24 giugno 2020
Vivo nel Queens, un quartiere di New York. È uno dei posti con la popolazione più eterogenea del mondo, ed è stato colpito molto duramente dall’epidemia da Covid; da noi, questa tragedia è stata molto legata alle questioni di razza e di classe. Fin dall’inizio, la gente ha iniziato ad attivarsi in reti di mutuo aiuto: nella mia zona un programma per i senza tetto di matrice religiosa è stato travolto dall’aumento di persone bisognose di cibo e ha iniziato a essere sostenuto da un centro sociale di autonomi, per aumentarne la capacità di risposta. Il cibo non avanza mai e spesso devono mandare via la gente a mani vuote. A donare sono grandi corporation, piccole aziende agricole, ristoranti, e anche gente comune che dona soldi. Lo Stato di New York ha fatto passare una moratoria sugli sfratti, ma ora che questa misura sta per finire ci sono ancora troppi nuovi disoccupati. Almeno quarantaquattro milioni di persone negli Stati Uniti hanno perso il lavoro (e chi è senza documenti non rientra in questa cifra), e solo nell’ultima settimana più di tre milioni di persone hanno fatto richiesta per la disoccupazione. Non si sa per quanto tempo continueranno queste donazioni di cibo. Dobbiamo sviluppare delle risposte sostenibili alla fame.
Insegno in un’università pubblica. Lo stato ci ha tagliato i fondi nel mezzo della pandemia; i professori a contratto che già vivevano da precari sono stati licenziati in blocco. Non si sa quando potranno tornare di nuovo in servizio i lavoratori della nostra mensa. Il programma Zero Waste del comune di New York è stato definanziato, nonostante la crisi climatica stia aumentando sempre di più. Il suono delle sirene che fino a poco tempo fa interrompeva le nostre giornate ha lasciato il posto alle grida di Black Lives Matter e al rumore dei petardi, ogni notte. Ci sono manifestazioni e proteste ogni singolo giorno in tanti punti diversi della città. La tecnica di ingabbiare i cortei, ripetutamente utilizzata sin dal 2001, è sparita. Ci prendiamo le strade quando e come vogliamo, la violenza non serve.
La ragione immediata delle sollevazioni è l’omicidio brutale di George Floyd per mano di un poliziotto (che tra l’altro lavorava con lui nella security di un bar) il quale gli ha schiacciato il collo con un ginocchio per quasi nove minuti, mentre stava faccia a terra in strada. Chi protesta però esprime rabbia anche contro il continuo razzismo verso i neri non solo da parte della polizia, bensì in molti altri ambiti di questa società costruita sulle differenze razziali. Dietro il razzismo esplicito c’è un altro livello di razzismo, che si vede per esempio negli effetti che sta avendo il Covid sulle famiglie nere. Sappiamo che queste famiglie hanno sopportato razzismo ambientale e gli incidenti sul posto di lavoro; ci sono studi che dimostrano che gli operatori sanitari ritengono che i neri sentano meno il dolore, e li trattano di conseguenza. Non abbiamo ancora riconosciuto a sufficienza la storia della produzione di plusvalore da parte della popolazione nera e la sua appropriazione da parte dei bianchi – e quindi la storia della riproduzione del divario economico razziale. Questa dinamica si vede chiaramente nella retorica del “lavoratore essenziale”, in questo periodo glorificato dai nostri leader. La maggior parte dei “lavoratori essenziali”, quelli che hanno lavorato senza sosta prima e durante il Covid per coltivare il cibo che noi mangiamo, per portarci al lavoro e riportarci a casa, per consegnare i beni di cui abbiamo bisogno, per prendersi cura dei nostri malati e degli anziani, sono neri, o comunque persone di colore, e migranti.
New York ha fatto i suoi primi passi verso l’”apertura” dopo il Covid quando è esplosa la “ribellione per Floyd”. Le manifestazioni, i cortei, l’educazione politica, la spinta verso il cambiamento, sono andate avanti ogni giorno per settimane. Oggi hanno riaperto i tribunali che si occupano degli sfratti (le housing courts): in tutto lo stato di New York ci sono state manifestazioni sui marciapiedi di fronte a questi edifici, per chiedere che vengano cancellati gli affitti, che si fermino gli sfratti, e che questi tribunali vengano chiusi di nuovo. Solo stamattina il nostro governatore ha approvato finalmente un debole progetto di legge per sostenere gli inquilini. Ma i cento milioni di dollari previsti per il sostegno all’affitto, divisi per le 750 mila unità abitative occupate da inquilini in condizioni di povertà, diventeranno 133 dollari per ogni alloggio. Come può questa misura aiutare gli inquilini che già pagano affitti insostenibili, e che dopo aver perso il lavoro negli ultimi mesi si sono già indebitati per migliaia di dollari? Sappiamo che gli abitanti di New York non sono soli. Abbiamo bisogno di un’alleanza nazionale e internazionale per bloccare le responsabilità della finanza nella (in)sicurezza abitativa.
La chiamata a “definanziare la polizia” è parsa strana a molti che non riescono a immaginare un mondo senza polizia. Eppure i legislatori dello stato di New York stanno veramente pensando di sottrarre un miliardo di dollari di finanziamento alla polizia; questi soldi possono andare a programmi sociali e di sostegno alle comunità. Questa cifra non compenserà neanche i tagli all’università, ma indica una strada per il futuro che può essere percorsa solo se continuiamo a lottare. La rivendicazione è stata sostenuta energicamente dal sindacato degli infermieri e da quello dei trasporti, che hanno chiesto maggiori finanziamenti per i loro “servizi essenziali”. Anche i migranti trattenuti nei centri di identificazione ed espulsione hanno protestato per le vite dei neri, nonostante le terribili condizioni di detenzione. Ci sono chiamate a boicottare Amazon. Vediamo trame di solidarietà che si stanno intrecciando nella nostra società.
Domani andrò a fare il test sierologico. Speriamo che le proteste non diventino la causa di una nuova impennata di Covid in tutta la città. Ora indossiamo tutti la mascherina in pubblico, ma la combinazione tra la riapertura delle attività e l’inizio delle proteste ci ha fatti tornare alle vecchie abitudini. Siamo animali sociali. Così come non possiamo tornare alla vita di prima rispetto alle precauzioni da tenere per il Covid, non possiamo abituarci di nuovo alla forma che aveva la nostra società. Siamo animali comunitari. Abbiamo bisogno di obbligare la finanza e i grandi capitali a restituirci il plusvalore, e a regolarlo. La ricchezza dei cinque maggiori miliardari – Bill Gates, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, Larry Ellison e Warren Buffet – è cresciuta del 26% tra la fine di marzo e oggi. Il Covid non è la causa, ma un sintomo della struttura della nostra società. Nel nostro dolore e nella nostra paura, troviamo anche l’opportunità storica di cambiare la società. (mary taylor, traduzione di gloria pessina / stefano portelli)