Cosa sono e quanto costano le navi da quarantena per i migranti?

Sono state adottate sia dall’Italia sia da Malta, ma non convincono né gli epidemiologi né i difensori dei diritti umani. E poi hanno dei costi esorbitanti.

Le navi da quarantena sono traghetti privati usati per isolare i migranti arrivati in Italia via mare e sono state istituite dal governo il 12 aprile con un decreto della Protezione civile, dopo che era stato dichiarato lo stato di emergenza per l’epidemia di coronavirus. Lo stato di emergenza terminerà il 31 luglio e non è ancora chiaro se le navi da quarantena rimarranno operative. Secondo il decreto, sui traghetti dovrebbero essere trasferite tutte le persone che sono state soccorse dalle imbarcazioni delle ong, tuttavia negli ultimi mesi sono stati confinati su queste strutture anche alcuni migranti che erano arrivati a terra direttamente con delle imbarcazioni di fortuna partite dalla Tunisia o dalla Libia.

Le navi da quarantena sono sotto accusa da quando, il 20 maggio scorso, un ragazzo tunisino di 28 anni si è buttato in mare per raggiungere a nuoto la costa ed è morto. L’ultimo caso di un trasbordo su una nave da quarantena che ha fatto discutere è quello che ha coinvolto la nave Ocean Viking dell’ong Sos Meditérranée: bloccata per dieci giorni in mare, la notte del 6 luglio ha ricevuto dalle autorità italiane l’autorizzazione ad attraccare a Porto Empedocle, da dove i migranti sono stati trasferiti sulla Moby Zazà, anche se sono risultati tutti negativi al test per il covid-19.

Come funzionano
I traghetti Rubattino e Moby Zazà della Compagnia italiana di navigazione (Cin, già Tirrenia) sono le due navi passeggeri usate per la quarantena dei migranti. La Rubattino è stata attiva fino al 7 maggio ed è stata usata per la quarantena di 180 persone soccorse dalla nave della ong Sea Eye, Alan Kurdi, il 17 aprile 2020 e dall’imbarcazione Aita Mari il 19 aprile 2020. La Moby Zazà è diventata operativa il 12 maggio e attualmente il contratto è valido fino al 13 luglio.

Per il nolo di questa nave la Compagnia italiana di navigazione ha ricevuto una somma che oscilla tra 900mila euro e 1,2 milioni di euro. La sorveglianza sanitaria a bordo è svolta dagli operatori della Croce rossa italiana (Cri). “Le navi non sono ospedali, sono traghetti passeggeri, attrezzati per ospitare circa 250 persone”, spiega la responsabile immigrazione della Croce rossa (Cri) Francesca Basile. “Dal 15 maggio la Moby Zazà ha ospitato 680 persone”, continua Basile, che assicura che sulla nave medici, infermieri e operatori culturali sono protetti da dispositivi di sicurezza e seguono tutti i protocolli sanitari per garantire la salute delle persone.

Chi risulta negativo al test per il coronavirus rimane a bordo per quindici giorni, chi risulta positivo rimane sulla nave fino al momento in cui il tampone diventa negativo. “Abbiamo riscontrato una trentina di persone positive al test dall’inizio dell’operazione a maggio. Erano tutti asintomatici. Sono stati isolati a bordo della nave in una zona rossa, su uno dei ponti. Finché il tampone non è diventato negativo”, spiega la responsabile della Croce rossa.

I costi e le criticità
Alcuni esperti hanno però evidenziato diverse criticità di queste navi, soprattutto dopo che il 20 maggio un ragazzo tunisino si è gettato in mare ed è morto, mentre tentava di raggiungere la costa a nuoto. Valentina Brinis, operatrice legale dell’ong Open Arms, spiega che tenere le persone per lunghi periodi a bordo di una nave provoca un disagio psicologico, che anche in passato ha spinto le persone a gettarsi in mare. “Come Open Arms abbiamo avuto esperienza di quanto sia rischioso tenere a bordo le persone per un periodo di tempo prolungato, come c’è già successo nell’agosto del 2019 nella missione 66”.

In quel caso le condizioni psicologiche critiche delle persone erano state documentate anche dal procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio che aveva parlato di “grande disagio fisico e psichico, di profonda prostrazione psicologica e di altissima tensione emozionale che avrebbero potuto provocare reazioni difficilmente controllabili delle quali, peraltro, i diversi tentativi di raggiungere a nuoto l’isola costituivano solo un preludio”.

Per l’operatrice la quarantena andrebbe svolta a terra, nei centri di accoglienza e negli hotspot, perché “sulla nave è difficile mantenere una situazione di calma quando le persone hanno un vissuto molto traumatico”. Spesso tra le altre cose le persone sono fatte scendere a terra per poi risalire a bordo della nave da quarantena, “creando incomprensioni e frustrazioni che possono essere state all’origine del gesto del ragazzo che si è gettato in mare”. Un altro elemento di criticità è la violazione delle leggi internazionali sul soccorso in mare: le Convenzioni internazionali sul soccorso in mare stabiliscono infatti che le persone soccorse debbano essere rapidamente portate a terra e solo una volta arrivate in un place of safety (Pos) i soccorsi sono da ritenersi conclusi.

Infine non sono chiari i protocolli seguiti a bordo delle navi da quarantena, mentre nei centri a terra ci sono delle normative (i capitolati hotspot) che regolamentano ogni aspetto di questi luoghi in cui le persone sono private temporaneamente della libertà personale. Anche dal punto di vista medico, uno studio coordinato da Joacim Rocklöv, docente di epidemiologia all’Università Umeå, in Svezia, pubblicato sul Journal of travel medicine, ha mostrato che il confinamento delle persone a bordo delle navi (in quel caso si trattava della nave da crociera Diamond Princess) non è efficace per limitare il contagio. Secondo lo studio, l’evacuazione della nave avrebbe portato a un ottavo circa i casi riscontrati al termine della quarantena a bordo.

Per l’esperto di diritto marittimo Fulvio Vassallo Paleologo anche la conformità alle leggi di questo tipo di navi è dubbia, anche se consentita dalle direttive europee: “Un documento non vincolante della Commissione Europea sembra prevedere, con limiti assai discrezionali, questa vistosa violazione delle regole dettate in materia di prima accoglienza dalle direttive dell’Unione europea, dal diritto internazionale del mare e dall’articolo 10 ter del testo unico sull’immigrazione n.286 del 1998”, afferma Vassallo Paleologo.

Dopo l’Italia, anche Malta ha adottato questo tipo di navi turistiche adibite a navi da quarantena per gli stranieri

Secondo la Commissione europea infatti,“per quanto riguarda le condizioni di accoglienza, gli stati membri possono avvalersi della possibilità prevista dalla direttiva 2013/33/UE di stabilire, in casi debitamente giustificati e per un periodo ragionevole di durata più breve possibile, modalità relative alle condizioni materiali di accoglienza diverse da quelle normalmente richieste. Tali modalità devono in ogni caso garantire che si provveda alle esigenze essenziali, compresa l’assistenza sanitaria. Le misure di quarantena o di isolamento per la prevenzione della diffusione della covid-19 non sono disciplinate dall’acquis dell’Unione europea in materia di asilo. Tali misure possono essere imposte anche ai richiedenti asilo conformemente alla normativa nazionale, a condizione che siano necessarie, proporzionate e non discriminatorie”.

“Rimane dunque da accertare se il trattenimento in quarantena a bordo di navi traghetto ancorate in mare, come la Moby Zazà sia ‘necessario, proporzionato e non discriminatorio’. La prassi del trattenimento su navi traghetto destinate alla quarantena dei naufraghi ha comunque disatteso il chiaro indirizzo fornito dalla Corte di cassazione con la sentenza del 20 febbraio 2020, sul caso Rackete, che ribadisce come le operazioni di soccorso in mare si concludano soltanto con lo sbarco a terra, in conformità del diritto internazionale e della normativa interna”, conclude l’esperto.

Dopo l’Italia, anche Malta ha adottato questo tipo di navi turistiche adibite a navi da quarantena per gli stranieri. Nelle ultime settimane sono state tenute al largo 425 persone su navi private, per un costo complessivo di 1,7 milioni di euro. “La maggior parte di questi soldi sono stati usati per le 33mila ore di sorveglianza ai migranti”, spiega il quotidiano The Times of Malta, soprattutto per evitare che facessero gesti di autolesionismo o che si gettassero in acqua. Ora La Valletta vorrebbe chiedere i soldi di questa operazione all’Unione europea, che ha già fatto sapere che non li rimborserà.


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