La procura di Milano ha aperto un’inchiesta che vede indagati Andrea Dini, fratello della moglie di Fontana, Roberta, e Filippo Bongiovanni, il direttore generale di Aria Spa, la centrale acquisti della regione Lombardia, per la fornitura di camici e materiale medico “offerti” alla Regione Lombardia durante l’emergenza Covid dalla società di Andrea Dini.
In merito a questa “donazione”, Fontana aveva dichiarato di essere estraneo. Gli inquirenti stanno verificando anche il ruolo dell’assessore Cattaneo: l’ipotesi è che sia stato lui a consigliare la società di Dini alla centrale acquisti della Regione
Camici dal cognato di Fontana alla Lombardia, verifiche dei pm su un ruolo del governatore nel passaggio da vendita a donazione
9 luglio 2020
Lo apprende l’Ansa dai primi dati acquisiti dalla procura nell’inchiesta che vede indagati Andrea Dini, fratello della moglie del governatore, Roberta, e Filippo Bongiovanni, il direttore generale di Aria Spa, la centrale acquisti della regione. Il governatore aveva dichiarato di essere estraneo alla vicenda. Gli inquirenti stanno verificando anche il ruolo dell’assessore Cattaneo: l’ipotesi è che sia stato lui a consigliare la società di Dini alla centrale acquisti della Regione
Altro che “donazione“. Secondo la procura di Milano i camici e il materiale medico offerti alla Regione Lombardia durante l’emergenza Covid dalla società di Andrea Dini, cognato del governatore Attilio Fontana, sarebbero “una fornitura” a tutti gli effetti. Lo apprende l’Ansa dai primi dati acquisiti dai magistrati nell’inchiesta che vede indagati proprio Dini , che gestisce anche il celebre marchio Paul & Shark, e Filippo Bongiovanni, il direttore generale di Aria Spa, la Centrale acquisti regionale.
L’ipotesi di reato formulata dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli è turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente. Al centro dell’indagine la fornitura di 82mila camici, copricapi e calzari sanitari prodotti dalla Dama Spa – di cui la moglie di Fontana, Roberta, detiene una quota del 10 percento – durante l’emergenza Covid-19. Una fornitura che era stata prima indirizzata dal Pirellone tramite affidamento diretto verso la Dama Spa, che poi avrebbe rinunciato alla commessa, tramutandola in donazione. Il tutto in concomitanza con un’inchiesta della trasmissione Report. Si tratta di un passaggio chiave nella vicenda. La Dama Spa gestita da Dini ha fornito alla Lombardia materiale medico per 513mila euro. In base alle ricostruzioni giornalistiche, le fatture sarebbero state stornate e l’acquisto trasformato in una donazione solo dopo la diffusione della vicenda sui media nazionali. Dini finora ha sempre negato, affermando che il suo intento era sin dall’inizio a scopi benefici. Come riportato stamattina dal Fatto Quotidiano, però, lo stesso manager avrebbe firmato di suo pugno un’email in cui si parlava esplicitamente di “prezzi e forniture”. Documento acquisito dagli investigatori del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza che ieri sono tornati in Regione per recuperare altre carte, tra cui le fatture, la nota di credito e gli storni effettuati da Dama spa in favore della Centrale acquisti della Lombardia.
Dopo aver acquisito i primi atti di indagine, tra l’altro, emerge l’ipotesi di un interessamento del governatore lombardo nella fase di trasformazione dell’ordine di acquisto diretto in donazione. Inquirenti e investigatori stanno facendo accertamenti su un presunto ruolo attivo nella vicenda del presidente della Regione, che allo stato non risulta indagato. Secondo gli investigatori a consigliare ad Aria la società Dama, del cognato del presidente, è stato l’assessore lombardo all’Ambiente Raffaele Cattaneo, responsabile dell’unità regionale per il reperimento di mascherine e altri dispositivi. Cattaneo, che non è indagato e che è stato sentito ieri come teste, è accusato di essere stato al corrente che si trattava di una fornitura e che la società era legata alla famiglia Fontana. Nelle scorse settimane, il governatore della Lega si è detto del tutto estraneo alla vicenda. “Agli inviati della trasmissione televisiva Report avevo già spiegato per iscritto che non sapevo nulla della procedura attivata da Aria Spa e che non sono mai intervenuto in alcun modo”, ha precisato il presidente della Regione in una nota dello scorso 7 giugno.
Gli inquirenti sospettano proprio che la trasformazione della fornitura in donazione sia stata simulata – riferisce l’Ansa – e avvenuta solo perché Report aveva iniziato ad interessarsi alla vicenda. Le indagini si concentrano anche sul fatto che i dispositivi di protezione poi effettivamente fornite erano meno di quelle ordinati e che lo storno delle fatture riguardava una cifra inferiore rispetto a quella pattuita. Il 16 aprile la centrale acquisti regionale Aria spa ha disposto un ordine di acquisto con affidamento diretto alla società, la quale emise una fattura con pagamento a 60 giorni e iniziò a consegnare una parte del materiale.
Dei 75mila camici della fornitura al centro delle indagini della Procura di Milano, 50mila sarebbero stati messi a disposizione della centrale acquisti della Regione Lombardia, come donazione da parte di Dama. Società che, però, dopo il 20 maggio, quando avvenne la trasformazione da fornitura in donazione, avrebbe cercato di rivendere i restanti 25mila camici. Le indagini sono entrate nel vivo pochi giorni fa, dopo che la procura aveva individuato una prima ipotesi di reato, ora ufficializzata nella “turbata libertà del procedimento di scelta del contraente”. I pm hanno sentito l’assessore Raffaele Cattaneo e il presidente di Aria Francesco Ferri. Oggi è toccato a un altro dirigente di Aria Spa sedersi davanti agli inquirenti. L’obiettivo dei magistrati è fare chiarezza sulle modalità con cui è stata individuata da parte di Regione Lombardia la società che, dopo la necessaria riconversione, era in grado di produrre camici e materiale sanitario in tempi brevi. Il sospetto è che qualcuno ai vertici del Pirellone possa aver “consigliato” la Dama Spa, preferendola ad altre società. L’ultimo punto chiave della vicenda riguarda il “patto di integrità” che Dama avrebbe dovuto (o non dovuto) sottoscrivere per poter stipulare contratti con la Regione. Il patto, infatti, deve essere accompagnato da una dichiarazione che sgombri il campo da ogni ipotesi di conflitto di interesse.
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