Vaccini, lavoratori e obblighi


Rilanciamo una intervista sul tema dell’obbligo di sottoporsi a vaccinazione antinfluenzale – con funzione “anticovid” – per gli operatori sanitari introdotto (illegittimamente) in alcune Regioni con ordinanze del presidente della Giunta.

Beatrice Bardelli intervista Marco Caldiroli, presidente di Medicina Democratica (*)

Lavoratori e obbligo vaccinale. E’ questo il grande tema che sta preoccupando in questi giorni tutti i lavoratori che operano nel sistema sanitario della regione Lazio che, dal 15 settembre, dovranno sottoporsi all’obbligatorietà del vaccino antinfluenzale voluto dal presidente Zingaretti con l’Ordinanza del 17 aprile scorso. L’Ordinanza n. Z00030 ha disposto, infatti, l’obbligatorietà del vaccino antinfluenzale per la stagione 2020-2021, da effettuarsi nel periodo 15 settembre 2020-31 gennaio 2021, a tutti i medici e il personale sanitario, sociosanitario di assistenza, e operatori di servizio di strutture di assistenza, anche se volontario, in servizio nel territorio regionale del Lazio oltre che a tutti gli ultrasessantacinquenni residenti all’interno della regione. Nell’ordinanza si precisa, inoltre, che la mancata vaccinazione, “non giustificabile da ragioni di tipo medico”, comporterà per il personale sanitario, l’inidoneità temporanea allo svolgimento della mansione lavorativa.

Riflessioni. Nella mia ventennale battaglia a difesa del diritto alla salute di tutti i cittadini ho imparato che non dobbiamo mai accettare una regola imposta senza scandagliare a fondo il “dietro le quinte”. Per cui mi sono chiesta. E’ proprio sicuro che questa Ordinanza abbia i titoli di legge per essere applicata? E’ corretto il riferimento dell’Ordinanza al Testo sulla Sicurezza sul Lavoro? Ma, soprattutto, se un lavoratore vuole opporsi a tale obbligo vaccinale, può farlo? E cosa deve fare per tutelarsi? A queste domande ho chiesto di rispondere ad un esperto del settore, il dottor Marco Caldiroli, presidente di Medicina Democratica.

Chi è Marco Caldiroli. Marco Caldiroli è presidente di Medicina Democratica dal 2018. Caldiroli lavora come tecnico della prevenzione presso la ATS (Agenzia Tutela della Salute) di Milano. Dai primi anni ’80 si è impegnato nel sostegno a realtà autorganizzate nelle lotte relative a impianti ad elevato impatto ambientale e sanitario (centrali termoelettriche, inceneritori, produzioni nocive). Ha svolto consulenze per numerosi enti locali nell’ambito di procedure autorizzative e di valutazione di impatto ambientale sempre al fine di contrastare opere nocive.

In Italia esistono leggi che prevedono l’obbligatorietà vaccinale per i lavoratori in generale e per medici e personale sanitario in particolare?
«Sì, esistono. Si tratta di norme statali che specificano tipologia di vaccinazione e mansioni dei lavoratori. Il caso più esteso è quello del tetano (L. 292/1963) per muratori, agricoltori, smaltimento rifiuti, conciatori e altre categorie definite. Nel caso del personale sanitario le norme (Dpr 465/2001 e DM 22.12.1988) prevedono l’obbligo di vaccinazione antitubercolare in rari casi e l’offerta (non obbligo) per l’epatite B (ma anche per morbillo e rosolia). La disponibilità gratuita della vaccinazione per l’epatite B è prevista anche per mansioni quali lo smaltimento rifiuti, per i vigili del fuoco e gli appartenenti ai corpi di polizia, ma non è comunque un obbligo. Per i militari in servizio permanente sono obbligatorie le vaccinazioni per polio, meningite, epatite A e B, rosolia, parotite, tetano e antimeningococcica. La vaccinazione antitifica era obbligatoria per alcune attività (addetti laboratori e smaltimento liquami), ma dal 2000 è nella facoltà delle Regioni introdurla, comunque non in modo generalizzato».

L’Ordinanza della Regione Lazio fa riferimento a tre articoli (n. 41, 279, 271 e ss.) del d.lgs 81/2008 noto come Testo sulla sicurezza sul lavoro. E’ corretto tale riferimento?
«I riferimenti sono corretti ma l’ordinanza ne fa un uso improprio. L’art. 41 è la norma che regola la sorveglianza sanitaria nei confronti dei lavoratori, attività svolta dal medico competente all’esito della valutazione dei rischi per la singola attività e mansione. In tale ambito può essere prevista la vaccinazione nel caso di mansioni che ne comportano l’obbligo o può essere proposta negli altri casi ma si tratta di una valutazione “personalizzata” per azienda. L’art. 271 riguarda la valutazione del rischio biologico e l’art. 279 la sorveglianza specifica nelle aziende ove è stata riconosciuta la presenza di tale rischio. A tale proposito si rileva una palese incongruenza: i provvedimenti governativi non hanno obbligato le aziende a rivedere i propri documenti di valutazione del rischio includendo la valutazione dell’agente biologico coronavirus qualora l’esposizione dei lavoratori è esogena (ovvero non correlata direttamente o indirettamente alla attività come nel caso delle attività sanitarie e sociosanitarie). Nelle attività sanitarie e sociosanitarie ci si aspetta che, tra gli agenti biologici, sia stata valutata anche quella per esposizione a virus influenzali. Pertanto ogni struttura ha previsto o meno una sorveglianza sanitaria dedicata ed eventualmente la proposta di vaccino per gli operatori considerati maggiormente esposti. L’ordinanza “forza” tale situazione per dettare ai medici competenti e i datori di lavoro in modo generalizzato un esito della valutazione verso una vaccinazione antinfluenzale obbligatoria che non esiste nell’ordinamento nazionale».

Il d.lgs può essere applicato anche agli operatori “volontari”?
«Il dlgs 81/2008 (“testo unico” sulla sicurezza dei lavoratori) si applica a tutte le attività ove vi siano “lavoratori subordinati” o “equiparati” (soci, atipici ecc) con una serie di eccezioni esplicite (es. esercito, forze di polizia, vigili del fuoco ecc). L’art. 3, prevede che alle cooperative sociali e ai volontari (inclusi quelli della Croce Rossa) le norme di sicurezza si applicano tenendo conto delle caratteristiche peculiari di tali attività sulla base di uno specifico provvedimento ministeriale (emesso il 13.11.2011). Per quanto concerne la sorveglianza sanitaria la stessa risulta obbligatoria per i volontari della Croce Rossa come pure di altre associazioni per quegli operatori che, all’esito della valutazione dei rischi e secondo il medico competente, svolgono mansioni che li sottopongono a rischi lavorativi oggetto di sorveglianza. Quindi la risposta è “dipende dalla attività” del singolo operatore: sicuramente la sorveglianza sanitaria è obbligatoria nel caso di volontari abitualmente a contatto con ammalati, comunque anche in questo caso si tratta dell’esito di una valutazione per singola attività e non può essere generalizzata con un “imperio” ancorché da parte della (singola) Regione».

Una Regione può interdire l’accesso al lavoro di un lavoratore, di un medico se questi si rifiuta di vaccinarsi?
«A mio avviso no, in quanto il riferimento utilizzato (l’art. 41 del dlgs 81/2008) viene “sforzato” senza che venga modificata la norma. In sintesi: all’esito della sorveglianza sanitaria il medico competente è tenuto a indicare al datore di lavoro e al lavoratore se quest’ultimo è idoneo fisicamente alla mansione. Si tratta di una valutazione personalizzata che deve tenere conto di tutte le variabili. L’ordinanza inserisce un “automatismo” che “ordina” al medico competente di non considerare “idoneo” alla mansione (sanitaria) un lavoratore che non si sia sottoposto alla vaccinazione antinfluenzale. E’ vero che, tra le misure di prevenzione, su indicazione del medico competente il datore può allontanare momentaneamente il lavoratore (ovvero a spostarlo ad altra mansione) ma questo esclusivamente su indicazione personalizzata del medico competente e non per effetto di “ordini” esterni. Oltre alla illegittimità palese di tale automatismo (in quanto non vi è alcun “potere” della Regione che possa costringere i medici competenti a modificare il proprio autonomo modus operandi) vi è anche il contrasto con l’art. 279 sulla sorveglianza sanitaria per rischio da agenti biologici ove per proporre la vaccinazione occorre che vi sia una valutazione del rischio specifica per gli agenti biologici: in questo caso per il virus dell’influenza. In ogni caso, anche se vi fosse, il medico può proporre la vaccinazione ma non può renderla obbligatoria nei casi diversi nella quale è già obbligatoria per legge nazionale. Può solo cercare di convincere il lavoratore a sottoporsi alla vaccinazione proposta informandolo “sui vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione e della non vaccinazione”, a fronte di un rifiuto deve valutare, caso per caso, se e quale intervento proporre al datore di lavoro. Ovvero. Se un medico competente ritiene, all’esito della valutazione dei rischi da agenti biologici e da sue valutazioni anche sullo stato di salute dei singoli lavoratori esposti, di richiedere la vaccinazione per specifici agenti (l’elenco potenziale è lunghissimo, vedere l’allegato XLVI del dlgs 81/2008) può proporla al singolo lavoratore illustrando pro e contro e, in caso di rifiuto, deve valutare se segnalare la questione al datore di lavoro per sospendere il lavoratore dalla mansione o adibirlo ad altra mansione. In questo caso, in pratica, farebbe quello che prevede l’ordinanza, ovvero l’emissione di un certificato di non idoneità (o parziale non idoneità) alla mansione, atto che è soggetto al diritto di ricorso del lavoratore. In tal caso il medico competente dovrà rispondere e motivare le sue decisioni (vaccinazione e/o non idoneità) alla ASL che segue il ricorso. Il “giudizio di idoneità alla mansione” del lavoratore fa parte della cartella sanitaria e di rischio individuale che il medico competente deve aprire per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria (per i contenuti della cartella vedere l’allegato 3A del Dlgs 81/2008). L’obbligo è descritto nell’art. 41 commi 5 e 6».

Cosa può fare un lavoratore, un medico, che intenda “disobbedire” a tale Ordinanza? Come può essere tutelato?
«Un lavoratore può sempre contestare un giudizio di inidoneità al lavoro presentando un ricorso contro il giudizio stesso (entro 30 giorni dal rilascio del certificato) al servizio di sicurezza sul lavoro della ASL competente (art. 41 comma 9). Se invece viene obbligato a vaccinarsi può sempre presentare una causa di lavoro o una denuncia contro il proprio datore di lavoro e il medico competente ai sensi dell’art. 5 dello Statuto dei diritti dei lavoratori per esser stato sottoposto ad accertamenti sanitari non dovuti. Questo vale anche nel caso in cui si sia stati obbligati a sottoporsi a test sierologici che, contrariamente ai tamponi, non sono regolati, non sono obbligatori né sono, allo stato, riconosciuti dai provvedimenti governativi quali accertamenti di “idoneità” al lavoro. Per il medico competente “obiettore” non sono previste sanzioni nell’ordinanza, pertanto l’unica possibilità dell’organo di vigilanza che rileva una violazione all’ordinanza sarebbe quella di “denunciarlo” per non aver osservato un provvedimento “legittimo” di una autorità (art. 650 codice penale). Si tratta del “reato” previsto inizialmente per la violazione delle limitazioni di movimento nella fase 1 della emergenza nazionale, “reato” presto sostituito nei primi decreti legge che si sono succeduti, da una ben più efficace e pesante sanzione pecuniaria. Infatti, il reato dell’art. 650 prevede – in pratica – una ammenda fino a 206 euro che arriva però a conclusione di un procedimento di giudizio. Una obiezione generalizzata e “punita” intaserebbe i Tribunali con alti costi per la Regione che si troverebbe ad andare a giudizio ripetutamente rischiando inoltre che la prima sentenza sfavorevole (più che probabile) faccia cadere il castello di carta così mal costruito».

(*) www.toscanatoday.it; ripreso da www.medicinademocratica.org


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