Il 4 Maggio si riapre.
Ma è vero che non siamo tutti sulla stessa barca.
Si deve aprire,invece, una nuova stagione di lotte.
Un contributo dal circolo anarchico Ponte della Ghisolfa – Milano.
Sulla situazione che stiamo vivendo è stato scritto e detto molto e tanto altro verrà prodotto. Questo documento non vuole aggiungere nulla ad analisi ben più articolate e argomentate. Vogliamo però porre l’attenzione su alcuni punti, per noi cardine:
1) Non siamo tutti sulla stessa barca. Come tutte le crisi, anche questa vede una piccola fetta di popolazione che ha accesso alle migliori cure mediche possibili, il cui unico problema è non fermare la produzione, aumentare il profitto e non pagare il conto all’uscita. Per tutti gli altri c’è solo sofferenza e una serie di dispositivi di controllo e di repressione, che ricordano che il conto all’uscita sarà salato e dovrà essere pagato con ulteriore sofferenza.
2) I presidi sanitari sono collassati in pochi giorni. L’emergenza di un virus sconosciuto doveva essere gestita in maniera tale da rallentare il numero dei contagi giornalieri, in modo che venissero garantite le migliori cure per tutti. Così non è stato, fondamentalmente per due motivi: la necessità di garantire continuità a questo sistema basato sul profitto e sulla produzione; un sistema sanitario al collasso, distrutto dalle politiche capitaliste che hanno fatto della salute un business.
3) I governi e i vertici del sistema capitalistico stanno approfittando della pandemia per ledere il diritto alla privacy delle persone. Da più parti proviene l’idea che sia necessario, a fini sanitari e statistici, tracciare informaticamente i contagiati (e i sani): al momento, però, non c’è alcuna sicurezza che questo approccio sia veramente funzionale al controllo della pandemia. Da un lato, si fa leva sulla comprensibile paura delle persone per scatenare l’ormai noto atteggiamento di “servitù volontaria”, per cui sono gli utenti stessi a fornire le informazioni che li riguardano; dall’altro, i maggiori player del mercato mobile si stanno attrezzando per includere direttamente nei sistemi operativi i programmi necessari alla sorveglianza. Pochi si pongono le domande fondamentali su questo tema: a chi sto regalando i miei dati? Esattamente, che dati sono? Come verranno utilizzati? Quando e come verranno cancellati? Chi può accedervi? Parallelamente, mentre i sostenitori del tecno-controllo vedono realizzarsi i loro sogni più inconfessabili, chi non ha accesso a Internet rimane totalmente tagliato fuori dalla fruizione di tutta una serie di servizi.
4) La casa per molti non è un luogo accessibile e, anche quando lo è, non è un luogo sicuro. L’emergenza abitativa continua ad esistere: migranti, rom e senza tetto continuano le loro vite precarie fra campi, centri di accoglienza e baraccopoli. È cronaca di questi giorni che i nuovi focolai sono adesso i dormitori dei senza tetto, e sono in aumento le violenze domestiche. #iorestoacasa è uno slogan classista e pericoloso per molti.
5) Le disposizioni messe in campo sembrano scritte sotto dettatura dei padroni. Il famoso lockdown ha imposto la fine della socialità, ma non certo il fermo della produzione. Secondo dati Istat, circa il 50% dei lavoratori italiani non ha mai smesso di andare a lavorare, grazie anche alle deroghe che hanno consentito ad aziende impegnate in produzioni non essenziali di proseguire la loro attività. Una reale chiusura non c’è mai stata. Lo dimostrano i mezzi pubblici affollati in orario di punta. A oggi, quindi, nei luoghi di lavoro e nelle case ci sono le maggiori possibilità di contagio. Fatta la dovuta tara per ospedali, residenze per anziani (falciati a centinaia a causa di una gestione criminale delle strutture), dei mercati di prima necessità, molti momenti di contagio potrebbero essere evitati, per ricondurre il numero di chi necessita di cure sotto una soglia gestibile, che magari consenta di mettere in campo anche risorse per chi non ha bisogno di una assistenza ospedaliera, ma banalmente di un tampone.
6) Lo smart-working è una “nuova” forma di sfruttamento. Il telelavoro ha svelato il suo vero volto. Propagandato come facilitatore per la vita quotidiana e salvavita, si è rivelato essere la forma esteriore di un lavoro che supera le 8 ore retribuite giornalmente; lavoro che non può e non deve essere contabilizzato e di conseguenza retribuito.
7) Molte disposizioni governative sono senza senso. Sembra essere pacifico che il problema siano gli assembramenti. E l’unico luogo dove è possibile evitare gli assembramenti è l’aria aperta. Che rischio possono rappresentare due persone che si parlano da due panchine diverse e magari con la mascherina? Che rischio rappresenta una coppia che passeggia in montagna? La popolazione ha dimostrato ampiamente di avere molto più buon senso di chi queste norme le ha scritte, in alcuni casi sapendo anche censurare comportamenti irresponsabili e pericolosi senza dover ricorrere alla delazione, ma con l’aiuto della ragione e dell’empatia. A tal proposito, andrebbe chiarito che la malattia pandemica che ci affligge – ormai quasi endemica – non può essere considerata un problema esclusivamente sanitario: “la società non è un ospedale”. Per affrontare questa emergenza dovrebbe essere messe in campo un ampio spettro di competenze: mediche ovviamente, economiche e organizzative (privilegiando misure persuasive e di consapevolezza, rispetto a quelle repressive) ma anche sociali e psicologiche. Le disposizioni da adottare dovrebbero tenere conto dell’impatto che queste avranno sulla società e sull’individuo. L’isolamento ha costi sociali altissimi, non a caso è aumentato il numero dei TSO e dei suicidi. Andrebbero quindi adottati strumenti di contrasto, ma anche di sostegno di diversa natura, ponendo al centro l’umanità dell’individuo e non semplicemente la sua salute fisica o peggio quella del corpo produttivo.
8) L’inquinamento e la “cultura” del cibo di scarsa qualità costituiscono un’aggravante pericolosa per la salute delle persone. Del resto chi ha un reddito basso si può permettere solo cibo “spazzatura”. Più in generale, un sistema basato sullo sfruttamento, non solo della specie umana, ma anche delle altre specie e della natura, non può che produrre danni per la salute.
9) Un probabile piano vaccinale mondiale, efficace a debellare COVID19 dalla popolazione, sarà anche utilizzato dai padroni come strumento per mantenere inalterato il feroce stile di vita della specie umana. Per evitare i fenomeni di zoonosi e le ultime epidemie, potrebbe essere utile chiudere gli allevamenti e fermare lo sterminio quotidiano di centinaia di milioni di esseri viventi non umani, anziché continuare implacabili lo sfruttamento di tutto l’ambiente e dei suoi abitanti. Ma sarà sufficiente un vaccino per continuare come prima? Inoltre, non va dimenticato che renderà immuni solo da questo virus e non da quelli che potranno arrivare.
10) La farsesca inadeguatezza del personale repressivo messo in campo. Esercito e polizia, mandati a monitorare l’osservanza dei dispositivi, si sono trovati in realtà di fronte a una popolazione collaborante (in alcuni casi anche infame) e per giustificare la loro presenza massiccia sono stati costretti ad azioni grottesche (bloccati pranzi su terrazzi, inseguimenti a runner isolati, droni che sorvolano parchi vuoti, multe a senzatetto…) ed anche a sanzionare chi andava a lavorare, perché l’azienda non aveva il codice ATECO corretto (sarà mica colpa del lavoratore?).
Per questi motivi, vorremmo lanciare una campagna che parta dalla prossima Festa dei Lavoratori e che ci accompagni per tutto il periodo dell’emergenza (che non sarà breve, a detta degli stessi esperti).
#iononriparto: contro la logica che ci sta preparando alla riapertura di gran parte delle attività produttive il 4 maggio. Contro la logica che vede contrapposti la salute e la produzione; una logica che conoscono bene molte aree di questo paese, come Taranto, e varie categorie di lavoratori, come i riders.
#iononriparto: per analizzare e prevenire il futuro prossimo, caratterizzato molto probabilmente da una grande crisi economica globale, che pagheranno i soliti noti. Sono anni che i ricchi diventano sempre più ricchi sulla nostra pelle: cominciamo col rivendicare un reddito garantito per tutte/i.
#iononriparto: come parola d’ordine per azioni di disobbedienza, di buon senso, diffuse. Appendere uno striscione in luoghi simbolo, se si è in pochi, non è un assembramento. Lasciare volantini nelle metro o sotto le pensiline di attesa dei tram, non è un assembramento. Appendere uno striscione dalle finestre o dai balconi non costituisce alcun rischio. Ricordare chi sono i responsabili di quello che stiamo vivendo, con azioni fantasiose, serve a coltivare la memoria e a raccontarla.
#iononriparto: per organizzare assemblee in radio, web radio, web tv, dirette streaming e tutto quello che vi pare, dove vi pare.
#iononriparto: per creare e dare sostegno alle casse di mutuo soccorso per chi decide di astenersi dal lavoro. È il megafono per chi lotta, nonostante tutto.
#iononriparto: per dimostrare che non siamo ubbidienti, ma coscienziosi: molto più di quanto lo sia il nostro nemico comune.
#iononriparto: per un Primo Maggio ancora di lotta e di astensione dal lavoro, il vero pericolo!
#iononriparto: per organizzarsi dal basso, per tutelarci, per dichiarare fallito questo sistema.
#iononriparto: una campagna che vuole imparare dal virus e come il virus ha la pretesa di contagiare.
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FONTE: https://ponte.noblogs.org/tag/iononriparto/