10 settembre 2020
I primi giorni di settembre a Napoli si respira un caldo afoso come se fosse l’inizio dell’estate, aria immobile che non migliora lo stato d’animo degli abitanti dello stabile occupato di salita San Raffaele a Materdei, che ospita circa dieci nuclei familiari prossimi allo sgombero. Sono le undici di mattina quando esco dalla metro e raggiungo l’indirizzo che mi ha dato Tonino, uno degli occupanti. Ad aspettarmi ci sono anche Angelo e Stefano, militanti dei disoccupati organizzati e ormai veterani delle lotte per l’emergenza abitativa in città. «Il caffè non è il mio forte – dice Angelo mentre apre le porte della palazzina – ma questa volta è riuscito. Poi se resti a pranzo ti faccio mangiare bene. È tra le poche cose che posso ancora fare qui a casa, cucinare. E poi ti devo raccontare la nostra storia».
Angelo mi porge la mano, la sua stretta leggera evidenzia la mancanza di sensibilità alla mano destra. Si mette a rovistare alla ricerca di alcune carte, e mi chiede di fotografarle bene. Vuole che si sappia: è uno dei tanti abitanti in occupazione a cui è stata riconosciuta un’invalidità, che nel suo caso arriva al cento per cento e che non gli permetterà di ritornare a lavorare, né nell’edilizia né altrove. L’idea di un nuovo trasloco non gli fa chiudere occhio la notte. «Come faccio a trasportare le mie cose? La cucina, la lavatrice, il letto, dovrei perdere tutto quello che mi è stato regalato e trovare la forza di sistemarmi a cinquant’anni, ripartendo ancora una volta da zero».
Angelo è solo, divorziato dalla moglie, ha una storia di occupazioni e sgomberi alle spalle, che si unisce ai problemi di salute e all’impossibilità di lavorare. «Non siamo criminali che vogliono vivere sulle spalle dello Stato. Nelle nostre condizioni, nessuno si chiede dove finiremo?». Tra quelli che non si pongono domande del genere c’è sicuramente la Corte dei Conti, che sta chiedendo ad Angelo e agli altri occupanti spiegazioni sull’utilizzo di un vecchio edificio di proprietà dell’Asl, abbandonato per oltre vent’anni e poi occupato nel 2014. Dopo l’interessamento dell’organo di controllo, la prefettura ha intimato lo sgombero stabilendo la scadenza per la fine di settembre.
Insieme agli attivisti della campagna per il diritto all’abitare Magnammece o’ pesone, alla notifica dello sgombero gli abitanti hanno risposto con azioni che hanno coinvolto la dirigenza dell’Asl 1 di Napoli e i responsabili del patrimonio, occupando alcuni uffici e presidiando la sede della Regione “per avere l’attenzione di qualche forza politica che nemmeno in campagna elettorale si è degnata di mettere in campo un’alternativa valida per le famiglie di Materdei”. Dopo avere occupato a fine agosto la sede amministrativa dell’Asl al Frullone e dopo il presidio a palazzo Santa Lucia, attivisti e abitanti hanno occupato il comitato elettorale di Vincenzo De Luca a via Generale Orsini. Un’occupazione temporanea con l’obiettivo di ricordare al governatore e alla giunta regionale non solo il mancato rispetto del Decreto Rilancio, che impedisce gli sgomberi coatti fino a dicembre 2020, ma soprattutto che il piano regionale in vigore da ottobre 2019 è completamente bloccato rispetto all’assegnazione delle case popolari. A seguito delle proteste, un nuovo incontro col vicegovernatore Bonavitacola è stato fissato per martedì 15 settembre.
«Finora non abbiamo intravisto margini di trattativa», spiega Stefano mentre saliamo le scale fino al terrazzo. Il progetto della dirigenza aziendale prevedeva, per la palazzina di salita San Raffaele, la conversione in casa di cura per anziani e invalidi. L’Asl aveva ottenuto l’edificio in donazione, con il vincolo all’uso sociale, ma l’aveva lasciato abbandonato per vent’anni. Periodicamente nella palazzina venivano iniziati lavori mai portati a termine, così come si stipulavano lauti contratti con ditte di vigilanza privata, chiamate a sorvegliare un edificio vuoto per circa diecimila euro al mese. Nel 2014 circa quaranta persone hanno deciso di occupare, resistendo anche a un tentativo di sgombero con antisommossa e blindati, grazie all’aiuto di altri abitanti del quartiere.
«Stiamo provando a opporci a una decisione che sembra già presa. Non so quando lo sfratto verrà attuato, ma so già che questo terrazzo mi mancherà da morire». Stefano chiude così la nostra chiacchierata, poi scendiamo silenziosi. Camminando verso l’uscita, su un tavolino noto una grossa falce e martello, con accanto una targa militare e la statua di una Madonna. Sui muri e le porte di tutti gli abitanti, invece, una quantità enorme di adesivi, alcuni uguali tra loro e altri diversi, come fossero nomi sulle targhette di un citofono. I più giovani sono impegnati a dar da mangiare ai numerosi coinquilini a quattro zampe, a cominciare da una dolcissima cagna che ha imparato a custodire chiavi, convivere libera con gli altri, inclusa una colonia di gatti, e fare compagnia a tutti. Al momento dei saluti Angelo mi toglie dall’imbarazzo regalandomi degli orecchini che ha fatto personalmente. Penso al valore che ha il dare, con questa naturalezza, e che sarebbe bello se tutti imparassimo, proprio da chi non ha niente, a farlo. (alessandra mincone)