Mal-formazioni: primi esiti dell’inchiesta sull’emergenza nel settore della scuola

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28 aprile 2020

In questi mesi sono usciti numerosi contributi, perlopiù critici, sulla didattica a distanza. In un precedente articolo, una professoressa di un istituto tecnico di periferia individua nella DAD un dispositivo di esasperazione delle diseguaglianze – di classe, di razza e in certi casi anche di genere, dato che viene svolta nella sfera della domesticità. Da tale prospettiva, si vede l’impiego delle tecnologie ricalcare coerentemente l’impostazione della scuola, storicamente voluta come apparato gerarchico di disciplinamento e incasellamento, che rende quasi impossibile che bambin* e ragazz* di estrazione sociale diversa possano avere gli stessi riconoscimenti e banalmente anche stare all’interno dello stesso istituto. D’altra parte, per molti soggetti che lavorano nel settore la scuola rimane il luogo principale nella quale si apprende a muoversi nel mondo, con tutte le contraddizioni che ne derivano, ma con un bagaglio di strumenti cognitivi e relazionali che bambin* e ragazz* non possono sviluppare nella sfera del privato. In questo senso, la DAD penalizza fortemente l’apprendimento, visto che tra l’altro non c’è stato alcun tipo di formazione per i docenti nell’utilizzo di tali mezzi e si è dato per scontato una facilità d’utilizzo da parte dei giovani a causa della retorica dei “nativi digitali” portata avanti per anni, ignorante il fatto che utilizzare Youtube o uno smartphone fin da piccoli banalmente non è lo stesso che scrivere un file con un pacchetto Office.

Il dibattito in corso sulla didattica a distanza è solo un esempio di come in un contesto complesso come quello scolastico, non vi siano problemi non che non preesistevano già all’emergenza covid 19 e al suo merito di aver esasperato le contraddizioni sociali – in questa prima fase soprattutto nei settori in cui vi è una centralità nonché un disconoscimento sistematico del lavoro riproduttivo.

Ma incominciamo con ordine, a partire dai risultati della nostra inchiesta. Nell’organizzazione gerarchica della scuola, per quanto riguarda l’organizzazione del corpo docente e delle risorse a sua disposizione, la figura del dirigente scolastico gioca un ruolo decisivo dall’articolo 9 della riforma 107 di Renzi, nel quadro di un piano di autonomia di ogni istituto. A seconda de* presidi che ha, ogni scuola ha visto una gestione diversa dell’emergenza, soprattutto in un primo momento, in cui non si sapevano i tempi indicativi di riapertura e dal Ministero non arrivavano risposte sull’impostazione di una didattica alternativa. L’evento ha reso manifesta la propensione aziendalistica della scuola – incoraggiata per una ventina d’anni dai vari governi susseguitisi – fornendo il pretesto ad alcun* dirigenti per dimostrarsi superpresidi renziani e compattare il team dei docenti su una maniera per affrontare univocamente la nuova sfida, mentre altri hanno lasciato all’arbitrio di ogni insegnante il capire cosa fare e come farlo. Di quest* ultim*, al momento uno su cinque è precario, molt* sono supplenti che con la MAD vanno a coprire con contratti mensili i posti lasciati scoperti da settembre da 17mila collegh* con la misura Quota 100 di pensionamento anticipato. Quasi nessun* ha una formazione nell’utilizzo di strumenti digitali. In compenso – dato che l’ambito scolastico viene sempre sacrificato nelle leggi di bilancio e il personale ridotto all’osso – la maggior parte di loro si trova ad avere a che fare con classi sovraffollate e con studenti dal diversissimo grado di alfabetizzazione, soprattutto nelle scuole di periferia e negli istituti tecnici.

 

In un sistema così organizzato risulta eloquente la critica di T., maestra di scuola primaria: Rispetto alla mia situazione lavorativa prima della pandemia posso solo denunciare un sentire comune di una professione che è andata svalutandosi agli occhi della società, grazie anche a politiche di faciloneria, di riforme che hanno passato come fondamentali delle norme che ci han portato indietro nel tempo, e mi riferisco alla legge 107 dove sono state create divisioni nell’ambito dei lavoratori, che sono stati messi uno contro l’altro per la questione del bonus merito, ma questo è solo un esempio dei tanti.

Una situazione che in molti casi genera uno scarto tra le volontà e le possibilità de* insegnanti e il loro contesto di lavoro, con conseguente frustrazione; come si evince dalle parole di AL., maestra d’asilo: La mia condizione lavorativa pre pandemia era stressante dal punto di vista emotivo. Lo stress era dovuto principalmente alla mancanza di organizzazione nel lavoro, derivante da una lacuna dal punto di vista dirigenziale, che inevitabilmente ricadeva in una sfiducia dilagante non solo nelle relazioni umane, ma anche nel modo in cui il lavoro doveva essere condotto. Si viveva tra la consapevolezza di qual era la cosa giusta da fare e il non poterla fare per qualche assurda ragione esterna al piano prettamente educativo.Credo che questo sia il risultato di una visione della scuola come merce, che si adegua al mercato la cui domanda è data da qualcuno che probabilmente non ha la priorità educativa, o ne ha un concetto intuitivo, non supportato da conoscenze o interesse effettivo.

Grazie a queste premesse, si arriva al paradosso nel momento in cui si chiede ai docenti di pagare i costi dell’emergenza covid, sulla base dei loro strumenti e con livelli di motivazione molto diversi, attraverso la retorica di una responsabilità umana e sociale che nasce surrettiziamente nel momento stesso in cui le scuole hanno chiuso fisicamente i battenti. M., supplente di italiano in una scuola media, descrive così la sua situazione: È un carico che si porta dietro l’insegnante senza che gli venga riconosciuto né a livello sociale né a livello economico che sto percependo molto al momento. Com’è possibile che gravi sulla mia responsabilità personale il fatto di svegliarmi la mattina e dire “preparo cose che a loro [student*] possano arrivare, che loro possono guardare” e quindi lavorare come una bestia.

Una “gestione ideale” dell’emergenza vede docenti sovraccarich* di lavoro ingegnarsi per non rendere le lezioni totalmente inutili. Questo per molt* ha comportato mettersi integralmente a disposizione, creando gruppi WhatsApp per avere uno scambio diretto con ile student* o delle lezioni e dei compiti personalizzati per quell* che non hanno gli strumenti – molt* docenti hanno dovuto inventarsi da zero una didattica a distanza per smartphone – o restano indietro nell’apprendimento. Ciò comporta un’enorme quantità di lavoro di cura, la cui gestione rimane nella sfera individuale di ciascun* docente, senza retribuzione alcuna, né tutele sulla privacy. Dice SM.: Da una parte ti senti la responsabilità di dover garantire un diritto allo studio ai tuoi alunni e alunne ma dall’altra parte ti rendi conto di non avere gli strumenti per non poterlo fare. Poi subentra tutta una serie di problematiche che invece riguardano le famiglie, gli alunni e il loro approccio alla didattica a distanza. […] Sono molto in contatto coi miei colleghi, non con tutti però comunque ci coordiniamo in molti, è chiaro, questa situazione. Io sto vivendo al telefono ecco, dalla mattina alla sera parlo al telefono con colleghe, con i genitori, quindi questa cosa aumenta tantissimo lo stress che ha il singolo docente, le robe da gestire.

Spesso si innesca un meccanismo di colpevolizzazione, sia tra insegnanti che si vedono impiegare quantità di tempo e sforzi molto diversi, sia tra insegnanti e genitori. Nello specifico, tra queste due parti emerge un conflitto irrisolto: a scuole chiuse e uffici, aziende, fabbriche, strutture aperte, chi dovrebbe prendersi in carico l’educazione di bambin* e ragazz*? In molti contesti diventa impossibile trovare una soluzione in quanto –  già da prima di adottare la didattica a distanza – l’istituzione scolastica nella sua impostazione gerarchica ed eccessivamente burocratizzata, non ha mai favorito la costruzione di un tessuto relazionale tra soggetti e l’impostazione di un progetto educativo condiviso. Piuttosto ha delegato alle famiglie – e quindi anche alla loro impossibilità di farlo – la gestione solitaria dei casi più fragili, portat* di disabilità o difficoltà di apprendimento.

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Vengono fuori anche dei problemi che in qualche modo prima si potevano nascondere più facilmente, si poteva far finta di niente, ora con la didattica a distanza, in caso di assenza sotto i riflettori c’è quel ragazzo, la situazione familiare, il contesto socio economico, anche solo municipale quindi secondo me il discorso diventa un po’ più complicato in bene, perché bisogna andare a analizzare determinate caratteristiche che prima  andavi a analizzare: «beh questo ha preso quattro, questo otto» e basta, mentre in questo momento qualsiasi docente è costretto a interrogarsi anche su: «Che famiglia ho davanti? Qual’è il grado di istruzione della famiglia? Grado economico? Come mai siamo messi in questa situazione?”». G., insegnante di scuola media, in linea con le criticità espresse in precedenza descrive la necessità di andare più a fondo in questa dicotomia e cercare di costruire relazioni più vere nei contesti educativi, a scapito della forte verticalizzazione spesso imposta a traverso della burocrazia. Questo è causa della grande contraddizione del sistema scolastico per cui da un lato, il contesto in cui è inserito l’edificio-scuola – la sua popolazione, le possibilità che offre, le diseguaglianze che presenta – influenza fortemente le metodologie d’insegnamento, dall’altro lato la rigidità burocratica in senso verticale,  mascherandosi dietro una pretesa di omogeneizzazione e “uguaglianza” della scuola sul territorio nazionale blocca la possibilità di una educazione adeguata al contesto riproducendo disparità e forme di dominio.  È significativo come, se da una parte si chiede ai professori di dare tutto, di utilizzare al meglio la didattica a distanza e gli strumenti tecnologici, il ministero dal suo canto abbia invece dichiarato, scatenando la rabbia dei docenti precari, che non aggiornerà la lista delle terze fasce dopo tre anni, a causa della troppa modulistica e elaborazione che gli si richiede. Sempre G. commenta: C’è sempre l’impressione nonostante la ministra sia una che ha fatto la precaria, ha fatto la segretaria del MIUR ecc ecc c’è sempre l’impressione che le leggi e la gestione di questi problemi, di queste criticità sia fatta da gente che a scuola non ci sia mai entrata, sembra sempre così o che non sappia com’è la vita del precario, che non sa come funzionino le graduatorie, magari perché l’han fatto tanti anni fa e si son dimenticati non lo so, però c’è sempre questa impressione qua che in qualche modo parte della scuola che si impegna in maniera critica anche o comunque riflessiva non venga mai presa in considerazione, ecco.

Emerge in qualche modo una prima presa di coscienza da parte del corpo docenti del proprio ruolo (agency) e della necessità di  costruire legami, reti di solidarietà, alleanze con quelle componenti come le famiglie, i colleghi o il personale della scuola per affrontare la situazione e cercare di reagire a partire dalla crisi che si sta vivendo come momento di ri-progettazione e ripensamento delle alleanze all’interno del mondo della formazione. S., insegnante precaria sottolinea questa esigenza: Credo che tutti quanti abbiamo capito che isolamento e solitudine sono due cose completamente diverse: nella prima condizione ci si indebolisce, non avere rapporti solidi di rete di comunità di collettività è una cosa che fa paura. Per noi che magari la agiamo da tanto tempo sappiamo cosa significa e questi canali li abbiamo aperti. Forse questa può essere una possibilità per quelle persone che hanno vissuto la famiglia in modo troppo individuale troppo chiuso di tornare a pensare che essere felici significa condivisione, così come la libertà. C’è la necessità di innestare meccanismi di collaborazione profonda e orizzontale, nonché di ripensare il ruolo dell’insegnante all’interno della società come motore della formazione e agente trasformatore; pensarlo come un agente di cambiamento, in contrasto con la figura burocratizzata, dispersa, riproduttrice di rigidità e disuguaglianza, potrebbe essere una strada da percorrere nelle prossime fasi.

Al netto della situazione delle scuole nella prima parte dell’emergenza del coronavirus, molti sono ancora i nodi da sciogliere a ed è ancora presto per poter intravedere forme organizzative tra i soggetti che attraversano il mondo scolastico. Alcune questioni stanno però iniziando a presentarsi come punti importanti del dibattito e sui quali ci proponiamo di continuare le riflessioni a partire dall’inchiesta. Tra le più urgenti: come la gestione dell’emergenza sta contribuendo al progressivo abbandono scolastico, e quali ne saranno le conseguenze? Di fronte ai tentennamenti e rinvii istituzionali rispetto al dibattito che concerne la valutazione scolastica, quali saranno i provvedimenti riguardanti tutti i livelli del sistema-scuola?

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FONTE: https://www.infoaut.org/precariato-sociale/sulla-prima-linea-mal-formazioni-primi-esiti-dell-inchiesta-sull-emergenza-nel-settore-della-scuola


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