Nei focolai pandemici di Bergamo e Brescia è boom di imprese ancora aperte

I bollettini dei contagiati e dei morti per coronavirus, ci spiegano quotidianamente come le città e le province più colpite siano quelle di Bergamo e Brescia. Eppure per i padroni questo continua a non essere un dato sensibile e di cui tener conto. Al contrario continuano a tenere aperte le loro imprese e a martellare le Prefetture per ottenere deroghe al decreto del governo che chiede la sospensione delle attività non essenziali.

A Bergamo, principale focolaio della pandemia di Covid-19, sono ben 1800 le aziende che hanno chiesto deroghe al decreto firmato da Giuseppe Conte. Significa che per loro, il blocco scattato il 25 marzo non è ancora operativo. Non hanno chiuso e continuano a produrre, nell’attesa che magari arrivino prima o poi la Guardia di Finanza e i carabinieri a notificare una eventuale sospensione del lavoro. Queste aziende hanno semplicemente autocertificato che possono restare aperte perché – anche se diverse da quanto previsto nell’elenco degli 85 codici Ateco – svolgono attività riconducibili a filiere essenziali.

A Brescia, l’altro focolaio della pandemia, i dati sono più pesanti di quelli di Bergamo: le Pec inviate dalle imprese in prefettura che comunicamo la prosecuzione della produzione sono ben 2980.  Qualcuno parla di margine di errore ma ad esempio il numero di imprese del settore della difesa e dell’aerospaziale che hanno chiesto l’autorizzazione a riaprire sono ben 317 solo a Brescia.

 

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