La strage degli anziani: in cinque paesi Ue la metà dei morti per covid-19 è avvenuta nelle case di riposo

Dal Pio Albergo Trivulzio ad altre Rsa lombarde, numerosi morti per Covid sono avvenute nelle strutture che ospitano le persone più anziane e quindi a rischio in piena emergenza covid-19. Una bomba a orologeria, che è esplosa in diverse parti d’Italia nonostante i continui allarmi lanciati da lavoratori e sindacati. La mancanza di dispositivi protettivi, le procedure sbagliate, gli spazi inadeguati a fronteggiare la pandemia hanno contribuito a peggiorare un’emergenza sanitaria che ha avuto gioco facile a colpire gli individui più fragili e con patologie, quindi vittime ideali del coronavirus. Un dramma che non si è consumato solo in Italia: in cinque paesi europei oltre la metà delle morti associate al covid-19 sono avvenute nelle case di riposo.

Nelle residenze sanitarie assistenziali di Italia, Francia, Spagna, Belgio e Irlanda il coronavirus si è mosso velocemente, approfittando della debolezza dei suoi ospiti. Lo certificano i dati di un nuovo studio pubblicato dall’International Long-Term Care Policy Network, un gruppo di ricerca accademico che fa parte della London School of Economics, che mostrano come oltre il 42 per cento dei decessi associati al coronavirus – fino a raggiungere il picco del 57 per cento per la Spagna – si sia verificato nelle case di riposo.

I dati sui decessi nelle case di riposo in Italia, Francia, Spagna, Irlanda e Belgio – International Long-Term Care Policy Network

 

Come mostra la tabella, secondo i calcoli e le indagini effettuate dai ricercatori, fino al 6 aprile 2020 le morti confermate per covid-19 avvenute nelle strutture residenziali e sociosanitarie in Italia sono state 9509, il 53 per cento dei decessi totali. Una tendenza simile è stata registrata in Spagna, dove fino all’8 aprile 2020 si contavano 9756 decessi legati alla pandemia nelle case di riposo, il 57 per cento del totale. Sono le percentuali più alte, insieme a quella irlandese (il 54 per cento).

Le indagini in corso in Lombardia stanno cercando di chiarire alcuni aspetti della tragedia, individuando tutte le cause che vi hanno concorso. Oltre alla mancanza di dispositivi di protezione individuale e protocolli sbagliati denunciati dai sindacati, sotto i riflettori c’è anche la delibera regionale dell’8 marzo, che dava la possibilità alle strutture su base volontaria di ospitare pazienti covid dimessi dagli ospedali.

Nelle case di riposo il rischio di trasmissione del coronavirus è molto alto – Getty Images

Come si legge nell’allegato 2 del provvedimento, “a fronte della necessità di liberare rapidamente posti letto di Terapia Intensiva e Sub Intensiva e in regime di ricovero ordinario degli ospedali per acuti, occorre mettere a disposizione del Sistema Regionale i posti letto delle “Cure extra ospedaliere” (subacuti, postacuti, riabilitazione specialistica sanitaria (in particolare pneumologica), cure intermedie intensive e estensive, posti letto in RSA)”.

A tal fine, la delibera dispone che “l’individuazione da parte delle ATS di strutture autonome dal punto di vista strutturale (padiglione separato dagli altri o struttura fisicamente indipendente) e dal punto di vista organizzativo, sia di strutture non inserite nella rete dell’emergenza urgenza e POT, sia di strutture della rete sociosanitaria (ad esempio RSA) da dedicare all’assistenza a bassa intensità dei pazienti COVID positivi”.

L’assessore regionale lombardo alla Sanità Giulio Gallera. Agf

Un provvedimento che l’assessore al Welfare della regione Lombardia Giulio Gallera ha difeso, spiegando che era necessario “trasferire pazienti dagli ospedali alle rsa per ricoverare persone e salvare vite”. Secondo Gallera, il trasferimento sarebbe avvenuto solo in quelle strutture che offrivano padiglioni separati e indipendenti e con personale dedicato, in modo da evitare qualsiasi contagio.

Tuttavia, la decisione è stata molto contestata. “È stata una delle criticità che sono emerse, un errore madornale. Non si può mettere nella stessa struttura pazienti covid-19 e non. La diffusione della malattia è immediata, visto che si tratta di un virus a rapida contagiosità”, spiega a Business Insider Italia Carlo Palermo, segretario nazionale Anaao – Assomed (associazione medici dirigenti), che aggiunge: “La questione però da non dimenticare è che il sistema sanitario delle zone più colpite si è trovato assalito, anche perché il metodo seguito per fronteggiare l’emergenza si basava sull’ospedalizzazione, mentre l’assistenza domiciliare è mancata”. In altre parole, il sistema ospedaliero è andato rapidamente in saturazione, con la necessità di liberare posti letto, anche perché sono stati assenti o insufficienti gli interventi sul territorio per garantire le cure e l’isolamento dei pazienti con tutte le precauzioni del caso.

In alcune rsa mancavano anche la mascherine chirurgiche – iStock

Altro problema è stato la mancanza di mascherine adeguate e di altri dpi. “Molte realtà in Italia, tra cui le rsa, si sono trovate impreparate e non sufficientemente equipaggiate per fronteggiare l’emergenza”, continua Palermo, sottolineando che “in generale, ci sono state difficoltà di sistema. La protezione degli operatori sanitari, una risorsa fondamentale per fronteggiare l’epidemia, non è stata garantita; i piani pandemici regionali e nazionali sono fermi al 2007, con qualche revisione nel 2010 rimasta lettera morta; non c’è stata un’allerta tempestiva, che poteva derivare dai casi strani di broncopolmonite registrati. Abbiamo poi perso un mese dalla dichiarazione dello stato di emergenza avvenuto il 31 gennaio”.

I decessi nelle case di riposo in Italia

Lo studio condotto da Adelina Comas-Herrera (CPEC, LSE) ed Joseba Zalakain (SIIS) fa notare che “i dati provengono da fonti diverse e quindi non sono comparabili”. Questo perché le statistiche ufficiali non sono disponibili in ogni stato e quindi in alcuni casi i ricercatori hanno dovuto raccogliere informazioni dalla stampa. Inoltre, “il metodo seguito per registrare i decessi associati al covid-19 nelle case di riposo (e la definizione stessa di casa di riposo) varia tra i paesi e tra le regioni di uno stesso paese”, sottolinea il team della London School of Economics.

Per quanto riguarda il caso della penisola, la fonte dello studio sono i dati ufficiali contenuti in un report dell’Istituto superiore di Sanità, che ha effettuato una survey nazionale sul contagio COVID-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie. Il sondaggio è stato inviato a 2166 case di riposo (su un totale di 4629) presenti sul territorio nazionale. Di queste, hanno risposto solo 577, che contano 44457 residenti: il 26 per cento di quelle invitate a prendere parte alla ricerca, circa il 10 per cento delle strutture italiane).

Come scrivono i ricercatori, “tra il 26 febbraio e il 6 aprile, ci sono state in generale 3859 decessi nelle case di riposo che hanno risposto, circa l’8,6 per cento degli ospiti. C’erano anche differenze regionali, dal 13,1 per cento della Lombardia al 7 per cento del Veneto. Si stima che il 37,3 per cento di tutte queste morti erano associate al covid-19 (il 3,2 per cento del numero totale dei residenti nelle strutture)”.

Gli studiosi hanno analizzato questi dati considerando il numero complessivo delle persone che vivono nelle case di riposo in Italia. E sono arrivati a stimare che 9509 decessi in queste strutture sono legate al covid-19, vale a dire “il 53 per cento del numero totale di morti pari a 18 mila registrate in Italia al 9 aprile 2020”.

FONTE: https://it.businessinsider.com/case-di-riposo-per-anziani-coronavirus-italia/?op=1


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