17 ottobre 2020
Coprifuoco. È una manifestazione esemplare del potere, l’occupazione poliziesca di uno spazio e di un tempo di libertà. La misura simbolicamente più odiosa e materialmente più inefficace che l’emergenza sanitaria abbia riesumato
Coprifuoco, parola pesante, impegnativa, per non dire terrificante. Dapprima si sarebbe potuto pensare alla drammatizzazione giornalistica di misure piuttosto “ordinarie”, come la chiusura anticipata di locali e bar o come la limitazione oraria nella vendita di alcolici, già sperimentata in occasione di problematiche partite di calcio. Titoli ad effetto, insomma. Ma no, non si trattava semplicemente di questo, ma di un coprifuoco vero e proprio con tanto di ronde, uomini e mezzi a presidio del territorio proibito: tutti a casa tra le 21 e le 6, salvo emergenze e poche deroghe. Multe salate per i trasgressori e perfino il carcere per i recidivi. Non si spara a vista per fortuna, ma è la sola differenza dalle notti dei colpi di stato, dalla repressione delle insorgenze popolari, dalle occupazioni straniere e dai tempi di guerra e di bombardamenti.
Questo è quanto ha però decretato il presidente francese Macron nelle principali e più popolose zone di Francia, da Parigi a Marsiglia a Lione. Per salvaguardare, dice, la disciplinata vita produttiva diurna, dalle fabbriche agli uffici, alle scuole. Ma la notte no! Nelle tenebre si raggiungono gli amanti e le amanti, si trasgredisce, si assapora il vuoto fascinoso delle città, si dissipano energie che non producono profitti. A locali chiusi non c’è solo il cane da portare a spasso. Cosa c’entra questa proibizione della notte con la diffusione dell’epidemia? Quale nesso logico è possibile stabilire tra una passeggiata notturna e il rischio di contagio? Il potere statale è stupido e vanesio, incapace di distinguere e articolare. Proibire è molto più facile di organizzare e di ragionare. Ed è ancora meno sopportabile quando queste proibizioni si accompagnano alla paternalistica e retorica “comprensione” per quanto sia difficile avere vent’anni di questi tempi e cioè costruire e vivere la propria autonomia.
Il coprifuoco è una manifestazione esemplare del potere, l’occupazione poliziesca di uno spazio e di un tempo di libertà. La misura simbolicamente più odiosa e materialmente più inefficace che l’emergenza sanitaria abbia riesumato. La sola logica che si potrebbe riconoscergli è quella di instaurare un clima di terrore tale da indurre i cittadini a ogni rinuncia possibile del proprio spazio di libertà e all’obbedienza in generale. Non ci vuol molto per capire che la scienza in tutto questo non c’entra niente. Non è con la sua alquanto rissosa “dittatura” che possiamo prendercela. Non vi è epidemiolgo alcuno che, nonostante le più svariate e a volte strampalate ricette proposte, abbia mai raccomandato il coprifuoco notturno come efficace strumento di prevenzione della diffusione del virus. Qui si tratta di politica e di gerarchia degli interessi, non di proiezioni scientifiche sull’evoluzione dell’epidemia. Non dimentichiamo che il presidente del coprifuoco è lo stesso che, in piena crescita dei contagi, impose la celebrazione del rito elettorale amministrativo. Andando incontro a pericoli ben maggiori di quelli connessi alla vita notturna. Ma, si sa, l’intera democrazia si incarna in una scheda.
Il modello che sta prendendo piede in buona parte d’Europa è purtroppo quello fondato su una contrapposizione tra le attività produttive disciplinate (da mantenere attive ad ogni costo e con qualunque rischio) e le inclinazioni relazionali autonome, l’esercizio di libertà individuali (spesso più prudenti e responsabili dei criteri adottati dai capitani d’industria nelle loro fabbriche) da reprimere e sanzionare. Nella completa ignoranza dei nessi che le legano. Le interdizioni selettive, certo meno gravose di un lockdown generale (che comunque pare tutt’altro che improbabile), grondano però ideologia, alimentano diseguaglianze e paradossi d’ogni genere (come ad esempio la chiusura totale di Arzano, in Campania, a un tiro di schioppo dal tutto aperto) rivelando così interpretazioni per nulla neutre dell’ordine di priorità delle necessità sociali. Spetta allora a una critica politica il compito di passarle al vaglio. Smontando in primo luogo la pretesa che l’ordine economico debba conservarsi identico attraverso qualunque tempesta che travolgerà invece inesorabilmente la vita di tutti i cittadini.