Dal 13 al 21 giugno si sono svolti presso il Casino del Bel Respiro di Villa Pamphili a Roma gli Stati Generali dell’Economia: una maratona che ha visto il governo impegnato in decine di incontri con personalità istituzionali, enti e associazioni padronali, sindacati, e figure importanti del mondo scientifico, artistico e culturale italiano con il fine di “far ripartire l’Italia” dopo la pandemia.
Nonostante la pur vasta selezione delle presenze, erano le assenze a spiccare nella kermesse, e non poteva essere altrimenti poiché agli invisibili, nonostante gli sforzi di qualche invitato “per forza” come i sindacati di base, in genere sono destinati le dichiarazioni di principio, per poi essere schiacciati contro il muro come insetti fastidiosi. Il potere, nelle sue varie sfaccettature, ha fatto sfoggio di sé forte del suo rinnovato ruolo di “salvatore” di un popolo impaurito e bisognoso di protezione, impoverito e prostrato a chiedere aiuto. Che ognuno stia al suo posto nella piramide delle gerarchie sociali, perché solo così “il paese può ripartire”. La ricetta finale con cui la società italiana verrà cucinata nei prossimi mesi è chiara: provvedimenti filo padronali in serie con qualche spruzzo di aroma ambientalista, tanto per renderla più digeribile.
Scelte studiate da tempo adesso, con l’alibi della protezione della salute di tutti, vengono presentate come assolutamente necessarie: la digitalizzazione del paese, il “green deal” italiano, con incentivi all’industria “4.0 plus” che punta sul digitale e l’intelligenza artificiale; la completa transizione elettronica della moneta “per combattere l’evasione”; infrastrutturazione a tutto spiano basata sulle grandi opere: Alta Velocità al Sud, strade e ponti, in cui fa capolino il Ponte sullo Stretto di Messina; la rigenerazione degli edifici per la “rinascita urbana”; incentivi alle imprese, e poi lo zuccherino: 1 milione di alberi da piantare per combattere il dissesto idrogeologico, investimenti in università, ricerca, scuola e formazione, voucher per dotare le imprese di 500 donne manager l’anno, eccetera.
La maggior parte di questi “indirizzi operativi” non avrà alcun effetto positivo sulla vita di milioni di persone, anzi servirà ad incrementare la perdita di posti di lavoro (digitate e intelligenza artificiale), a foraggiare imprese grandi e medie senza alcuna garanzia che parte di questi incentivi sia impiegata in aumento di posti di lavoro; a danneggiare l’ambiente e ingrassare le mafie; la rinascita urbana conseguenza degli sgravi e dagli incentivi ecologici non riguarderà la maggior parte di chi vive nelle periferie degradate e nelle aree emarginate, chi non ha una casa di proprietà, i poveri, i senza reddito, gli irregolari, i precari nel lavoro come nella vita: gli invisibili. A Villa Pamphili si sono svolti gli Stati Generali dell’Oppressione, che hanno gettato le basi per quel trionfo del capitalismo, rafforzato dallo shock pandemico (grazie Naomi Klein) che ha colpito la società, acuendo le sue divisioni, debolezze, difficoltà di fronte ad una classe padronale sempre più rampante e arrogante. E pronta a cavalcare l’onda delle proteste ambientaliste per dare un’impronta verde allo sfruttamento degli esseri umani e dell’ambiente. Decarbonizzare la produzione energetica e affidarsi ai carburanti verdi o all’elettrico, ad esempio, oltre a ribadire una mobilità di tipo individuale (e mai come ora si ciancia del pericolo di viaggiare su mezzi pubblici) vuol dire accentuare sfruttamento dell’ambiente (deforestazione), monocolture invasive (mais) e estrazioni di minerali pregiati per far funzionare le batterie, con, a farne le spese, gli schiavi dei paesi poveri colonizzati e la vita della Terra, mentre si apriranno nuove autostrade allo sviluppo di virus provocati dalla distruzione degli habitat naturali per milioni di specie animali.
L’intelligenza artificiale che riceve via libera per gestire le nostre città e le nostre vite non rappresenterà solo una nuova fonte di inquinamento e tossicità per gli esseri viventi, ma il consolidamento del controllo di massa delle persone (raccolta e utilizzo dati personali, riconoscimento facciale), una nuova schiavitù lavorativa sempre più invisibile (dalla produzione al trasporto all’assemblaggio alla consegna) e una gran fonte di arricchimento per chi gestirà i processi di digitalizzazione: i giganti privati della banda larga, del 5 G e delle reti tecnologiche che oggi si spartiscono il Mondo, da Google a Microsoft, da Amazon a Facebook ai loro omologhi cinesi. Una fobocrazia planetaria (grazie Donatella Di Cesare), il dominio della paura basato sulla scusa della protezione della salute di tutti.
Dalla scomparsa progressiva dei libretti al portatore bancari e postali, piccolo episodio che in queste settimane ha subito un’accelerazione, alla pianificazione di “smart city” in cui trasporti, istruzione, diagnosi e cure mediche, commercio e tante altre attività verranno gestite da sistemi tecnologici ad alto tasso di controllo gerarchico nelle mani di pochi oligarchi, il passo è breve. Ci diranno che così si assicura il distanziamento sociale, che le macchine non prendono il virus, che il controllo di massa esercitato sarà la risposta alle nostre paure. In realtà, per i potenti la pandemia è stata l’occasione d’oro, imprevedibile grazie alla quale i tanti paletti a tutela della privacy sono caduti scatenando l’euforia tecnologica. E noi ingenui, a pensare che la pandemia avrebbe offerto un’occasione agli sfruttati di tutto il Mondo per dare una sferzata alle oligarchie capitaliste, ai militarismi, alle élites privilegiate.
Come scrivevamo sullo scorso numero, la lotta di classe ha subito un’accelerazione, ma sono i padroni a condurla contro gli sfruttati.
Agli Stati Generali c’è stato anche chi ha sciorinato l’elenco delle cose che non vanno: le sperequazioni fra redditi, le ingiustizie sociali e le diseguaglianze di genere nel mondo del lavoro, lo stato pietoso della sanità, dei trasporti collettivi, dell’edilizia popolare, i 60.000 morti l’anno per inquinamento, i limiti della sanità privata e i guasti delle esternalizzazioni di tante attività, l’insicurezza sul lavoro e le carenze degli uffici ispettivi, la caduta del welfare, il sacco delle pensioni; chiedendo un cambio di passo su sfratti, riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, superamento del precariato, ripristino dell’art. 18, revisione delle politiche su appalti e subappalti, lotta al lavoro nero e regolarizzazione di badanti e braccianti, reddito universale di almeno 1000 euro per tutti, nuove regole sulla rappresentanza sindacale, fondi per i servizi sociali, messa in sicurezza del territorio, delle scuole, rifinanziamento di sanità pubblica, istruzione, università e ricerca accompagnato da assunzioni e stabilizzazioni, salvaguarda dei settori strategici subordinando i finanziamenti a politiche occupazionali, di rispetto ambientale e di rinuncia alle delocalizzazioni. I sepolcri imbiancati situati di fronte rispondevano con sorrisi di circostanza e contavano i minuti.
Al di là della quasi inutilità di una presenza a Villa Pamphili, giustificabile solo da un desiderio di legittimazione che in realtà finiva per legittimare il teatrino messo sù dal governo; e al di là di alcuni aspetti ingenuamente (?) socialdemocratici, tutti interni alle politiche del bastone e della carota, non possiamo non notare alcune gravi dimenticanze, come la critica alle ingenti spese militari, a scapito delle spese sociali; un taglio meridionalista, alla luce della sempre più acuta disparità fra Nord e Sud; un riferimento alle attività agricole quale sbocco occupazionale ma anche culturale.
E’ anche vero che un programma più perfetto in nulla avrebbe modificato gli scopi degli Stati Generali dell’Oppressione, e che se una possibilità esiste di contrastare le politiche stato-padronali, essa risiede nelle resistenze che gli stessi sindacati di base, nella loro vasta e contraddittoria galassia, sapranno costruire sia sulle singole questioni enunciate, che dentro una prospettiva generale. Diciamo sindacati di base, ma potremmo dire realtà autorganizzate, spontanee, antagoniste, incazzate, come diciamo movimenti territoriali, a partire dai NO TAV di oggi e di domani, visti i propositi di sfondamento al Sud enunciati a Roma, e tutti i movimenti non territoriali ma trasversali, nazionali e internazionali, antimilitaristi, antirazzisti, femministi nelle loro varie ricche espressioni, ambientalisti, soprattutto i meno ingenui.
A partire dallo sfruttamento quotidiano e dalla voragine apertasi con la pandemia, bisogna far partire lotte diffuse, radicali, insaziabili, incontrollabili, per ostacolare l’attuazione del programma di dominio del capitale. Senza dimenticare quello che i nostri “ragazzi in gabbia” hanno messo in evidenza nella pagina speciale dello scorso numero di Sicilia libertaria, e cioè: Ritrovare una solidarietà che vada oltre quel mondo in cui ci costringono a vivere, sostituire il noi all’io che “con l’irruenza romantica, selvaggia e sognatrice che ci hanno detto essere soltanto inutile utopia”; dare un peso all’affetto e alla socialità nelle relazioni, all’abbraccio che ci hanno proibito; lasciare al passato la solitudine perché “uniti, insieme, non si è più soli”.
Pippo Gurrieri
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FONTE: http://www.sicilialibertaria.it/2020/07/04/la-fobocrazia/