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Oltre alla sanità uno dei settori immediatamente toccati dai provvedimenti governativi è stato quelle delle coop.sociali. Negli asili lavora infatti moltissimo personale coop come ausiliarie e maestre, nelle scuole come educatori e educatrici.
Dopo settimane che se ne parlava, domenica 23 febbraio 2020 è arrivata la notizia della chiusura, dall’indomani, delle scuole di ogni ordine e grado, asili compresi, in tante zone del nord Italia. Fino a quel momento, il corona virus era la “ricorrente” malattia che si diffondeva nell’estremo oriente, per poi diventare, con il primo contagio a Codogno, qualcosa di più tangibile, ma ancora ben lontani dal clima di panico sociale attuale. Esempio personale emblematico: proprio quel giorno, stavo recandomi per la consueta trasferta a seguire il Parma a Torino con la mia banda di spostati, quando, già in autostrada, ricevemmo la telefonata: non si gioca, si torna indietro. Ci sembrava incredibile un rinvio così tardivo, assolutamente inusuale, non sapevamo ancora che confusione, tentativi e contraddizioni sarebbero stati la normalità da lì a non sappiamo quando.
Oltre ovviamente alla sanità, uno dei settori immediatamente toccati dai provvedimenti governativi è stato quelle delle coop.sociali: negli asili lavora moltissimo personale coop. come ausiliarie e maestre, nelle scuole come educatori e educatrici. Se i dipendenti pubblici hanno forme di tutela immediatamente attivate, in questo settore si vive e non da oggi nella precarietà: i contratti nazionali blindati tra centrali cooperative e sindacati confederali sono pessimi, vivono spesso di commistione tra questi, e di fatto, il socio-lavoratore medio si sorbisce tutto, poco sindacalizzato, abituato a considerare il lavoro come occasione, magari temporanea, e non come un diritto da tutelare.
Ma stavolta i settori più sindacalizzati nel settore, pochi ma ci sono, consapevoli di cosa possa significare la cosa, iniziano ad attivarsi: le prime telefonate di maestre ed educatori preoccupati e già arrabbiatissimi arrivano un minuto dopo la pubblicazione del provvedimento. La paura è che con la scusa della chiusura, si facciano prendere a chi ha il servizio chiuso ferie e permessi, in un settore in cui già da prima ferie e permessi non coprono l’intero periodo d chiusura dei servizi, e le coop ricorrono alla banca-ore, se in attivo, al recupero –ore, se negativo, oppure a sospensioni temporanee del contratto.
La mattina seguente, da parte di USI e poi pure dagli altri sindacati di base, escono comunicati in merito: chi più “sul pezzo”, ponendo chiaramente gli obbiettivi, chi purtroppo con la consueta fumosità ideologica.
In un quadro di pochissime informazioni fornite ai soci, e nessuna ai sindacati tutti, almeno nel nostro territorio le coop. paiono, dopo qualche giorno, recepire questa preoccupazione, e, nonostante le comunicazioni spesso contraddittorie tra esse, in qualche modo garantiscono, almeno per un periodo ancora non definito, la richiesta di ammortizzatori sociali (il FIS), che però coprirà circa il 70-80% del salario reale e quindi non può bastare.
Come USI, e non saremo i soli, chiediamo ovviamente non solo l’anticipo già dalla busta di marzo, perché non è possibile aspettare i tempi dell’INPS, ma pure un’integrazione della differenza da parte delle coop: se il problema è eccezionale, lo siano pure le misure per fronteggiarlo.
Non si può sapere se, non fosse stato per questa mobilitazione spontanea ed immediata, la risposta sarebbe stata questa, ma intanto prendiamo atto che il settore non è stato completamente passivo, anzi.
I problemi però restano tutti. Le coop. si rifiutano di interloquire, quasi ovunque, con i sindacati di base: il solo interlocutore è il sindacalismo confederale, CGIL-CISL-UIL. Se questo è un problema precedente la crisi corona-virus, in questa situazione si è manifestata con ancora più chiarezza la totale mancanza di democraticità di queste cooperative, che a parole sono un “presidio democratico”, di fatto negano la legittima rappresentanza ai lavoratori, soprattutto in un settore che, non esistendo le castranti RSU, per contratto attribuisce ogni diritto alle RSA aziendali.
Altro problema, il settarismo, l’iper-ideologismo, la politicizzazione esasperata, di alcuni sindacati di base, più preoccupati di dare lezioni ideologiche piuttosto che finalizzare l’intervento ad una lotta con precisi obbiettivi da condurre con credibilità e determinazione, dimenticando che una vicenda così eccezionale avrebbe azzerato, come poi è stato, ogni dissenso in vista della consueta retorica patriottarda dell’occasione, accompagnata da retorica, inni…e polizia nelle strade e repressione sul lavoro. Nella nostra città, per esempio, USI ha promosso immediatamente un tavolo unitario dei sindacati di base presenti sul territorio, ma ahinoi, gli interlocutori non sono stati all’altezza del momento per diversi aspetti. E infatti, già dall’indomani, la piattaforma condivisa ha visto sfilare via via gli interlocutori, soprattutto a causa di una di queste sigle totalmente eterodirette dai “capi” bolognesi che, per motivi che ognuno può cercare di individuare come gli pare, hanno impedito che fosse firmata questa piattaforma adducendo motivazioni totalmente pretestuose, e cercando poi nei giorni immediati a seguire di convincere altri soggetti.
Purtroppo, lo stesso sindacato, a Bologna, ha rivendicato due giorni dopo accordi con una coop sugli stessi identici punto che noi a Parma avevamo proposto…
Altro problema, i committenti, in particolare i Comuni, che sono parte diretta in causa avendo la responsabilità dei servizi che appaltano
In questa occasione, si è palesata, se ce n’era bisogno, la fragilità del potere, l’assenza di competenza, di consapevolezza del ruolo di garante pubblico. L’ente pubblico, a Parma come altrove, di fatto non ha esercitato nessun tipo di controllo, limitandosi, in poche e occasionali circostanze dovute alla dislocazione geografica di taluni organismi (vedi la Regione), a dire due parole di circostanza agli educatori arrabbiati ed ai loro rappresentanti. Ma sono stati ugualmente momenti importanti, perché comunque hanno rappresentato episodi di mobilitazione e lotta concreta.
Però questo dovrebbe far riflettere gli apologeti vetero-sinistrorsi, pure sindacali, che giocare tutte le fiches sul discorso “i servizi devono tornare pubblici!”, ha un senso se parliamo di estensione di diritti e garanzie, nessuno se l’ammantiamo di un valore politico immanente e risolutivo.
Il pubblico è statale, lo statale è sfruttamento burocratizzazione, assenza di controllo, ricerca di profitto in altre forme come il privato. Il problema è il sistema liberista, non si risolve con tentativi per quanto ammorbiditi di “capitalismo di stato”.
Si è cercato ugualmente di continuare la mobilitazione, nonostante i divieti ministeriali, che hanno reso più complicato, all’inizio, o impossibile, adesso, fare assemblee, presidi, manifestazioni. Noi siamo il primo sindacato di base, storicamente, operante nel settore in città e probabilmente pure quello più realmente radicato ed operante, nei termini di tutele individuali, assemblee regolari, controinformazione, contrattazione, e siamo presenti con numeri differenti in 8 coop. sociali in città, con numeri differenti, e costituiti come RSA nelle più grosse: Coop. Proges e AuroraDomus.
Da parte nostra ci abbiamo provato con comunicati stampa, con mail-bombing, con una continua denuncia e controinformazione, una continua richiesta di incontri alle singole coop. e alle centrali cooperative (Legacoop e ConfCoop) e, probabilmente denunceremo Coop. Proges (in realtà una holding con migliaia di soci attiva con le sue diramazioni pure nel settore pulizia e ristorazione aziendale) per discriminazione sindacale: il vero problema è che, anche in virtù di questa emergenza, permane il silenzio assoluto da parte dei nostri interlocutori, datoriali e istituzionali nonché della stampa, che si sentono fortissimi.
Ora siamo in una specie di limbo: gli ammortizzatori sociali sono stati chiesti per un periodo più lungo (che coprirà fino a fine aprile) e si confida in una loro estensione temporale, a seguito di un probabile allungamento straordinario della possibilità di ricorrere ad es. da parte del Governo; i confederali ne sanno poco più di noi nonostante la corsia preferenziale.
Dopo i primi momenti in cui molti operatori sono stati mandati allo sbaraglio o quasi, essendoci stata una continua recrudescenza della malattia, il focus è andato spostandosi sul diritto di pretendere tutti i dispositivi di protezione individuale e ogni tutela sanitaria, perché soprattutto per gli educatori si è iniziato a ventilare l’ipotesi di interventi domiciliari, come se, così facendo, non si mettesse semplicemente a rischio l’intera categoria. Anche l’altra soluzione molto parziale adottata, il tele-lavoro, necessita di precisi accorgimenti, e i costi va ricordato devono interamente essere del datore di lavoro.
Al momento in cui scrivo, si cerca in più realtà sparse per l’Italia, di vedere la fattibilità di un articolo, il 48, dell’ennesimo Decreto Ministeriale, che autorizza i comuni a pagare ugualmente le coop per le cifre già messe in bilancio in caso di servizi rimodulati: al solito, c’è chi ha accompagnato questo provvedimento con comunicati roboanti, in realtà è un nuovo spiraglio in cui infilarsi, ma di trionfale c’è nulla: questa alla fine non sarà una vicenda che ci porterà a stare meglio. Però va da sé che anche questa strada va tentata (e la stiamo tentando), pretendendo pure che i lavoratori iscritti ad USI abbiano chi li rappresenta al tavolo delle trattative anche rispetto alla rimodulazione dei servizi.
Territorialmente, presto probabilmente, dopo referendum tra le lavoratrici direttamente interessate, lanceremo una mobilitazione per sospendere ogni attività da casa negli asili se questi servizi non verranno rimodulati per ottenere pieno salario, e questa lotta si accompagna al boicottaggio delle prossime elezioni RLS in coop. Proges che si terranno a metà maggio, perché il nuovo ostruzionismo della coop. ci ha escluso da ogni rappresentanza anche sotto questo aspetto, ma non siamo disponibili a restare in silenzio: noi così ci muoviamo, sempre.
In un quadro sindacale così blindato, sarebbe stato auspicabile che il sindacalismo di base si fosse mostrato unito nell’individuare obiettivi precisi, in modo credibile, invece anche questa vicenda ha dimostrato fragilità, contraddizioni e convenienze, oltre che palesi diversità di organizzazione: ci spiace, ma ci fanno sorridere – amaramente- quei libertari che poi, rispetto a tematiche del lavoro, preferiscono modelli autoritari e fortemente centralizzati, ma questo è un altro discorso, lo stesso “altro discorso” dei libertari nei confederali. Una soluzione sarebbe stata di creare ovunque tavoli di lavoro territoriali aperti ed unitari che si ponessero, in autonomia, come interlocutori di centrali coop e committenti pubblici, in modo autorevole.
Noi, come potevamo, possiamo dire almeno di averci provato con sincerità e impegno. E restiamo fiduciosi che già da domani qualcosa possa cambiare, e guardiamo con favore i tentativi che ugualmente, un po’ ovunque, si stanno ancora facendo.
Abbiamo, come sindacalismo di base e come USI in particolare, essendo l’espressione più genuina e disinteressata dei nostri ideali e delle nostre pratiche nel mondo del lavoro, il dovere di cercare di estendere consapevolezza di classe e conflitto continuamente, ponendoci sempre fuori da retoriche sensazionalistiche, ponendoci in modo credibile davanti alle sfide che il capitale e il potere ci pongono. Questa situazione del tutto eccezionale ha dimostrato che il potere, quando vuole, è in grado di alzare il livello di repressione e di azzerare il conflitto in modo devastante, ma noi dobbiamo ugualmente esserci.
Coerenti con ciò che siamo e vogliamo.
Max, 18 aprile 2020
(questo articolo è la rivisitazione aggiornata di un precedente articolo comparso su Umanità Nova a marzo 2020)
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FONTE: https://usicoopsociali.noblogs.org/post/2020/04/28/cooperative-sociali-e-covid-19/