Nel nome dell’emergenza

2 maggio 2020.

Dal 10 marzo dietro la giustificazione dell’emergenza Coronavirus sono state fatte passare per decreto una serie impressionante di limitazioni alla libertà personale e collettiva, nonché un controllo che a poco da invidiare a quello di un regime totalitario.

Il modello nella gestione dell’emergenza è stato fin da subito lo stato cinese, fino a ieri condannato – con moderazione, vista l’importanza economica dei commerci con esso – in quanto “poco democratico”. Come in Cina, anche in Italia e in un numero crescente di stati mondiali vengono usati i dati degli smartphone e dei social per tracciare gli spostamenti delle persone, si impiegano i droni per sorvegliare dall’alto il territorio (dotando di questo strumento persino la polizia locale), viene messo l’esercito a isolare intere cittadine e a coadiuvare le forze dell’ordine.
Ci viene detto che tutto questo viene fatto , più o meno a malincuore, solo per il nostro bene.
Ma ci spieghino una cosa: è lo stesso bene per cui è stato imposto ai lavoratori di attività economiche assolutamente non necessarie alla sopravvivenza di continuare ad ammassarsi in fabbriche, uffici e magazzini? O è lo stesso bene per cui negli anni sono stati dirottati milioni di euro dalla sanità pubblica (gratuita) a quella privata (a pagamento)? O quel bene per cui nel passato le aziende sono state libere di inquinare, al punto che uno studio del 2017 sulla rivista The Lancet stimava ben 45600 morti per l’inquinamento atmosferico in Italia solo nel 2016?
Quando è esplosa la rivolta nelle carceri per paura che arrivasse il virus all’interno (cosa poi successa) qualche grand’uomo proponeva di schierare i militari attorno alle carceri.
Adesso che siamo tutti in una sorta di domiciliari di massa, i militari vengono impiegati per tenerci dentro le mura domestiche. La retorica del “siamo in guerra” ha come effetto quello di rendere ogni critica un tradimento e ogni disobbedienza a norme ingiuste una diserzione meritevole di fucilazione (finora morale per fortuna).
Anche volendo pensare che questi “strappi alla regola” siano motivati dalla volontà di fermare il contagio, pensiamo davvero che spariranno come per magia dall’oggi al domani, una volta ridimensionata l’emergenza sanitaria?
Già da prima i militari avevano iniziato a girare per le strade con motivazioni diverse di volta in volta – prima per ridurre l’insicurezza percepita dai cittadini, poi per la minaccia del terrorismo islamico- e non sono mai stati tolti.
Perchè questo giro dovrebbe andare diversamente?
Stesso discorso per le tecnologie di controllo. Chi ci assicura che il tracciamento dei dati non possa essere usato per scopi diversi dalla prevenzione del coronavirus? Ad esempio per reprimere proteste sempre più realistiche in uno scenario di crisi economica?
In Ungheria e in Slovenia colpi di stato incruenti hanno messo tutto il potere nella mani rispettivamente dei dittatori Orban e Janša, che hanno disposto il tracciamento dei dati della popolazione e il dispiegamento dei militari.
Qualcuno dirà che qui da noi siamo comunque in democrazia.
Già, una democrazia dove le elezioni sono rimandate perché viviamo in uno stato d’emergenza. È il cane che si morde la coda.
E il rischio è che da questa condizione emergenza non si esca mai.

FONTE: https://lazattera.tracciabi.li/2020/05/02/nel-nome-dellemergenza/

 


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