Il disinvestimento nella sanità degli ultimi 10 anni

La lunga stagione della privatizzazione in Italia ha inizio alla fine degli anni 80, con la svendita del patrimonio industriale pubblico (primo atto del paladino della UE, Romano Prodi come presidente dell’IRI), l’ affermazione della cosiddetta flessibilità del lavoro (legge 24 giugno 1997, n. 196, governo Prodi I) fino alle privatizzazioni su vasta scala, dalle telecomunicazioni, alle ferrovie, l’energia elettrica, ecc.. ma anche settori come la sanità e la scuola non sono stati risparmiati e oggi, i danni di questa politica sono lampanti e sotto gli occhi di tutti.

Nonostante sia evidente ormai anche ai meno attenti, crediamo sia bene mettere in fila le leggi, i numeri e i mandanti politici di questo disastro, per non ritrovarci, quando tutto ciò sarà passato, a pensare che tutto torni come prima impunito, senza che le colpe e le responsabilità siano chiare e definite.

Il declino del SSN ha le sue radici in 2 riforme operate da 2 governi di centro sinistra.

Il D.L. 502/92 e il D.L. 517/93, primo governo Amato e governo Ciampi, sanciscono il cambio di funzione della sanità privata, mettendola di fatto sullo stesso piano di quella pubblica e pongono le basi della gestione regionale. Nascono le ASL, vere e proprie aziende pubbliche dotate di autonomia organizzativa, e si da il via alla concorrenza tra strutture sanitarie pubbliche e private.

Con la riforma del titolo V della Costituzione del 2001, governo Amato II, viene sancita la definitiva regionalizzazione della sanità, operazione che rende evidentemente disomogenea la strutturazione della sanità tra i diversi territori.

Dopo una fase di relativa quiete è nel periodo successivo alla crisi del 2008 che l’attacco al SSN diventa manifesto e i finanziamenti alla spesa sanitaria vengono derubricati dall’agenda politica dei vari governi.

La fondazione Gimbe lo scorso ottobre ha pubblicato il rapporto annuale che ha come obiettivo quello di “analizzare entità e trend del definanziamento pubblico del SSN nell’ultimo decennio (2010-2019) al fine di diffondere la consapevolezza che tutti i Governi hanno contribuito al progressivo indebolimento della più grande opera pubblica mai costruita”.

Dal 2010 al 2019 la promessa dei vari governi aveva assicurato una crescita della spesa sanitaria tra l’ 1.5 e 1.6% ma di fatto in questi 9 anni la spesa è cresciuta complessivamente di soli 8.8 miliardi (un aumento quindi di circa lo 0.9%). Se si conta poi che la crescita del tasso di inflazione medio nel decennio è stato del 1.07%, si capisce bene che l’aumento assoluto dell’investimento è in realtà un progressivo taglio della spesa, e un complessivo disinvestimento nel settore pubblico, in linea con le direttive europee generali di svendita di tutto il settore pubblico.

Si tratta di un disinvestimento complessivo di 37 miliardi che i governi avevano promesso a più riprese e che si sono poi “persi” nelle varie opere di propaganda elettorale (vedi gli 80 euro di Renzi) o in spostamento di budget verso altri capitoli di spesa piu proficui.

Il primo governo a “puntare” il SSN è stato quello tecnico: nel dicembre 2012 il ministro Balduzzi dichiara senza proferire obiezioni, una sottrazione di 25 miliardi di euro (diventati poi 30) al SSN per far fronte ai buchi lasciati dalle manovre finanziarie degli anni precedenti 2010-2012.

Nelle manovre finanziarie dal 2014 al 2018, i governi PD (Letta, Renzi e Gentiloni) sottraggono complessivamente 28,1 miliardi di euro promessi per il finanziamento del servizio sanitario e mai stanziati. Il primo governo Conte nonostante avesse dichiarato di voler invertire la rotta ha tagliato ulteriori 600 milioni nella finanziaria 2019.

Si potrebbe obbiettare che i governi dell’ultimo decennio si sono dovuti confrontare con le dinamiche macroeconomiche sfavorevoli conseguenti alla crisi del 2008, ma confrontando i dati sul finanziamento dei sistemi sanitari di altri paesi nello stesso periodo, lo scenario italiano risulta comunque tra i più allarmanti.

“Nel 2016, stando agli ultimi dati Istat disponibili, la Germania destinava alla Sanità il 165% di fondi pubblici in più di noi (con il 35% in più di abitanti), la Francia il 90% in più (con il 9,8% in più di abitanti) e la Gran Bretagna il 66% in più (con l’8% in più di abitanti). In pratica mentre noi spendevamo 1.844 euro ad abitante, la Francia ne spendeva 3.201, la Germania 3.605 e la Gran Bretagna 2.857” (leggi qui).

Se dal 2009 al 2018 la crescita percentuale media nella spesa sanitaria dei paesi OCSE si è attestata al 37 %, la media italiana è stata del 10 %: in sostanza solo Lussemburgo (-13%) e Grecia (-29%) hanno fatto peggio di noi.

Questi dati generali aiutano a comprendere l’affanno – per usare un eufemismo – con cui il SSN sta affrontando l’emergenza Covid-19. La fragilità dell’ex “sistema sanitario migliore del mondo”, svilito dai disinvestimenti perenni e dalla conseguente razionalizzazione al ribasso del personale, dei beni e dei servizi, delinea lo scenario emergenziale odierno costituito da un’insufficienza di personale medico, di posti letto negli ospedali (passati da 6,2 per mille abitanti nel 1996 a 3,07 oggi), di servizi di emergenza e di terapia intensiva (8,58 ogni 100 mila abitanti di oggi contro i 12,5 del 2012).

Correre ai ripari oggi significa richiamare medici in pensione, aumentare i turni di lavoro del personale sanitario, accelerare l’entrata in servizio degli specializzandi, chiedere solidarietà ai Paesi che la possono dare (guarda caso gli unici Paesi con un sistema pubblico forte). Ma correre ai ripari vuol dire anche ammettere che anni e anni di politiche di privatizzazione non hanno portato a un sistema più efficiente, anzi, hanno messo le basi per essere incapaci oggi, di gestire l’emergenza sanitaria.

Link all’articolo originale


Comments are disabled.