A ormai un mese dalla fine del lock-down, l’allentamento delle restrizioni e progredire della crisi economica stanno portando non poche categorie a scendere in piazza. Anche a Verona.
Fra i primi – e pressoché i soli ad ottenere visibilità mediatica e attenzione dalle istituzioni – sono sono stati i negozianti, che dopo l’esposizione di cartelli con su scritto “Non sta andando tutto bene” sui propri negozi hanno fatto alcune presenze in piazza nel centro-storico.
A fare da sponda alle loro rivendicazioni l’amministrazione comunale, schierata per la riapertura delle attività economiche e per mantenere un buon rapporto con l’elettorato del centro città.
Poi è stata la volta dei lavoratori dello spettacolo, che come “Lavoratori autorganizzati dello Spettacolo” hanno chiamato un presidio davanti all’INPS, l’ente che non sta erogando a molti di loro il bonus dei 600 euro per i lavoratori autonomi. Tra gli interventi al microfono anche quello di un lavoratore della logistica e di un docente, a testimonianza di un disagio più generale e delle possibilità di intrecciare lotte diverse.
In concomitanza col presidio, a pochi metri di distanza, in Piazza Bra c’erano gli ambulanti di Piazza Erbe.
Venerdì 29 maggio c’è stata un’altra iniziativa partecipata da lavoratori dei teatri e delle fondazioni chiamata questa volta dai sindacati confederali con la partecipazione di un centinaio di persone.
Anche lì, a pochi metri di distanza, sempre in Piazza Brà scendevano in piazza medici e specializzandi per protestare contro i tagli alla sanità in una giornata che ha visto loro presidi anche davanti agli ospedali di Borgo Trento e Borgo Roma.
A metà giugno c’è stata una protesta di un gruppo autorganizzato di immigrati per chiedere l’estensione della sanatoria voluta dal governo.
Sempre su questa questione c’è stato un presidio in Piazza Brà il 25 giugno, promosso da gruppi della sinistra veronese e da associazioni di immigrati (in particolare della comunità africana , bangladese e sri-lankese).
Il giorno prima erano invece confluiti in Piazza Dante un centinaio tra genitori ed educatori per chiedere maggiori investimenti per la scuola pubblica e la fine della Didattica a Distanza (Dad).
Sul fronte sindacale ci sono stati diversi scioperi anche durante il lock-down e viene da chiedersi di quanti non si è avuto notizia (senza contare gli atti meno espliciti di insubordinazione, come la messa in malattia).
É successo a febbraio con lo sciopero di sessanta autisti delle autovetture in subappalto alla Bertani Trasporti al Quadrante Europa e successivamente in diversi stabilimenti della logistica in Zai: alla DHL, alla GLS, alla Fedex-TNT…
Sciopero a marzo anche dei lavoratori MCR all’Aeroporto Catullo di Villafranca.
Più recentemente 16 giugno c’è stata una protesta davanti ai cancelli della Zamboni Transervice per il licenziamento di sei lavoratori, al cui posto verranno fatti lavorare dipendenti di cooperative in appalto.
La ditta di occupa di movimentazione dell’ortofrutta per la Grande Distribuzione Organizzata, un settore cruciale in tempi di pandemia e al centro di processi di ristrutturazione e lotte (vedere il caso della Fruttital).
Il 3 luglio è avvenuta invece una protesta davanti allo stabilimento Aia di San Martino Buon Albergo, da parte dei facchini che lavorano per una cooperativa in appalto.
Infine c’è da segnalare come facciano capolino alcune proteste di quelle che genericamente si è soliti etichettare come ambientaliste, ma che a ben guardare chiamano in causa più questioni.
Il 20 giugno c’è stato un presidio dei Coordinamento No Tav Brescia-Verona a Lonato (BS).
Lo stesso giorno c’è stato anche un presidio del comitato Stop 5G Verona ai giardini San Marco dove sono state installate delle antenne che serviranno per la rete 5G. Oltre alla massiccia e ingombrante presenza di politici locali calamitati dalla possibilità di far polemica con l’amministrazione (tra cui il redivivo Flavio Tosi) erano presenti anche alcuni residenti preoccupati per questa infrastruttura.
Il comitato ha annunciato che continuerà con questi presidi di denuncia in altri quartieri.
Ognuna di queste vicende meriterebbe spazio e riflessione, anche per le diverse modalità d’azione adottate finora, da chi ancora spera nell’intercessione del politico amico o negli esposti alla magistratura a chi invece fa affidamento sul picchetto, sulla propria determinazione e sulla solidarietà che può arrivare.
Può essere non solo un esercizio di immaginazione chiedersi cosa succederebbe se alcune di queste “vertenze” e di quelle che verranno fuori da qui a fine anno dovessero farsi forza a vicenda e venire supportate anche da chi , non direttamente coinvolto, si rende conto che se siamo sulla stessa barca questa è una galera e pertanto è prezioso ogni momento in cui il malumore tra i nostri compagni di voga si trasforma in messa in discussione delle decisioni prese da chi regge il timone.
Cosa accadrebbe se i lavoratori della Fondazione Lirica scendessero in piazza con gli insegnanti, se i docenti partecipassero ai picchetti dei facchini, se i lavoratori della logistica andassero ai presidi del personale della sanità, se gli infermieri si esprimessero contro la devastazione ambientale?
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FONTE: https://lazattera.tracciabi.li/2020/07/03/ripartenza/