13 marzo 2020; da https://it.crimethinc.com/2020/03/13/contro-il-coronavirus-e-lopportunismo-dello-stato-anarchici-in-italia-rapporto-sulla-diffusione-del-virus-e-della-quarantena
Da un lato, le nostre vite sono minacciate da un nuovo virus; dall’altro lato, la nostra libertà è minacciata da nazionalisti e despoti che intendono sfruttare quest’opportunità per stabilire nuovi precedenti per l’intervento e il controllo statali. Se accettiamo questa dicotomia – tra vita e libertà – continueremo a pagare il prezzo per molto tempo dopo che questa singolare pandemia sarà passata. infatti, siamo tutti legati l’uno all’altro, dipendiamo dagli altri. Nel seguente resoconto, i nostri compagni in Italia descrivono cosa sta accadendo lì, le cause della crescente crisi e i modi in cui il Governo italiano ha approfittato della situazione per consolidare il potere in modi che non faranno altro che esacerbare le crisi future.
A questo punto, la strategia delle autorità non mira a proteggere le persone dal virus, ma a controllare il ritmo con cui si diffonde in modo da non annientare la loro infrastruttura. Come in molti altri aspetti della nostra vita, la gestione delle crisi è all’ordine del giorno. I nostri governanti non intendono preservare la vita di tutti coloro che sono colpiti dal virus: hanno già smesso di preoccuparsi per i poveri molto prima che questa crisi iniziasse. Sono, anzi, decisi a preservare l’attuale struttura della società e la loro legittimità percepita al suo interno.
In questo contesto, dobbiamo essere in grado di distinguere tra due diversi disastri: quello del virus stesso e quello provocato dai modi in cui l’ordine esistente risponde – e non risponde – alla pandemia. Sarà un grave errore gecidere di restare in balìa delle strutture di potere esistenti, confidando ciecamente nel fatto che esistano per salvarci. Al contrario, quando i nostri governanti parlano di “salute,” si riferiscono alla salute dell’economia più che a quella dei nostri corpi.
Cerchiamo di essere chiari: sebbene Trump e altri nazionalisti in tutto il mondo intendano sfruttare quest’opportunità per controllare ulteriormente i nostri movimenti, questa pandemia non è una conseguenza della globalizzazione. Le pandemie sono sempre state globali. La peste bubbonica si diffuse in tutto il mondo diverse centinaia di anni fa. Con l’introduzione di un divieto di viaggiare dall’Europa continuando a cercare di preservare la salute dell’economia degli Stati Uniti – anziché sfruttare le risorse per tutelare la salute della salute degli esseri umani all’interno dei confini degli Stati Uniti – Trump ci sta dando una lezione esplicita su quanto il capitalismo sia fondamentalmente pericoloso per la nostra salute.
I virus non rispettano i confini inventati dello stato. Questo accade già negli Stati Uniti, dove l’assistenza sanitaria è distribuita in modo molto meno ampio e uniforme di quanto non lo sia nella maggior parte dell’Europa. Per tutto questo tempo, mentre il virus si diffondeva, i lavoratori del settore dei servizi sono stati costretti a continuare a lavorare, correndo dei rischi, per pagare le bollette. Per eliminare le pressioni che costringono le persone a predenre decisioni così pericolose, dovremmo innanzitutto eliminare il sistema che crea tale drastica disuguaglianza. I poveri, i senzatetto e gli altri che vivono in condizioni antigieniche o senza accesso a un’assistenza sanitaria dignitosa sono sempre i più colpiti da qualunque – e l’impatto su di essi mette a rischio tutti gli altri, diffondendo il contagio sempre più velocemente. Nemmeno il più ricco tra i ricchi può isolarsi completamente da un virus come questo, come emerge chiaramente dalla sua circolazione nelle alte sfere del Partito Repubblicano. In breve: l’ordine prevalente non è nel miglior interesse di chiunque, nemmeno di quelli che ne beneficiano maggiormente.
Questo problema è quello che Michel Foucault chiama biopotere, in cui le stesse strutture che assicurano le nostre vite sono quelle che le vincolano. Quando questi sistemi smettono di sostenerci, ci troviamo intrappolati, dipendenti proprio da ciò che ci sta mettendo in pericolo. Su scala globale, i cambiamenti climatici prodotti industrialmente hanno già reso molto familiare questa situazione. Qualcuno ha anche ipotizzato che, riducendo l’inquinamento e gli incidenti sul lavoro, il rallentamento industriale che il virus ha provocato in Cina sta sia salvando sia prendendo delle vite.
La risposta dei liberali e della sinistra è una critica ai fallimenti del governo di Trump, e una richiesta d’interventi più efficaci del governo e controllo centralizzato – che Trump, o i suoi successori, eserciteranno sicuramente a proprio vantaggio, non solo in risposta alle pandemie, ma anche in risposta a tutto ciò che viene percepito come una minaccia.
Fondamentalmente, il problema è che la mancanza di un discorso sulla salute che non si basi sul controllo centralizzato. Lungo tutto lo spettro politico, qualunque metaforia si abbia per la sicurezza e la salute si basa sull’esclusione della differenza (per esempio confini, segregazione, isolamento, protezione) anziché sul desiderio di sviluppare un rapporto positivo con la differenza (per esempio, estendere a tutti le risorse sanitarie, anche a coloro al di fuori dei confini degli Stati Uniti).
Abbiamo bisogno di un modo di concepire il benessere in cui salute fisica, legami sociali, dignità umana e liberta siano visti come interconnessi. Abbiamo bisogno di un modo per rispondere alla crisi che si basi sul mutuo aiuto – che non garantisca ancora più potere e legittimità ai tiranni.
Anziché fidarci ciecamente dello Stato, dobbiamo concentrarci su ciò che possiamo fare con il nostro operato, traendo ispirazione dei precedenti pregressi per farci guidare. Non lasciamo che qualcuno accusi l’organizzazione anarchica di non essere abbastanza “disciplinata” o “coordinata” da non poter affrontare un problema come questo. Più e più volte abbiamo visto le strutture capitalistiche e statali sono nella loro forma più “disciplinata” e “coordinata” proprio nei modi in cui ci impongono crisi inutili – povertà, cambiamenti climatici, complesso carcerario industriale. L’anarchismo, come lo vediamo, non è un progetto ipotetico per un mondo alternativo, ma l’immediata necessità di agire al di fuori e contro i dettami del profitto e dell’autorità al fine di contrastare le loro conseguenze. Mentre i modelli attuali messi in atto dai diversi Stati per “affrontare la pandemia” si basano su controllo verticale che, tuttavia, non è in grado di proteggere chi è più vulnerabile, un approccio anarchico si concentrerebbe soprattutto sullo spostamento delle risorse come, per esempio, le cure mediche per chiunque ne abbia bisogno, fornendo agli individui e alle comunità le risorse per limitare il rischio a cui decidono di esporsi sena incorrere in conseguenze negative terrificanti.
Esistono dei precedenti per questo. Ricordiamo che Malatesta tornò a Napoli nel 1884, pur avendo trascorso tre anni in carcere, per prestare soccorso nella sua città natale colpita dal colera. Di sicuro, i nostri antenati hanno teorizzato su questo e intrapreso azioni dalle quali potremmo imparare anche dalla situazione attuale. Solo pochi anni fa, alcuni anarchici si sono posti la sfida di analizzare come rispondere allo scoppio dell’ebola da una prospettiva anarchica. Ti invitiamo a pensare, scrivere e parlare di come sviluppare un discorso sulla salute che lo distingua dal controllo statale – e a pensare a quale tipo di azioni potremmo intraprendere intraprendere insieme per aiutarci a vicenda a sopravvivere a questa situazione preservando la nostra autonomia.
Nel frattempo, presentiamo il seguente resoconto dei nostri compagni nel nord Italia, che hanno vissuto questa crisi da alcune settimane prima di noi.
Diario della pandemia, Milano: L’amore ai tempi del corona
1918-1920: già squassato dalla Prima guerra mondiale, il mondo si trovò ad affrontare un nemico molto più subdolo: l’influenza Spagnola, una pandemia che infettò 500 milioni di persone, provocando il decesso di approssivativamente 50 milioni di individui – il doppio dei caduti in guerra.
2020: sta diffondendosi una nuova pandemia, il COVID-19 che, al momento in cui scriviamo, conta, secondo i dati dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), conta oltre 125.000 casi confermati nel mondo, e oltre 4600 decessi. In Italia, ci sono 12.000 persone infette e almeno 827 morti.
Qui ci concentreremo sull’Italia ponendoci un paio d’interrogativi legati su come affrontare il COVID-19. Il primo passo è scegliere di non adeguarsi alla narrazione mediatica istituzionale e, soprattutto, il non piegarsi a ricette e imposizioni che si fanno via via sempre più pesanti.
Partiamo dalla visione più evidente: quest’epidemia mette in luce la necessità di solidarietà e cooperazione internazionale, per unire gli sforzi, fronteggiare le difficoltà e raggiungere comuni obiettivi. Ma ciò non è possibile nell’attuale sistema dove ogni Paese trae vantaggio dalle tragedie altrui e ogni crisi offre subito “il fianco” alle speculazioni.
Da qualsiasi angolazione la si guardi, sui problemi di oggi la conclusione è sempre la stessa: capitalismo e imperialismo evidenziano con forza la necessità di un rovesciamento totale dello stato presente delle cose.
Facciamo ora un passo indietro e focalizziamo l’attenzione sulla Lombardia, tornando al 16 febbraio, giorno in cui è uscita la prima Ordinanza per provare ad arginare la diffusione del virus.
Lombardia, 16 febbraio
Questo giorno, il Governo italiano ha firmato la prima Ordinanza per provare ad arginare la diffusione del virus.
Milano, ore 19:00: l’ipotesi della chiusura delle scuole e di buona parte delle attività di aggregazione si diffonde velocemente, come il panico che, con una velocità disarmante, prende piede tra le persone dando vita a scene pseudoapocalittiche. I supermercati presi d’assalto come se ci si trovasse sull’orlo di una guerra, gente andata a comprare confezioni su confezioni di mascherine e disinfettanti vari per prevenire e contrastare il pericolosissimo virus (come se delle semplici mascherine di carta potessero far sì che questo non si diffonda), urla, pianti e isterismo di massa.
A seguito delle voci sulle restrizioni, Milano, la grande Milano, la città che non si ferma mai, si è trovata paralizzata dalla paura. Ma sono bastate poche ore perché tornasse a essere viva. infatti, la mattina successiva, ciò che serpeggiava nell’aria non era la paura del virus bensì la paura di non poter vivere la “Milano da bere.” Locali chiusi dalle 18:00 alle 6:00 – ebbene sì, i virus timbrano il cartellino come i proletari fanno con il turno di notte. I ristoranti, invece, sono rimasti aperti – apparentemente, se bevi ti ammali, se mangi, invece, il virus ti rispetta. E intanto, chiusura delle scuole di ogni ordine e divieto di aggregazione.
Fine febbraio
Passa una settimana e Milano, provinciale New York in miniatura, non si ferma. Il virus, invece, avanza, scatenando ulteriore panico. Nuovi contagi, nuovi morti – anche se tutti anziani e con problemi cardiorespiratori pregressi. Ancora tutto bloccato – scuole, centri di aggregazione, cinema, teatri, baci e abbracci – ma non bar, ristoranti, centri commerciali e mezzi pubblici. E intanto, Beppe Sala, il sindaco della città, cerca di dare forza ai poveri milanesi afflitti da questo terrificante virus che attacca solo di notte e solo se si ci vede per bere qualcosa insieme. Ricorrendo ai suoi tanto amati social network, posta un video con l’hashtag #MilanoNonSiFerma (Milano Doesn’t Stop).
Tecnicamente ineccepibile – inquadrature a volo d’uccello, colori sgargianti, musica accattivante – ma falso come una moneta da tre euro. anche perché, come dubitarne, è stato promosso dall’Unione dei Brand della Ristorazione Italiana. Milano non si ferma. Ma in questo video, non si vede davvero Milano, la vera Milano – la Milano che io amo non perché centro della movida ma perché percorsa da brividi rivoluzionari, nonostante abbiano cercato di metterla in ginocchio con fascismo e xenofobia, nonostante negli ultimi vent’anni si sia politicamente addormentata. Quello di Sala è un video che sembra uscire direttamente dagli anni Ottanta quando, in televisione, passava lo spot di un amaro molto in voga in quel periodo, l’Amaro Ramazzoti, l’amaro della “Milano da bere.”
La vera Milano, non è quella che appare in quelle immagini. La vera Milano è quella rappresentata in modo crudo ma onesto dal collettivo Zam, in un video che scimmiotta quello di un sindaco che – a distanza di pochi giorni – si rimangia tutto quello che aveva dichiarato sui media ricorrendo a una narrazione mendace in cui la retorica di classe xenofoba che ci viene propinata costantemente e continuamente fa vivere questa città sulle spalle di precari e diseredati che, ogni giorno, si trovano a dover combattere contro razzismo, patriarcato, gentrificazione, degrado delle periferie e capitalismo.
La vera emergenza non è il virus. La vera emergenza, il paziente zero di questa città “cosmopolita,” è la precarietà economica che getta nella disperazione quei lavoratori che si trovano a dover combattere contro il caro vita e lo sfruttamento che, in queste ultime settimane, si è manifestato sotto la nuova forma dello smart working, mai utilizzato prima in Italia e che, di sicuro, diventerà il trend dei prossimi anni per ridurre ulteriormente in schiavitù attraverso subappalti ed esternalizzazioni. Molti datori nelle zone rosse del nord Italia stanno costringendo i propri dipendenti a ricorrere a malattia e ferie forzate senza tenere in conto che tutto questo metterà ancor più in ginocchio l’economia di uno Stato con già equilibrio instabile e, soprattutto, tutti quei precari e quelle precarie che ogni giorno si trovano a dover lottare per portare a casa la pagnotta, facendo due o tre lavori sottopagati, con orari improbi e senza nessuna tutela per la sicurezza. giusto per dare qualche numero, dal 1° gennaio al 6 febbraio di quest’anno i morti sul lavoro sono stati 46.
Analizzando i due video, quello che si nota è che, non a caso, i media si prestano alle pressioni politiche per aumentare sempre più le responsabilità ad ambiti individuali, a partire dal lavoro fino allo spostamento di persone e merci.
Molto sommariamente potremmo dire che le fasi sono tre, così sintetizzabili. la prima, ormai impossibile da portare avanti, consiste nel nascondere il problema. La seconda fase è quella del cosidetto “terrorismo mediatico” che, in parte, è ancora chiaramente attuale, ondivaga e oscillante tra psicosi di massa e calma apparente. Nella terza fase, quella attuale, cambiamenti drammatici sono imposti sulla società con una combinazione di panico e consenso sociale. Nel frattempo, vengono portati avanti decreti leggi che avranno ricadute pesanti sul nostro futuro, negandoci il diritto di manifestare, scioperare e di aggregarcialle nostre condizioni.
E cosa succederà ora che il nuovo decreto firmato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale**? Nuove restrizioni e provvedimenti più ampi per contenere la diffusione del virus in Lombardia saranno validi fino al 3 aprile. Avremo bisogno di permessi speciali per entrare e uscire dalla regione; divieto di mobilità per chi è stato in quarantena; scuole di ogni ordine e grado chiuse – d’altronde si sa, studiare è un optional e perché non cogliere la palla al balzo per mettere in ulteriore difficoltà studenti e genitori già stremati da anni e anni di tagli? Bar e ristoranti aperti dalle 00:06 alle 18:00 a patto che i gestori possano far rispettare la distanza di sicurezza; chiusura di palestre, piscine, spa ma deroga per gli eventi sportivi a porte chiuse (siamo in Italia, senza calcio non si vive); chiusura di ogni tipo di centro di aggregazione; niente matrimoni o funerali; chiuse le medie e grandi strutture di vendita, ma solo nei giorni festivi e prefestivi.
Insomma, la paura dell’epidemia sta scatenando il panico e in nome di una presunta sicurezza queste nuove misure limitano pericolosamente la libertà giustificando lo stato d’eccezione senza tener conto delle ripercussioni che questo avrà sui piccoli commercianti e sulle imprese a conduzione famigliare. Ma il vero pericolo, quello che dovrebbe preoccupare davvero, non dovrebbe essere quella di un ipotetico contagio, bensì quella legata all’ignoranza di un Parlamento che ha fatto trapelare la bozza di un Decreto che, come sottolinea il virologo Roberto Burioni, “manda nel panico la gente.” Nel pratico, queste misure così drastiche sono quindi divieti lavorativi e l’imposizione del lavoro a casa per una grossa fetta di lavoratori, divieti in alcune zone di muoversi liberamente, continui “inviti” a non uscire, divieto di “assembramenti” (all’interno o all’esterno). Ogni diritto è sempre più negato. Il tutto con il risultato evidente di psicosi e isolamento di milioni di persone.
Ed ecco, a questo punto, comparire all’orizzonte due dei problemi “sociali” più grossi. Il primo, quello di cui noi italiani siamo sovrani incontrastati, è l’”espertite” di molti, ovvero il risultato del fenomeno della saturazione di informazioni, che fa sentire un po’ tutti “grandi esperti,” spesso ignorando questioni come, per esempio, la velocità di diffusione del virus Ciò è chiaramente il risultato a cui punta la macchina “mediatica” e del potere. Il secondo è legato allo “scorrazzare” in tv, radio, giornali e, soprattutto, Web di molti specialisti – come medici, virologi, biologi. Presentati, in buona o cattiva fede, come dispensatori di risoluzioni in quanto esperti “neutri” – come se la scienza fosse sempre un campo neutro e gli esperti vari ( medici compresi, in questo caso) che la analizzano siano privi di una lettura Ma anche questa è politica! Non vedere questo aspetto porta a conclusioni errate anche con le migliori analisi che si possono fare.
Cosa fa l’italiano medio per ribellarsi a tutto ciò, a questo controllo e a queste limitazioni della propria libertà? Non si rende conto di essere già vittima da anni di restrizioni imposte dal controllo – da parte dei media, di telecamere di sorveglianza e via simili – e nemmeno di essere anche vittima di una continua corsa per cercare di stare al passo con i più abbienti anche a costo di aprire un finanziamento e fare la fame per acquistare un iPhone e imbarcarsi in mesi di tassi da strozzino pur di essere “all’altezza,” sbavando dietro a influencer che non si sbilanciano mai quando si tratta di difendere i “reietti” ma sempre pronti a postare selfie mentre indossano l’ultimo modello di un paio di scarpe. Si attiva in modo pulcinellesco, allarmandosi perché non può tornare a casa, al Sud; she assalta treni e autobus; se ne infischia se questo suo atteggiamento irresponsabile potrebbe contribuire a diffondere ancor più velocemente il virus e costringere così Puglia, Calabria, Sicilia – tutte regioni ritenute “al sicuro” fino all’8 marzo – a mettere in quarantena chi viene dal Nord. Questa notte [9 marzo], centinaia di persone hanno preso d’assalto le stazioni per cercare di evadere dalla zona rossa, costringendo la polizia ferroviaria (POLFER) a intervenire per mantenere la calma. Incapace di spiegarsi come sia potuto accadere, Conte commenta: “La pubblicazione di una bozza non definitiva ha creato incertezza, insicurezza, confusione, non lo possiamo accettare.”
https://twitter.com/RobertoBurioni/status/1236424449576112131
e allora perché non conferire alla Polizia un potere straordinario, dandole l’opportunità di controllare e chiedere ai cittadini il motivo dello spostamento, mentre bar e ristoranti restano ancora aparti? Azione-reazione; in questo caso, tutto ciò esacerberà rabbia repressa e razzismo già fin troppo evidenti. E chissà che, prima o poi, non ci capiti di leggere che qualcuno si è messo a sparare per strada per uccidere tutti i cinesi o i marocchini o i rumeni o chiunque ci infastidisca per vendicare la morte per COVID-19 della cugina, della vicina di casa o di chissà chi altro. Per il momento sono già stati aggrediti alcuni membri delle comunità orientali che vivono in Italia.
https://twitter.com/GuidoCrosetto/status/1236437207944134657?s=09
L’italiota non pensa agli altri, pensa solo a stare bene, perché quel che conta è il perseguimento della propria soddisfazione, poco importa se tutto intorno a lui cade a pezzi? La mela non cade lontana dall’albero; un ottimo esempio del menefreghisto completo e assoluto dell’italiano medio è incarnato da Matteo Salvini, ex Ministro degli Interni, politico populista di destra contro i migranti e alla guida della Lega, definito “coglionevirus” dal giornalista Marco Travaglio. Sembra ieri, eppure è trascorso quasi un mese da quando latrava, come al suo solito, contro il Governo che faceva sbarcare i richiedenti asilo, chiedendosi se il governo non avesse sottovalutato il coronavirus “afacendo sbarcare i migrati.” poco importa se vuole chiudere i confini italiani ma sfrutta quelli aperti del Regno Unito e, poco prima del Decreto, è riuscito ad andare a Londra, sfidando ogni logica del buon senso, per portare in giro per l’Europa le sue idee sovraniste e razziste – l’infezione che precede il coronavirus e che ne getta le basi.
A questo punto è naturale porsi degli interrogativi ai quali è difficile trovare delle risposte. Il primo è quale possa essere lo sbocco reale e come fare a reagire a ciò che sta accadendo, tenendo in considerazione tutte le difficoltà oggettive dettate dai divieti (per esempio, chi non rispetta gli ordini sono previsti 3 mesi di reclusione e l’ammenda di 206 euro), il continuo “bombardamento mediatico,” la costante sensazione di incertezza.
Da un lato, emerge l’iperresponsabilizzazione degli individui, specie se affetti da coronavirus; dall’altro, l’utilizzo dell’emergenzialità, da parte dello Stato, per dettare la regola. Non parlano dei tagli agli ospedali pubblici (45.000 negli ultimi 10 anni), delle condizioni dei lavoratori in prima fila (specie medici, infermieri, ecc.), delle ricadute negative sul settore sanitario – visite già programmate come, per esempio, di dializzati, diabetici e altri con patologie serie che necessitano di cure di routine importanti, e che hanno già visto i loro minimi diritti negati per il dirottamento degli sforzi economici su questa “emergenza.” Con ipocrisia, la classe politica italiana – la stessa che ha operato attacchi al servizio sanitario pubblico e ai suoi addetti – si prodiga molto a lodare il servizio pubblico sanitario, non citando mai quello privato perché ha fine di profitto per eccellenza.
E ora cosa ci si prospetta nel futuro? Quali saranno le ricadute storiche più lampanti sulle cosiddette “emergenze?” Negli ultimi anni, in maniera molto evidente, in questo Paese sono state permesse una serie di norme e atteggiamenti repressivi che sono rimasti la regola anche una volta calata l’”emergenza,” qualunque essa fosse.
In Italia, la creazione e la strumentalizzazione dell’emergenza ha sempre creato guai seri. Con il pretesto della guerra alla mafia e al cosiddetto “terrorismo,” le autorità hanno varato “leggi speciali” come, per esempio, quella sulla pena massima che era di 30 anni (poiché, pur nell’ipocrisia formaleborghese, dovrebbe essere rieducativa e volta al reinserimento sociale); nel 1992, fu però introdotto l’ergastolo ostativo. Questo è forse l’esempio più lampante della tendenza autoritaria sempre più aggressiva della democrazia borghese. Volendo ampliare gli orizzonti della nostra analisi, dovremmo cercare di capire come, negli ultimi decenni, sia stato possibile criminalizzare e reprimere i poveri, le lotte e chiunque si opponga in vari modi per contrastare lo status quo. Tutto ciò ha portato a pene severe, salvo eccezioni laddove si riescano a respingere gli attacchi dello Stato.
Per esempio, i terremoti hanno fatto sì che venissero varate leggi territoriali antisocialità con il pretesto dell’antisciacallaggio. Il terremoto dell’Aquila ne è stato uno degli esempi più chiari – anche se, in quel caso, si dovettero scontrare con un’organizzazione dal basso molto combattiva.
Per non parlare delle “leggi speciali anti ultras” che, a partire dal 2006, hanno iniziato a toccare il settore più “impresentabile” per via del loro problema maggioritario (dal punto di vista degli “sceriffi”), ovvero l’organizzazione di masse giovanili provenienti dal basso e spesso inclini agli scontri con la polizia e a infrangere i divieti da questa imposti. Le leggi s’indirizzavano apparentemente contro la “categoria ultras pericolosa” delle tifoserie organizzate delle squadre di calcio, ma negli anni, anche se a fatica, si sono estese contro scioperi, mobilitazioni e picchetti. La ricaduta c’è stata nelle lotte politiche ricattate da multe e il famoso “daspo,” ovvero l’allontanamento da certi contesti e territori, anche comminato in forma “preventiva” a certi soggetti “non graditi” senza passare nemmeno per i Tribunali, attraverso la totale arbitrarietà sbirresca. La parola d’ordine di molte tifoserie organizzate era riassumibile in una contestazione al cosiddetto calcio moderno (ovvero la privazione della socialità ai fini del profitto) e della mobilitazione organizzata che riconosceva il pericolo che le “leggi speciali anti-ultras” avrebbero esteso a tutti i corpi sociali organizzati. Lo slogan contro la repressione “s leggi speciali: oggi per gli ultras domani in tutta la città!” è molto efficace. Prima colpiscono noi, ma poi estenderanno il controllo su tutti.
Questo ci riporta al Decreto che sembra essere passato quasi in sordina, il sopracitato “decreto Conte” che ha attuato in tutta fretta una legge che riduce i diritti dei lavoratori-dipendenti sullo “smart working” aumentando i rapporti di forza padronali. La gravità è che, anche negli aspetti visibilmente non legati a questa formale emergenza coronavirus, si mette mano alle condizioni e diritti di milioni di persone a “colpi di decreti legge.”
E intanto, mentre l’Italia non si dimostra all’altezza di gestire la situazione, le carceri, sovraffollate, “esplodono,” le rivolte scoppiano e i morti aumentano. Perché è vero, il coronavirus uccide soprattutto chi non si può difendere e non è tutelato dallo Stato.
Tuttavia, nonostante le minacce e I rischi. Il primo giorno di isolamento, alcune decine di manifestanti si sono riversate nelle strade vuote di Roma, fuori dal Ministero della Giustizia per sostenere le richieste dei prigionieri lungo una nazione in rivolta.
11 marzo
Nuove misure ancora più severe sono state proclamate contro chi falsifica l’autocertificazione per uscire: si può essere arrestati in flagranza di reato e avere fino a sei anni di carcere. Inoltre, chi viola la quarantena, potrebbe incorrere nell’accusa di “delitti colposi contro la salute pubblica,” mentre chi non si mette in quarantena pur avendo sintomi associati al Covid-19, come febbre o tosse, e dovesse causare la morte di persone anziane o soggetti a rischio, potrebbe rischiare di essere imputato per “omicidio doloso” pena la reclusione non inferiore a 21 anni. Lo stesso dicasi per chi ha avuto contatti con persone positive al Coronavirus e continua ad avere rapporti sociali o a lavorare senza prendere precauzioni o avvisare.
12 marzo
Tutte le attività commerciali eccetto supermercati, farmacie, edicole e tabaccai si fermeranno per due settimane. Siamo bloccati e in quarantena dal mondo. E ora, chiamatemi pure catastrofista, ma l’unica cosa che mi viene in mente è il fato toccato in sorte al Principe Prospero rifugiatosi in uno dei suoi castelli fortificati:
“Allora fu riconosciuta la presenza della Morte rossa. E tutti i convitati caddero uno ad uno nelle sale dell’orgia bagnate da una rugiada sanguinosa ed ognuno morì nella disperata positura in cui era caduto soccombendo. E la vita dell’orologio d’ebano si spense con quella dell’ultimo di quei personaggi festanti. Le fiamme dei treppiedi spirarono. E le tenebre, la rovina e la Morte rossa distesero su tutte le cose il loro dominio sconfinato”*
La *maschera della Morte Rossa*, Edgar Allan Poe).
Ma noi ci salveremo, nonostante la quarantena impostaci.
13 marzo
L’Italia intera, sempre più in ginocchio, sembra finalmente essere percorsa da moti di ribellione. E qui non si parla del flashmob sonoro organizzato per oggi alle 18:00: uscire sul balcone e cantare, suonare, per far sapere al mondo che ce la faremo e che tutto andrà bene. L’argomento del giorno è un altro. Di sciopero irresponsabile parlano i padroni, di misure di sicurezza inesistenti sui posti di lavoro parlano i dipendenti. “Non siamo sacrificabili,” “Non siamo carne da macello,” sono questi gli slogan che escono dalle fabbriche dell’Italia intera. Da Nord a Sud, sindacati e lavoratori stanno alzando la voce e creano agitazione con scioperi spontanei per garantire livelli di sicurezza dal punto di vista sanitario. Almeno quello…
Ulteriori letture
One Way or Another, One Day We’ll All Wear Masks
Contra el miedo y el control, la revuelta explota en las cárceles italianas
La minaccia del contagio, Massimo De Carolis