle sue memorie:

«ieri ci capitò un bel caso. Stavamo con Costa girando per il quartiere del mercato a visitar infermi assieme al dottor Calì, quando il vetturino si accorse che un tale in vettura ci seguiva tenendo nota delle abitazioni da noi visitate. Temendo di equivocarci ordiniamo al vetturino di fermarsi artificialmente in vari punti e sempre quell’altro prende nota e ci segue. Allora il Calì smonta per vedere chi è e chiedergli ragione. Tosto lo riconosce per un appuntato di PS che, messo alle strette, confessa»[iii].

Con Costa e Musini c’erano anche altri deputati: Felice Cavallotti, ex garibaldino, repubblicano di sinistra, Antonio Maffi dell’Unione operaia radicale, Luigi Ferrari, repubblicano riminese. Non sappiamo come operarono sul campo, sappiamo però che la squadra di deputati e massoni il 25 settembre se ne va da Napoli accompagnata in stazione dalle autorità locali (solo Costa resterà fino ai primi di ottobre). Con loro si erano aggregati due anarchici, Antonio Valdrè e Rocco Lombardo: entrambi restano uccisi dalla pestilenza. Il primo era originario di Castel Bolognese, già volontario garibaldino, il secondo ligure, redattore del giornale torinese “Proximus tuus” – «che attaccando i disertori ed i mistificatori del nostro partito dispiegava arditamente la bandiera dell’Anarchia» – scriveva due giorni prima di morire: «il nostro lavoro è un po’ ributtante, ma assuefattisi è nulla, e poi lo facciamo volentieri perché partiti appunto per quello»[iv]. Con loro muore anche un altro socialista-anarchico, Massimiliano Boschi, calzolaio di Parma. Tutti e tre sono ricordati, insieme a un paio di suore e pochi altri, nell’epigrafe del monumento raffigurante un pellicano, opera dello scultore Francesco Jerace, posto lungo la riviera di Chiaia nella Villa comunale di Napoli. Le autorità locali promuovono una commemorazione pubblica, che viene però più volte rinviata e quando si crede stabilita per il 23 novembre, viene invece anticipata e liquidata in tutta fretta il 16, «senza che noi – denunciano gli anarchici – vi potessimo prendere parte, per onorare i nostri eroici compagni e per impedire che fossero insultati dai discorsi ufficiali»[v].

Il colera a Napoli, tumulti per le vie, da L'Illustrazione italiana, 21 set. 1884
Il colera a Napoli, tumulti per le vie, da L'Illustrazione italiana, 21 set. 1884

Anche altri anarchici si erano intanto autorganizzati per costituire una brigata volontaria di soccorso, slegati però da Croci verdi e massoni vari. È il gruppo di Firenze, dov’era all’epoca presente una solida rete di compagni e compagne. Ai primi del 1883 Errico Malatesta, dopo varie peregrinazioni, arresti ed espulsioni da mezza Europa, e dopo una breve parentesi al fianco degli insorti egiziani contro l’occupazione britannica, aveva scelto proprio il capoluogo toscano come base d’azione. Qui si era legato alla coppia formata da Luisa Minguzzi, detta Gigia, protagonista di primo piano dell’organizzazione femminile operaia e internazionalista, e Francesco Pezzi, il cui appartamento a San Frediano era in quegli anni casa, sede e rifugio per compagni e compagne. Per Malatesta, la preoccupazione principale del periodo è contrastare la deriva legalitaria ed elettorale del vecchio compagno, ora antagonista, Andrea Costa. Nei primi mesi del 1884 si ritrova sotto processo, con altri coimputati, per “associazione di malfattori”: condannato in primo grado a tre anni ricorre in appello per guadagnare qualche altro mese di libertà e proseguire nell’organizzazione del movimento anarchico.

Nel frattempo, a settembre, iniziano a giungere notizie dell’epidemia di colera che sta mettendo a dura prova i ceti popolari napoletani. Malatesta e i suoi più stretti compagni, tutti sulla trentina, capiscono che le parole “solidarietà” e “mutuo appoggio” devono finalmente scendere dalla teoria e calarsi nella pratica reale, per questo iniziano a organizzarsi. A dare la scossa decisiva, nonché i soldi per il viaggio, è l’anarchico diciannovenne Galileo Palla:

«conobbi il Palla a Firenze nel 1884 – scrive Malatesta qualche anno più tardi –. A Napoli infieriva il colera, ed eravamo molti fra i socialisti che anelavano di correre in soccorso dei colerosi. Mentre cercavamo di raccogliere il denaro per il viaggio, arrivò il Palla, il quale andava anche lui a Napoli, e siccome aveva più denaro di quello che gli occorreva per il biglietto della ferrovia, si fermò a Firenze per vedere se v’era qualche volenteroso che non potesse partire per mancanza di denaro ed aiutarlo. Mi giunse di casa gridando e gesticolando. Come, mi disse, tu non vai a Napoli! – Chi sei? Gli domandai. – Che t’importa? Fu la sua risposta: i colerosi non hanno bisogno di sapere il nome di chi sta al loro capezzale. È giusto, io dissi… siamo qui in parecchi che vogliamo andare, ma non abbiamo potuto ancora mettere insieme il denaro per il viaggio. Allora Palla vuotò le sue tasche sul tavolo, e così tra il denaro suo e quello che potemmo trovare a Firenze, potemmo partire lui, la Gigia Pezzi, Arturo Feroci, Vinci, Del Vecchio, io ed altri compagni. La condotta di Palla a Napoli fu splendida. Coraggioso, infaticabile, notte e giorno era sempre all’opera. Stavamo tutti senza denaro, qualche volta soffrivamo la fame e quasi invidiavamo la minestra che servivamo ai convalescenti. Palla ricevette da casa sua un po’ di denaro che sarebbe bastato largamente ai suoi bisogni; ma esso, come del resto avrebbe fatto ognuno di noi, lo mise in comune e così potemmo andare alla men peggio fino alla fine dell’epidemia»[vi].

Il colera a Napoli, servizio della Croce bianca, da L'Illustrazione italiana, 5 ott. 1884
Il colera a Napoli, servizio della Croce bianca, da L'Illustrazione italiana, 5 ott. 1884

La questura di Napoli segnala il 16 settembre l’arrivo in stazione degli anarchici Errico Malatesta, Luisa Minguzzi, Francesco Pezzi, Giuseppe Cioci, Arturo Feroci e Pietro Vinci[vii]. Anche questo gruppo infatti, come e forse più dei socialisti di Costa, si muove costantemente pedinato dalla polizia, anche in mezzo al colera. Malatesta non ha mai scritto molto di quell’esperienza. Qualche cosa la sappiamo di seconda mano, tramite Luigi Fabbri: avendo Malatesta frequentato alcuni corsi alla Facoltà di medicina di Napoli, senza mai laurearsi, gli venne affidato un reparto di ammalati, che «ebbe una tra le più alte percentuali di guarigioni, grazie ai suoi sforzi per far distribuire dal comune di Napoli agli ammalati medicinali e alimenti in abbondanza». Si vide attribuire anche un attestato ufficiale di benemerito, che rifiutò[viii].

Del gruppo faceva parte Luisa Minguzzi. La scrittrice anarchica Leda Rafanelli ricorda così il loro primo incontro:

«delle sue eccezionali avventure non parlava quasi mai. Aveva avuto, da Felice Cavallotti, un riconoscimento ufficiale per l’assistenza eroica prestata nella lotta contro la terribile epidemia del colera, a Napoli: me lo disse come fosse stato un servizio naturale, un’azione di umanità, che tutti avrebbero potuto fare. Ed io, che ho sempre avuto l’orrore, anzi direi la ripugnanza pel dolore fisico, per la sofferenza che mi sembra la “punizione” per la natura umana, ascoltando la descrizione della vita che Luigia aveva vissuto nelle tragiche giornate, assistendo centinaia di colerosi, rimuovendo cadaveri, e più, col dolore morale che riempiva il suo cuore di umana pietà, la sentivo così diversa da me, così forte che l’ammiravo ed ero orgogliosa della sua amicizia»[ix].

Luisa Minguzzi
Luisa Minguzzi

Oltre alla Gigia Minguzzi erano probabilmente presenti a Napoli anche altre compagne, purtroppo rimaste senza nome. Una di cui è rimasta traccia è Florentine Lombard, anarchica inglese, di professione infermiera; morirà pochi anni dopo e sarà ricordata come «una carissima compagna, una donna dai sentimenti nobili, una combattente coraggiosa per l’emancipazione degli oppressi»[x]. Alla fine dell’epidemia gli anarchici lasciano Napoli e diffondono un manifesto in cui denunciano che la vera causa del colera è la miseria e l’unico rimedio efficace la Rivoluzione sociale.

A fine dicembre 1884 la Corte d’assise di Roma conferma la condanna di Malatesta e altri per il reato di “associazione di malfattori”; nell’aprile 1885 la Cassazione respingerà l’ultimo ricorso ma nel frattempo, nonostante fossero tutti sotto stretta sorveglianza di polizia, riescono a dileguarsi. La fuga di Malatesta è da manuale: ospite nella casa-laboratorio di Francesco Natta, si nasconde in una cassa di macchine da cucire ed è proprio un poliziotto che aiuta a sollevarla e caricarla su un carro da trasporto. Riesce così a imbarcarsi per il Sud America, insieme ai compagni più stretti, Luisa Minguzzi, Francesco Pezzi, Galileo Palla. Resterà in Argentina per quattro anni facendo, tra le altre cose, anche il cercatore d’oro in Patagonia.


[i] «Le logge, come enti organizzativi, possono, ove il caso si verifichi, rendere molti ed intelligenti servizi, incoraggiando e coadiuvando le autorità in ogni evenienza, provvedendo alla applicazione dei mezzi preservativi suggeriti dalla scienza, costituendo società di assistenza od aggregandosi alle costituite, raccogliendo fondi per i primi soccorsi, procurando che non si permettano dalle autorità agglomerazioni d’individui o riunioni numerose, segnatamente in luoghi chiusi e malsani, insomma invigilando ed oprando affinché, o il morbo non si manifesti, o ne siano meno gravi le conseguenze», in Sarastro e il serpente verde: sogni e bisogni di una massoneria ritrovata, a cura di Giovanni Greco e Davide Monda, Bologna, Pendragon, 2003, p. 264.

[ii] Ivi, p. 265.

[iii] Luigi Musini, Da Garibaldi al socialismo: memorie e cronache per gli anni dal 1858 al 1890, Milano, Avanti!, 1961, p. 245.

[iv] Lombardo Rocco, “La questione sociale”, 22 nov. 1985

[v] Italie, “Le Révolté”, 7-20 dic. 1884.

[vi] Errico Malatesta, Galileo Palla ed i fatti di Roma, “La Rivendicazione”, 23 mag. 1891.

[vii] Cfr. Claudia Bassi Angelini, Amore e anarchia. Francesco Pezzi e Luisa Minguzzi, due ravennati nella seconda metà dell’Ottocento, Ravenna, Longo, p. 106.

[viii] Luigi Fabbri, Vida y pensamiento de Malatesta, Barcellona, Tierra y Libertad, 1938, p. 89.

[ix] Leda Rafanelli, Gli ultimi internazionalisti, “Umanità nova”, 24 dic. 1966.

[x] Cfr. Alessia Bruni Cavallazzi, Florentine Lombard: a Kent anarchist and volunteer nurse during the Naples cholera epidemic of 1884, “Bulletin of the Kate Sharpley Library”, n. 77, gen.-feb.2014.

 

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FONTE: https://malamente.info/2020/08/21/brigate-volontarie-daltri-tempi-i-sovversivi-e-il-colera-di-napoli-1884/


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