Covid-19, lo sciopero degli affitti come immunità di gregge. Un focus in continuo aggiornamento

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“Questo aprile, un’ondata mai vista di persone non pagherà l’affitto. Alcuni lo faranno per solidarietà. Alcuni perché non hanno scelta. Alcuni lo faranno insieme a tutto il loro condominio. Altri da soli. Questo sciopero non appartiene agli attivisti o agli organizzatori, ma a tutte noi, a chiunque semplicemente non può o non vuole sostenere il peso di questa crisi”, dice il comunicato Immunità per tutti: invito a scioperare, uscito il 27 marzo e appena tradotto in italiano.

La chiamata allo sciopero degli affitti è partita da due posti molto diversi tra loro, casualmente all’estremo occidente d’Europa e d’America: le Canarie e la West Coast. Nelle Canarie lo ha proclamato un sindacato nato con le occupazioni delle piazze del 2011, che per quasi un decennio ha organizzato gli inquilini delle zone più povere della città di Las Palmas per resistere agli sfratti. Come nel resto dello stato spagnolo tante famiglie e singoli sono tornati in affitto dopo la crisi del 2008, dopo aver perso le case su cui pagavano i mutui. Poi, con l’iperfinanziarizzazione del mercato immobiliare, il boom del turismo e degli affitti brevi, e grazie al riscatto delle banche, tantissime di queste case in affitto sono state a loro volta comprate da grandi fondi immobiliari come Blackstone, fondi che alzano i canoni arbitrariamente e provano a sfrattare gli inquilini anche dopo pochi giorni di ritardo. “Abbiamo fermato tutti gli sfratti a cui siamo andati”, spiega in un’intervista Ruyman Rodrìguez, uno dei membri più attivi del sindacato.

All’inizio dell’isolamento per il Coronavirus, centinaia di loro affiliati hanno avvisato che non potranno pagare già l’affitto di aprile. Serve a poco che il governo annunci un decreto sugli affitti tra quindici giorni: l’affitto si paga a inizio mese. Inoltre, come in Italia, le misure per sostenere la crisi riguardano il blocco degli sfratti e il congelamento dei mutui, ma non proteggono chi è in affitto. Anche le posizioni istituzionali più radicali, come quella del comune di Barcellona, chiedono solo che gli affitti di questi mesi siano sospesi e pagati più avanti. Il sindacato delle Canarie ha raccolto il messaggio di quest’urgenza collettiva, proclamando invece una huelga de alquileres, uno sciopero generale e indefinito, che inizierà il 1 aprile.

Nella costa occidentale degli Stati Uniti la scala è diversa, ma gli effetti simili. Le macro corporazioni che hanno stabilito le loro sedi nelle grandi città hanno fatto salire i prezzi come mai prima. Gli abitanti di quartieri come Mission a San Francisco non reggono la competizione di Airbnb e dei tech boys da decine di migliaia di dollari al mese: basta che Google metta una fermata della navetta per i suoi dipendenti  in un quartiere, che migliaia di famiglie anche di classe media sono costrette a spostarsi. Ma l’ipergentrificazione ormai ha colpito tutta la baia, e anche a Oakland gli abitanti originari sono rari come gli orsi bianchi (è il tema della serie indipendente The North Pole). A Seattle è invece Amazon ad aver preso il controllo dello spazio e dell’urbanistica di una delle città più vivibili degli Stati Uniti, trasformandola in una delle più care e ingiuste. Non sorprende che la chiamata unilaterale allo sciopero sia partita da un collettivo di San FranciscoStation 40, che diciassette anni fa ha trasformato un palazzo in affitto del distretto di Mission in un centro sociale e culturale per la comunità, resistendo alle continue minacce di sfratto.

Come milioni di altri statunitensi, all’inizio della pandemia molti di loro hanno perso la fonte di reddito. Sottoposti alla doppia pressione del governo federale, negazionista fino a ieri, e delle autorità locali entrate in panico, hanno dichiarato che le misure d’emergenza prese finora sono insufficienti, e che il problema è proprio l’affitto di questo mese. Non lo pagheranno. Immediatamente dopo, a Seattle altri gruppi di inquilini hanno dichiarato il Rent Strike per il 1 aprile.

Nel giro di pochi giorni c’erano già account Twitter, gruppo Telegram e un documento in pdf con tutte le risorse, i modelli di lettere per i proprietari e i consigli per organizzare e sostenere lo sciopero. “Banche e proprietari immobiliari non possono continuare a far profitti sugli inquilini e sui mutui, se noi non abbiamo modo di guadagnare”, dice il sito. “È senso comune. Se non possiamo fare soldi noi, non devono poterlo fare neanche loro. Anche se siete in grado di pagare l’affitto, non vuol dire che dobbiate farlo. Il miglior modo di sostenere chi non può pagare è scioperare tutti insieme, così le autorità  non potranno colpire chi non paga. Smettete di pagare il 1 aprile. Se non per voi, per i vostri vicini”. Ancora, il Resource pack: “Se hai un mutuo, vedi la sezione su come chiedere alla tua banca di non pagare le rate. Se sei un proprietario, parla con i tuoi inquilini per uscire insieme da questa crisi. Nei difficili giorni che ci aspettano dovremmo creare una forte solidarietà per proteggere le nostre comunità. Bisogna uscire da un approccio ‘ognuno per sé’ e iniziare a prenderci cura le une delle altre”.

La prova del fatto che questo non è uno scherzo, e che la pressione per un blocco degli affitti sta diventando molto forte, viene dalla Spagna – dove circa duecento collettivi e sindacati di inquilini hanno risposto alla chiamata per lo sciopero degli affitti, da Madrid a Mallorca, da Guadalajara a Barcellona. C’è da dire che il valore simbolico che ha lì la huelga de alquileres non ha uguali. Fu proprio nello sciopero degli affitti del 1931 che nacquero le strutture di autodifesa di quartiere che più avanti fermarono il colpo di stato di Francisco Franco. Conoscendo il precedente, non sorprende che i grandi proprietari immobiliari abbiano già iniziato a organizzarsi. A neanche una settimana dall’inizio dell’isolamento, i principali fondi speculativi attivi in Spagna hanno annunciato la nascita di una nuova associazione di proprietari: la Asval, che usa la retorica della difesa del piccolo proprietario per fare pressioni sul governo contro le misure in difesa degli inquilini. Il presidente di questa lobby, nata durante una catastrofe globale per garantire a degli avvoltoi di non perdere neanche una preda, è l’ex sindaco di BarcellonaJoan Clos – socialista, ideatore del devastante Forum universale delle culture e della distruzione del quartiere Poblenou, poi presidente di UN-Habitat – un personaggio imbarazzante per il suo stesso partito. Ma anche negli Stati Uniti i proprietari temono gli effetti di una mobilitazione degli inquilini: una serie di associazioni di proprietari il 19 marzo ha scritto una lettera  al Congresso, con la stessa retorica dei mom-and-pop-landlords, cioè dei piccoli proprietari che lo Stato dovrebbe tutelare se gli inquilini smettessero di pagare l’affitto.

Il sostegno allo sciopero si sta estendendo anche in altri paesi del mondo: in Messico una lunga lista di organizzazioni, attivisti e accademici ha emesso un comunicato che chiede al governo la moratoria sugli sfratti, la sospensione degli affitti, la destinazione di nuove abitazioni per chi non ne ha, e il congelamento delle bollette. In Canada almeno quattromila proprietari sono già stati avvisati dai loro inquilini che hanno perso il lavoro e non pagheranno l’affitto di aprile. La relatrice dell’Onu Leilana Farha in un comunicato da Ginevra dice che “oggi più che mai, avere una casa è una questione di vita o di morte”, aggiungendo che con la riduzione dei tassi di interesse bancario “c’è il rischio che gli attori finanziari mondiali usino la pandemia e le disgrazie di molti per dominare il mercato degli alloggi, senza tenere in conto i diritti umani, come fecero con la crisi del 2008. Gli stati devono evitare queste pratiche predatrici sui beni essenziali. Garantendo l’accesso alla casa e alla sanità, non solo proteggeranno la vita dei senza fissa dimora o degli abitanti di insediamenti informali, ma di tutta la popolazione del mondo, appianando la curva di contagio e trasmissione del Covid-19”. Una petizione alle autorità municipali di Portland, Oregon, con già quarantamila firme, va più nel dettaglio: “Chiediamo che tutti gli affitti dell’area metropolitana siano congelati fino alla fine della crisi del Covid-19. Sappiamo che rispetterete la volontà della popolazione, non la volontà di interessi privati. Se sceglierete di ignorare le nostre richieste, ci organizzeremo apertamente e attivamente contro il tentativo di fare profitti sulle nostre sofferenze ingiuste. Circonderemo i vostri uffici e le vostre case, portando i nostri cittadini più malati a riposare sulle vostre porte finché non avrete altra scelta se non unirvi a noi, o come uno degli eternamente malati, o come uno dei coraggiosi leader che rivendicano la dignità umana di base per gli abitanti di questa zona”. Jaime Palomera, antropologo e militante del Sindicat de Llogaters i llogateres di Barcellona che esige la sospensione immediata degli affitti, sostiene che il sindacato ha già ricevuto ottomila messaggi di inquiline che non potranno pagare il canone di aprile – e che gran parte dei loro proprietari non dipendono da questa rendita per vivere.

E in Italia? Come quasi ovunque, il decreto del 17 marzo prevede il blocco degli sfratti e la sospensione dei mutui durante la quarantena, ma niente per gli affitti: per ora gli unici paesi che hanno sospeso ufficialmente gli affitti sono Venezuela e SalvadorMaria Vittoria Molinari dell’Asia-Usb di Torbellamonaca in un video online spiega che il sindacato reclama al governo la sospensione degli affitti, dei provvedimenti per sostenere chi non può più pagare, fermo restando che anche in tempi normali in Italia servirebbero un milione di case popolari. L’Unione Inquilini ha chiesto un incremento di duecento milioni del fondo affitti per la crisi, ha fatto pressioni sulle autorità locali per il blocco degli sfratti, e preparato dei moduli per l’autoriduzione dell’affitto – una pratica a cui il sindacato era avvezzo fino agli anni Ottanta. Ma anche i proprietari chiedono l’intervento dello Stato negli affitti. L’Uppi il 27 marzo ha scritto una lettera al consiglio dei ministri reclamando il sostegno, e ricordando che molti proprietari già a marzo non hanno riscosso l’affitto dei negozi che hanno chiuso. Una misura più drastica come lo sciopero degli affitti sembra impopolare in un paese come l’Italia, dove sono in affitto solo il 30% (ufficialmente) e molti da privati. Eppure non tutte le case in affitto sono di piccoli proprietari: un terzo sono di medie e grandi imprese, mentre il Vaticano possiede il 20% del patrimonio immobiliare italiano. Oltre alla preghiera per Roma e ai centomila euro alla Caritas, il Papa potrebbe rinunciare a riscuotere gli affitti durante la quarantena, come gli ha chiesto in una lettera l’Unione Inquilini, e mettere a disposizione gli alloggi in disuso ai senza tetto e ai contagiati (oltre a cominciare a pagare le tasse allo Stato, come dovrebbero fare anche Amazon e le altre corporazioni).

Ma proclamare lo sciopero degli affitti, qui come altrove, suscita imbarazzo in chi è solidale con i piccoli proprietari che perderebbero la loro rendita. Eppure 4centinaia di migliaia di persone hanno perso il negozio, il lavoro precario, l’attività, insomma la loro fonte di reddito. Come loro, anche i piccoli proprietari ricorreranno al sostegno dello Stato: il reddito di quarantena, indispensabile per mantenere l’isolamento, deve essere disponibile per chiunque non abbia entrate, proprietario o nullatenente che sia. Bloccare tutti gli affitti quindi colpirebbe soprattutto la rendita dei grandi proprietari, i fondi speculativi, i gruppi immobiliari, che non abbisognano certo di ricevere aiuti statali durante l’emergenza – e neanche dopo. L’improvvisa chiusura delle frontiere nazionali e la militarizzazione dello spazio pubblico non deve farci dimenticare che siamo nel mezzo di uno dei periodi di trasformazione dal basso più importanti degli ultimi decenni, con enormi rivolte in corso fino a poche settimane fa, in parti del mondo così diverse come CileLibanoCatalognaHong Kong e Haiti, i cui slogan e parole chiave risuonavano da una parte all’altra del globo. Anche durante questa pandemia dobbiamo essere pronti ad ascoltare cosa reclamano gli abitanti delle città lontane da noi. Come si legge su un muro di Seattle: “Cinque richieste per il Covid-19: 1) sanità gratuita; 2) niente lavoro niente debito; 3) niente affitto niente mutui; 4) liberare i prigionieri; 5) case per tutti”. (stefano portelli – 29/03/20)

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AGGIORNAMENTO: DOMENICA 10 MAGGIO

Il secondo mese di crisi ha visto naturalmente un aumento ­nel numero di persone che hanno smesso di pagare l’affitto a livello globale: negli Stati Uniti si calcola che un inquilino su tre abbia saltato il canone di aprile, aderendo implicitamente a quello che si configura come il più grande sciopero degli affitti della storia. Quasi tutti gli inquilini però tentano prima di negoziare una riduzione o una sospensione con i loro proprietari, rendendo impossibile rilevare quanto questo movimento di massa stia influendo sul mercato degli affitti. È chiaro però che il crollo del turismo ha già causato un brusco calo dei prezzi, che probabilmente porterà molti proprietari a dover abbassare i canoni.

Il 5 maggio, giornata simbolica per lo scadere dell’affitto del nuovo mese, il sindacato Asia-USB ha organizzato presidi di fronte alle prefetture in tutta Italia reclamando il blocco degli affitti, mentre la rete italiana per il Rent Strike ha organizzato un’assemblea pubblica online. Uno dei punti più importanti ribaditi nell’assemblea è stata la distribuzione della proprietà immobiliare: l’urbanista ed ex assessore del comune di RomaPaolo Berdini, ha sottolineato che sull’80% degli immobili di proprietà di “persone non fisiche”, cioè imprese e società, l’Agenzia delle Entrate non sa nulla, poiché le imprese non sono obbligate a notificare gli usi che ne fanno. Tra queste, chissà quante palazzine come quella del quartiere Bolognina di Bologna, dove da aprile tutti gli inquilini hanno smesso di pagare l’affitto alla società immobiliare di Roma che possiede l’intero edificio.

Alcuni strumenti sviluppati per mettere in rete gli inquilini che aderiscono allo sciopero stanno iniziando a diffondersi anche in Italia: tra questi la mappa globale sviluppata dal collettivo Anti-Eviction Mapping Project di San Francisco; il sito del nodo italiano della rete ha creato un questionario per raccogliere e trasferire sulla mappa le segnalazioni dei casi, che finora riguardano soprattutto gruppi di studenti o precari, che rivendicano che il diritto all’alloggio sia considerato prioritario sulla rendita immobiliare. Tra i casi già segnalati si trovano dichiarazioni come questa, da Pisa: “In famiglia siamo tanti e mio padre è in cassa integrazione, io faccio il fattorino, ma se dovessi pagare il canone per intero perderei tutti i miei risparmi”.

RadioSonar ha pubblicato l’audio integrale dell’assemblea, a questo indirizzo.

AGGIORNAMENTO: MARTEDì 14 APRILE

Molte regioni italiane hanno stanziato fondi straordinari per gli affitti; le condizioni d’accesso tuttavia sono basate sul bisogno degli inquilini, non sul reddito dei proprietari, risultando un ennesimo travaso di risorse pubbliche alla speculazione immobiliare. Difficile sapere quanti inquilini già abbiano negoziato riduzioni o annullamenti del canone; le reti e i comitati di sciopero rilevano che i piccoli proprietari sono più disponibili dei grandi speculatori e palazzinari, i quali però detengono la maggior parte degli appartamenti in affitto in Italia (i dati per calcolare esattamente questa percentuale sono inesistenti, ma si considera che appena un 25 o 30% dei locatori siano piccoli proprietari). Si sono già formati diversi gruppi locali, soprattutto a partire da precari o studenti in affitto dallo stesso proprietario o nella stessa zona; per questa settimana sono previste due assemblee virtuali, mercoledì 15 quella promossa dal gruppo Facebook Emergenza affitti e bollette Covid-19, e giovedì 16 quella promossa dal comitato bolognese #RentStrike, che ha rilanciato la campagna di Asia-USB e Noi Restiamo. Dello sciopero degli affitti hanno parlato già giornali e agenzie di informazione. 

Intanto in Spagna si contano almeno dodicimila adesioni certe allo sciopero, organizzate in oltre quaranta comité de huelga locali; nelle Canarie, dove è partito lo sciopero, sono seicento gli inquilini che hanno aderito; a Barcellona l’1%-1.5% degli inquilini non ha pagato la mensilità di aprile secondo l’associazione di amministratori di condominio. Alla chiamata allo sciopero ha aderito anche il partito anticapitalista catalano CUP. Negli Stati Uniti, invece, dove i nuovi disoccupati sono il 10% di tutta la forza lavoro, diversi stati stanno adottando misure straordinarie: la California ad esempio propone di acquistare interi hotel per alloggiare i senzatetto. Giornali e siti mainstream informano gli inquilini dei loro diritti nei confronti dei proprietari, e la diffusione dello sciopero cresce al punto che un cartello dell’industria immobiliare ha dichiarato che questo mese ha pagato l’affitto solo il 69% degli inquilini.

AGGIORNAMENTO: SABATO 4 APRILE

Il 31 marzo gli inquilini di un condominio della Bolognina (Bologna) di proprietà di una società immobiliare hanno dichiarato il Rent Strike: è nato il primo coordinamento cittadino, insieme al sindacato Asia Usb e il collettivo Noi Restiamo, che ha creato una pagina Facebook. Dal 1 aprile, in contemporanea con il resto del mondo, lo sciopero è stato dichiarato in tutta Italia attraverso la pagina web scioperodegliaffitti.noblogs.org, la chat Telegram #scioperodegliaffitti e il gruppo Facebook Emergenza affitti COVID-19. Sono iniziati a piovere messaggi di inquilini in difficoltà su entrambi i canali, e sono già nati i primi coordinamenti locali: Marche, Piemonte, Emilia Romagna. La regione Toscana stanzia otto milioni di fondo speciale agli affitti.

Intanto, negli Stati Uniti, dello sciopero degli affitti parlano i principali giornali: Washington Post, New Yorker, New York Times. Un proprietario ha scritto ai suoi numerosissimi inquilini che avrebbero dovuto pagare, ma si è dimenticato di nascondere gli indirizzi: ora si stanno organizzando insieme per non pagare.

In Spagna i sindacati locali hanno confermato già diecimila persone che non pagheranno questo mese, la metà delle quali a Barcellona. Stanno nascendo molti coordinamenti locali, e la cassa di resistenza raccolta in tutto lo stato ha già superato i trentamila euro.

 

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