Pandemia di classismo, a Madrid il lockdown riguarda solo i poveri

23 settembre 2020

Madrid. L’amministrazione di destra, oltre ad aver sottovalutato il primo stato d’allerta della pandemia, ha deciso un confinamento solo per le periferie dove vivono soprattutto immigrati e altre persone appartenenti alle fasce sociali più svantaggiate

In questi giorni Madrid è la capitale europea dei contagi, le cifre inquietano, non accennano a diminuire, né a fermarsi. Dalla mezzanotte del 20 settembre e per i prossimi quattordici giorni 877mila persone – oltre un decimo dei 7 milioni e mezzo che abitano nell’area metropolitana – vivono un nuovo lockdown. È un confinamento arbitrario che colpisce solo la zona a sud della capitale, quella dove ci sono molte comunità di immigrati e dove risiedono le fasce della popolazione più povere. Sono tutti quartieri a basso reddito, quelli più colpiti dalla crisi sociale legata alla pandemia. L’idea balzana e classista è quella di contenere così i contagi che, in quelle periferie, hanno superato, nell’ultima settimana, i mille casi ogni centomila abitanti.

Rabbia, caos e confusione è stata la risposta dal primo giorno di quella che è stata definita dagli abitanti dei quartieri e dei comuni interessati una reclusione discriminatoria. Solo loro, infatti, sono sottoposti al rigido controllo della mobilità e possono uscire dalla zona dove vivono unicamente per andare a lavorare, per assistere a una convocazione in tribunale o per sbrigare formalità burocratiche e sanitarie. Al di fuori di questi casi possono spostarsi eclusivamente all’interno del quartiere, senza però entrare nei parchi, che sono stati chiusi, o incontrare più di sei persone. Da una parte i poliziotti in tenuta antisommossa a presidiare i varchi di entrata e uscita dei quartieri confinati e dall’altra gli striscioni che arredano le saracinesche dei locali chiusi: “Siamo quartieri non siamo ghetti”; “Confinati quando torniamo a casa dopo aver attraversato Madrid, in una metro affollata, per venire a pulire le tue strade, per accudire ai tuoi genitori vecchi e malati, per consegnarti il pranzo preparato dal ristorante o il pacchetto di Amazon dei tuoi acquisti online”; “Non siamo un virus, siamo un popolo”.

L’amministrazione regionale ha chiesto l’intervento dell’esercito e il consiglio comunale di Madrid ha fornito alla propria polizia le pistole taser che potranno essere utilizzate, contro chi infrange le regole, a partire da ottobre. Mentre nessuna misura è stata decisa nel campo della salute per contrastare davvero la diffusione dei contagi, per assumere altro personale sanitario nelle strutture pubbliche nuovamente in affanno.

È tutta la Spagna a fare i conti con una nuova e aggressiva diffusione del virus, chissà se è davvero quella seconda ondata che si teme, ma Madrid sembra una città fuori controllo. È il risultato della gestione di tutta la regione in mano alla destra con la presidente Ayuso e con Almeida, il sindaco della capitale, entrambi del Partito Popolare. La loro amministrazione ha sottovalutato le misure del primo stato d’allerta per la pandemia, ha lasciato che i negazionisti di Vox, fomentati da Miguel Bosé, manifestassero indisturbati nei quartieri bene della città, ha continuato a smembrare la sanità pubblica, soprattutto quella territoriale, ha preferito grandi strutture ospedaliere con personale sanitario insufficiente mentre finanziava le strutture private; scaricando la colpa dell’impennata di contagi a Madrid sullo “stile di vita dell’immigrazione”.

Di fronte alla situazione convulsa il presidente del governo Sánchez ha accettato di incontrare la presidente della regione di Madrid Ayuso, hanno parlato e trovato un accordo per un meccanismo di coordinamento, uno “spazio di cooperazione”, che però non vuol dire accettare le scelte del governo regionale delle destre da parte del governo progressista. «Il virus non capisce le ideologie», ha detto Sánchez per giustificare il dialogo con l’amministrazione di destra e facendo trapelare il desiderio di allargare il più possibile la maggioranza di appoggio al governo del Paese per far approvare senza intoppi, i prossimi mesi, la finanziaria.

Ma le misure adottate dalla presidente Ayuso restano legate alle “politiche classiste e razziste” con cui il governo della Comunità di Madrid sta affrontando questa seconda ondata della pandemia, come si legge in un manifesto scritto da chi risiede nelle zone bloccate dal lockdown. «Per i governi siamo la manodopera a basso costo di questa ‘città globale’, siamo il luogo dove si trova tutto ciò di cui la città ha bisogno, ma che non vuole vedere – impianti di trattamento delle acque reflue, inceneritori, industrie che hanno inquinato per decenni – poi siamo noi a essere confinati quando le cose non vanno bene». I quartieri delle 37 aree interessate si sentono isolati, stigmatizzati, ingiustamente accusati di irresponsabilità nei loro rapporti sociali e familiari, manifestano il loro rifiuto e chiedono un trattamento equo e non discriminatorio.

 

FONTE: https://left.it/2020/09/23/pandemia-di-classismo-a-madrid-il-lockdown-riguarda-solo-i-poveri/

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Rabbia e sconforto a Madrid: il lockdown selettivo è segregazione

23 settembre 2020

Nel territorio di Madrid l’aumento dei contagi ha portato alla messa in pratica di misure di lockdown differenziato per aree urbane e quartieri. A essere penalizzati sono, naturalmente, gli e le abitanti delle zone più povere che stanno subendo un controllo di stampo poliziesco

L’incredulità ha lasciato spazio alla rassegnazione. E questa alla rabbia. La chiusura delle frontiere delle 37 aree sanitarie della Comunità di Madrid è diventata realtà in meno di 72 ore. Il primo giorno di confinamento selettivo, il 21 settembre, «passerà alla storia dell’infamia per aver inaugurato la segregazione a Madrid», ha denunciato il centro sociale La Villana di Vallekas. Il dispiegamento poliziesco e mediatico nei punti nevralgici di entrata ai quartieri confinati contrastava con quello che stava succedendo nelle strade, nei vagoni affollati della metro e dei treni che portavano al lavoro le migliaia di persone che abitano questi territori, i più poveri della regione.

Mentre gli 850mila abitanti delle aree confinate si abituavano alla nuova condizione, il presidente del governo Pedro Sánchez dava il suo sostegno alla misura nel corso di una riunione con la presidenta della Comunidad de Madrid Isabel Díaz Ayuso che ha richiesto al governo centrale l’intervento dell’esercito per garantire che le restrizioni vengano rispettate, trovando l’accordo anche sulla creazione di un gruppo di lavoro permanente con la partecipazione dell’Unità Militare di Emergenza che si riunirà ogni settimana. Nella conferenza stampa successiva, la presidenta regionale ha definito l’incontro come un punto e a capo rispetto allo scontro con il governo centrale mentre reclamava più risorse per la lotta alla Covid-19, un’epidemia che, ha affermato subito dopo, «porta con sé problemi legati alla delinquenza, all’occupazione lavorativa e ai minori non accompagnati».

 

Non è la prima volta che rilascia dichiarazioni del genere. Già il 15 settembre aveva dato la colpa dell’aumento dei contagi nel sud di Madrid allo “stile di vita dei migranti”.

 

Tre giorni dopo, Díaz Ayuso ha annunciato la chiusura delle 37 aree sanitarie che coincidono con i quartieri aventi il reddito medio più basso dell’area metropolitana e i più colpiti dalla crisi sociale legata alla pandemia. Le associazioni di quartiere di Villaverde, Usera, Vallecas e Carabanchel hanno segnalato in un manifesto che questa misura apre a «politiche classiste e razziste» che il governo della Comunità di Madrid sta mettendo in campo durante questa seconda ondata della pandemia, «basate sulla discriminazione contro gli abitanti dell’area sud».

«Per i governi siamo la mano d’opera a buon mercato di questa “città globale”, siamo il posto dove si trova tutto quello di cui la città ha bisogno ma che vuole nascondere – inceneritori, depuratori, industria inquinante da decenni -, siamo quelli da confinare quando le cose non vanno bene», dicono i movimenti di quartiere. Fin dall’annuncio di Díaz Ayuso le mobilitazioni non si sono fermate. Venerdi stesso a Puerta del Sol, domenica scorsa a Vallecas, Carabanchel, Ciudad Lineal, Villaverde, Lavapiés, Usera, Arganzuela, Getafe, Parla o Fuenlabrada, migliaia di persone sono scese in piazza con cartelli e slogan che chiedevano le dimissioni di Ayuso.

I movimenti territoriali segnalano che si tratta di una misura basata sulla “segregazione” che si somma a decenni di insulti e oblio. «Quando avrete rispettato i numeri di studenti per ogni scuola, quando i nostri centri di salute funzioneranno, quando avrete contrattato sufficienti operatori di tracciamento per misurare i contagi, quando usare il trasporto pubblica non significherà più sovraffollamento, quando la pulizia delle nostre strade sarà equivalente a quelle dei quartieri ricchi, quando si faranno test in tutta la città… allora, solo allora, se niente sarà cambiato, ci isoleremo».

 

L’avvocata Pastori Filigran riassume così lo spirito della misura presa: «Gli abitanti del Sud di Madrid possono andare al nord a servire una birra nei bar ma non a berne una, a vendere vestiti ma non a comprarli, a fare le pulizie in un museo ma non a visitarlo, e ci saranno poliziotti armati a controllare che rispettino questa ordinanza».

 

Nella parrocchia di Entrevías, nel quartiere di Vallecas, uno striscione esprimeva in modo chiaro lo stato d’animo del quartiere: «Confinati ma non in silenzio, per un controllo socio sanitario, non poliziesco».

 

Paura, caos e smarrimento

Il primo giorno di confinamento selettivo è iniziato con una grande presenza di agenti di polizia nei luoghi nevralgici della città. A Puente de Vallecas, che connette il quartiere di Retiro con Vallecas o la Glorieta de Cádiz, passaggio obligatorio tra Usera e Arganzuela, si sono svegliati attorniati da una vasta presenza di poliziotti e di telecamere di diverse emittenti televisive. A. L., abitante di Vallecas, racconta che i poliziotti sostenevano di essere presenti «solamente per informare la popolazione», anche se hanno creato un vero e proprio check point in entrambi i sensi sul ponte di Vallecas, «un punto dove non sono mai presenti durante l’anno né sono presenti altrove per risolvere altre problematiche del quartiere».

A R. lavora come psicologa al Municipio di Carabanchel. Definisce la misura “surreale” e “assurda”, un esperimento improvvisato che ha causato scene di vero e proprio delirio. L’ufficio dove lavora non sta nell’area confinata ma solo per pochi metri, anche se gran parte delle famiglie vulnerabili con cui lavora vivono in quella zona. La domanda era nell’aria ma nessuno sa bene cosa fare, dato che la normativa non specifica la questione: potranno queste famiglie recarsi agli appuntamenti con la psicologa? A. R. aveva appena cancellato tutti gli appuntamenti, quando le arriva una mail del Municipio: il servizio è considerato essenziale e devono comunicare con una mail o un messaggio di Whatsapp per avvisare le famiglie.

 

La presidenta Diaz Ayuso (fonte: commons.wikimedia.org)

 

Ma molti non hanno computer o telefoni. «Molte famiglie con cui ho parlato si sentono perdute, non sanno se sono sotto confinamento o no. Altre erano sotto shock perché non sapevano se potevano andare a lavorare ed essendo spesso senza contratto non possono avere una giustificazione e rischiano di perderlo», segnala un’assistente sociale. Durante le conversazioni che A. R. ha intrattenuto con le famiglie colpite dal confinamento, le reazioni andavano dallo smarrimento alla paura: «Nessuno ha ritenuto tale misura giustificabile».

 

Anche D.H. vive a Carabanchel ed è madre di due figli, di cui uno appena nato. Se dovesse rispettare la misura decretata dalla Comunità di Madrid, questo confinamento sarebbe peggiore di quello della prima ondata.

 

Al momento di decidere la delimitazione delle zone di confinamento, racconta a “El Salto”, non hanno tenuto conto di nulla. Il suo appartamento si trova accanto a Vista Alegre, ma il raggio di spostamenti possibili si è ridotto a quattro strade in croce. «Siamo intrappolati in uno spazio minuscolo senza spazi all’aria aperta, senza un luogo dove andare a passeggiare. Se rispettassimo questa misura, sarebbe dieci volte più dura del primo confinamento, dove almeno avevamo un raggio di un chilometro per gli spostamenti e dove era permesso accedere a quasi tutti i servizi e i soddisfare i bisogni primari, adesso non ho nemmeno accesso a negozi di beni primari. Se volessi andare a passeggiare con mio figlio, non potrei che fare cinquanta metri schivando auto, non abbiamo a disposizione nemmeno uno spazio all’aria aperta, non dico un parco».

Javier Cuenca vive nel quartiere Villaverde Alto e lavora nel distretto di Usera, una delle zone sul filo di spada della segregazione, dice a “El Salto”. In quanto vicepresidente della Federación Regional de Asociación de Vecinos de Madrid (Fravm) ha passato la giornata parlando con persone di tutti i quartieri colpiti e riassume cosi la situazione: «Una cosa da pazzi».

«È folle!» che la linea C5 del treno metropolitano – che attraversa gran parte delle zone confinate – sia super affollata perché non hanno aumentato la frequenza delle corse, mentre la Comunità proibisce riunioni di oltre sei persone. «E’ folle» che nessuno sappia «in realtà che significa stare in una zona confinata». «È folle» che hanno chiuso i parchi condannando le famiglie con bambini piccoli a rimanere rinchiusi in casa proprio nei quartieri di Madrid dove le case sono più piccole. «È folle» che abbiano chiuso i parchi mentre le sale giochi e i bar restano aperti. «È folle» soprattutto il fatto che questa misura non risolva assolutamente il problema della pandemia. Se volessero farlo, dovrebbero cominciare con l’assunzione di nuovi medici, dovrebbero aumentare la frequenza del trasporto pubblico, assumere più docenti e dare spazio alle attività scolastiche dentro gli edifici municipali.

Con questo confinamento selettivo, sostiene Javier Cuenca, il governo regionale punta a stigmatizzare queste zone di Madrid, accusate dalla sua presidenta di mantenere uno «stile di vita» che facilita la propagazione dei contagi. «La gente ha evidentemente la pessima abitudine di andare a lavorare, socializzare e vivere», dice questo attivista di quartiere.

 

A fronte del comportamento «sbagliato, spericolato e insensibile» del governo di Díaz Ayuso fin dall’inizio della pandemia, Ccoo, Ugt, Fravm, Iu, Más Madrid, Podemos, Psoe-M hanno lanciato una mobilitazione per il 27 settembre.

 

Secondo queste organizzazioni, la segregazione territoriale che ha avuto inizio questo lunedì è la conseguenza di sette mesi di disastri e caos nella gestione della pandemia. «Gli abitanti delle 37 zone sotto confinamento si sentono sotto attacco, stigmatizzati, vengono falsamente accusati di irresponsabilità nella gestione delle loro relazioni sociali e familiari, e rifiutano queste misure reclamando un trattamento giusto e non discriminatorio». Queste misure restrittive, sostengono, sono da rifiutare sia perché sono inutili quanto per il loro carattere fortemente segregazionista. Da Vallecas, M. M. riassume per “El Salto” come sono andate queste prime ore di nuova normalità: «È stata una giornata molto strana, perché tutto era molto tranquillo. Sono uscito da casa con 800 lasciapassare, uno per portare i miei figli a scuola, un altro per andare a lavorare, un altro perché avevo una visita medica. Strano perché non ho incontrato nessun controllo di polizia, i parchi aperti… siamo tutti in attesa di cosa potrà accadere domani».

 

Articolo pubblicato orginariamente su El Salto Diario

Traduzione dallo spagnolo di Alioscia Castronovo per DINAMOpress

Immagine di copertina: manifestazione a Carabanchel il 20 settembre contro il lockdown selettivo di J de la Jara

 

FONTE: https://www.dinamopress.it/news/rabbia-sconforto-madrid-lockdown-segrega-piu-deboli/


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