19 marzo 2020
1.
Ho in cura delle persone che hanno attraversato lunghi periodi di auto-quarantena: per mesi, per anni, non uscivano mai di casa. Se erano soli, uscivano solo per fare la spesa alimentare, per andare alla posta. Se avevano un lavoro, lo avevano lasciato; se erano studenti, avevano interrotto gli studi. (Alcuni hanno chiesto e ottenuto il reddito di cittadinanza, il che – a mio avviso – asseconda la loro sindrome.) È una sindrome che non ha nome – la si chiama agorafobia, ma in realtà queste persone di solito non hanno paura degli spazi aperti, bensì delle altre persone, della folla che circonda, urta, spinge. Li chiamerei claustrofilici, rubando il termine al mio maestro in psicoanalisi, Elvio Fachinelli, autore di un libro, Claustrofilia appunto (di Adelphi).