Virus e complotti: i veleni della pseudoscienza

“Tutto è veleno: nulla esiste senza veleno.
Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto.”
Paracelso

Diciamo la verità: gli ingredienti c’erano tutti. Un misterioso virus che da un pipistrello passa all’uomo dentro un umido e sinistro mercato dell’estremo Oriente affollato di uomini e animali, vivi e macellati. A pochi passi un laboratorio super segreto dove si conducono esperimenti sul genoma virale, assemblando nuovi patogeni. Fin qui i fatti, sui quali si è innestata facilmente la creatività. Una presunta “fuga” dal laboratorio voluta da una mano sinistra, il virus che si diffonde al mercato, da lì agli uomini poi sulle rotte aeree al resto del mondo. A guardarlo così è lecito trovare in questa storia gli elementi della trama di un b-movie e infatti fin dai primi giorni della pandemia, quando il virus si affacciava nella lontana Cina, le teorie su una trama oscura di questa pandemia si sono fatte strada rapidamente.

La rete, con la sua eccedenza di informazioni non verificabili ha aiutato questo processo che già da anni infetta ampi settori dell’opinione pubblica. Sicuramente una spinta decisiva allo sviluppo di queste teorie lo hanno dato le insopportabili gazzarre (che di scientifico non hanno proprio nulla) nelle quali si sono avvicendati politici ed “esperti” che dall’inizio della crisi hanno detto tutto e il contrario di tutto. Numeri inventati, ipotesi azzardate, pericolosi esercizi di “futurologia” spacciati per modelli previsionali in un campo empirico nel quale si può prevedere poco o niente. Tutto in una guerra di posizioni e visibilità spendibile sul mercato della medicina.

Dentro questo spettacolo spesso indecoroso hanno proliferato le ipotesi “dietrologiche”, comprese quelle che sostengono ancora oggi che, in realtà, non ci sia alcuna pandemia e che tutto sia un dispositivo messo in atto dal Potere per controllare la società, teorie che hanno avvelenato il dibattito su un tema che meritava maggiore disciplina argomentativa. Ma i mestatori della rete, molti dei quali professionisti a caccia di like che si trasformano, nell’economia distorta della rete, in profitto, non sono gli unici responsabili.

Sono anni, ormai, che le teorie del complotto riguardanti la scienza e la medicina si rincorrono generando spaccature nette fra fronti di “opinioni”. Non giudizi metodologicamente fondati e verificati, quindi, ma supposizioni basate su illazioni, sospetti, sulla “logica” chiamata in causa in modo improprio a sostegno non di un’analisi critica ma di una visione ideologica del rapporto uomo-scienza. Queste visioni sinistre che si annidano nel corpo della società sono generate, ormai da tempo, da una frattura fra il mondo della scienza e la società, rispetto alla quale sono pesanti le responsabilità della “comunità degli scienziati”, che a questi attacchi risponde in maniera altrettanto ideologica, quando non capziosa, arroccandosi in una difesa sprezzante della “verità scientifica” e in uno scientismo positivista del tutto sterile. Quando poi si parla di medicina, il discorso si complica, in virtù della natura di questa disciplina che non appartiene al campo delle scienze esatte e che, occupandosi della salute delle persone, si muove in un terreno insidioso nel quale costruire un corretto rapporto con i pazienti è estremamente difficile quanto necessario.

La medicina è un campo di attività sociali dedita non solo alla cura delle malattie ma, già in epoca pre-ippocratica, alla prevenzione. Nell’Antica Grecia questa attività in origine basata su un carattere religioso, si stacca da questo mondo oscuro di presagi e misteriosi accadimenti con la nascita della filosofia della natura, che segna la fine della concezione teurgico–sacrale della medicina. Una cesura nata dalla insufficienza della metafisica a rispondere alle domande di chi, indagando la natura, non si accontentava più di dogmi. Nasce da questo atteggiamento una pagina nuova delle scienze dentro la quale si disegna un orizzonte inedito anche per la medicina che una scienza non lo è mai stata. E proprio a partire da questa sua natura è possibile comprendere il perché di una lunga storia di conflitti fra questa “arte” e la società, soprattutto all’interno dell’organizzazione capitalista che mette a profitto anche il bene meno commerciabile di tutti, la salute.

La medicina è una disciplina che provvede all’applicazione pratica delle conoscenze, sono scienza i suoi presupposti, la fisica, la chimica, la matematica, la biologia, l’anatomia. Il campo applicativo di queste conoscenze, in perenne mutamento, rende estremamente difficile trovare soluzione a problemi complessi come le patologie, delle quali in molti casi si ignorano significativi processi di base. I greci, non a caso, la denominavano “iatrikè téchne”, escludendola dal campo dell’epistéme e inquadrandola quindi, come tecnica, utilizzata anche quando non si conoscono tutti gli elementi alla base del funzionamento di una patologia. Se un farmaco risolve una condizione patologica, anche se non si conoscono dettagliatamente tutti i suoi meccanismi di funzionamento, allora viene usato. La mancata conoscenza dell’insieme dei processi biologici e fisiologici alla base del suo funzionamento rende plausibile, sempre, una quota di rischio che, trattandosi di corpi, si traduce in effetti dannosi, talvolta anche letali. È il campo complesso delle complicanze, all’interno delle quali si inseriscono gli effetti collaterali, gli eventi avversi, i fallimenti di cui è costellata la storia della medicina, sempre in bilico fra il fallimento e il successo.

Prima che si riuscisse a dominare le leucemie infantili, gli sforzi di Farber e dei suoi colleghi sono passati attraverso il fallimento. Centinaia di bambini sui quali le prime cure sperimentali non hanno funzionato. Bambini morti perché non si riusciva a bilanciare l’effetto terapeutico dei farmaci e la loro dose tossica. La medicina va avanti così da sempre, il problema non è sottolinearne gli insuccessi e ammiccare con presunzione dal web dicendo “avete visto?”. Il punto è comprendere, retrospettivamente, quale sia il bilancio fra effetti positivi ed effetti negativi di un farmaco o di una terapia e in che modo intraprendere percorsi clinici bilanciando il rapporto fra effetti benefici e tossici. In questo senso sono preoccupanti gli approcci semplicisti che vedono dietro qualsiasi evento la longa manus di poteri oscuri che tramano per soggiogare l’umanità. Che vi sia questa lotta lo sappiamo da tempo, il tema del potere delle case farmaceutiche non è una novità ma un elemento strutturale del più ampio problema che si chiama capitalismo, non dovevano arrivare dal buio della rete oscuri profeti a spiegarci la verità, anche perché quasi mai, poi, questi guru della “scienza parallela” diffondono con la stessa sicumera delle soluzioni ai problemi posti. Il loro approccio, nel rimuovere la sfida della complessità è decisamente reazionario.

Sono nati dentro questa caldera fondata sull’ipercriticismo (che di per sé sarebbe sano se fondato su un metodo valido) fenomeni come Di Bella e la sua cura mai verificata che ha nutrito e ancora nutre le speranze di migliaia di persone che non si rassegnano alle durissime condizioni della chemioterapia e alla quota di insuccessi a essa correlati. Dentro questa mistura di paura e legittimo desiderio di salvezza hanno lucrato personaggi come Mannoni, il “guru” delle staminali e tantissimi altri “santoni” che, fuori dal dibattito scientifico agitano la speranza della panacea davanti allo sguardo disperato degli ammalati, come i venditori di bevande miracolose del vecchio West. A tutto questo, però, è sbagliato contrapporre “l’autorità” con la quale è impossibile gestire crisi come quella generatasi intorno al problema dei vaccini, una questione politica trasformata in una guerra manichea, un paradosso che mina il rapporto, già precario, tra medici e pazienti, rispetto al quale la comunità dei camici bianchi dovrebbe interrogarsi, riflettendo su una perdita di fiducia cui contribuisce notevolmente la deriva della medicina “tecnica” e l’atteggiamento delle sue istituzioni sanitarie di fronte a quelle che sono legittime paure cui bisogna andare incontro, certamente non con reazioni scomposte come quella del ministero, che ha trasformato il processo di vaccinazione in un TSO collettivo.

Quella sfiducia andrebbe indagata provando a capire quanto contino nella sua genesi fattori come la cronica carenza dell’aspetto relazionale medico/paziente, in un ambito clinico sbilanciato sull’aspetto terapeutico che lascia poco spazio al rapporto di fiducia. Se poi si costruisce un ambito professionale nel quale, come ai tempi dell’Alberto Sordi nei panni del prof. Tersilli, l’attività privata risulta qualitativamente superiore a quella in regime pubblico, è chiaro che quella frattura diventa insanabile. Su questo andrebbe impostata una riflessione di fronte al fiorire delle “medicine parallele” nel quale hanno gioco facile i “guru” che, invece, sapientemente giocano tutto sulla psiche del paziente, coltivando un terreno che viene meno nel rapporto con i medici “tradizionali”. Le pseudomedicine, le narrazioni “complottiste”, la sfiducia nei confronti dei medici nascono nell’infelicità, nel disagio psichico e nell’insoddisfazione, elementi “patologici” che non trovano posto da tempo dentro la medicina contemporanea neopositivista, ipertecnologica e completamente sbilanciata sul paradigma della cura. Ricominciare a riflettere su questi elementi è un passo decisivo per recuperare il terreno perduto negli ultimi quarant’anni, che hanno affossato una riforma come la 833 del 1978, sicuramente incompleta ma molto avanzata nei suoi principi di base che, se si fossero sviluppati all’interno di un dibattito fertile e onesto, avrebbero portato sicuramente a uno scenario differente, nel quale pazienti e medici non si sarebbero guardati in cagnesco ma avrebbero cooperato alla costruzione di un sistema sanitario in grado davvero di garantire la salute, il benessere fisico e psichico della collettività.

 

FONTE: https://napolimonitor.it/pandemia-8-virus-e-complotti-i-veleni-della-pseudoscienza/


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