“Tutto va estremamente bene!”

La parola d’ordine di questi giorni è: “regole”.
Ad ogni cittadino modello è chiesto un grande sacrificio: ubbidire incondizionatamente ad una legge.
Ma questa legge, o meglio questo insieme di decreti che si susseguono vorticosamente, in modo contraddittorio e confusionario, ha come teatro una società che ha perso in pochi giorni le “sue certezze”.

Un nuovo virus è apparso come figlio del capitalismo, della pressione umana sulla natura, come prodotto dello sfruttamento.

Di fronte a tale virus sconosciuto la salvezza risiede nell’ubbidire alle leggi, non tanto per sviluppare l’immunità ma per indirizzare il gregge; poi, se queste leggi impongono o permettono comportamenti insensati, va bene lo stesso. In simili frangenti, cosa è più utile: riempire la testa di leggi; bombardare con la propaganda del #iorestoacasa; cantare inni dai balconi; militarizzare strade e quartieri, oppure far si che la gente comprenda quella che è la situazione reale?

Se la legge permette di fare una sciocchezza enorme, chi è abituato a ubbidire e basta, non farà altro che aderire alle nefandezze della legge.

Per questo motivo il bene più grande da coltivare in noi è la ragione, non l’ubbidienza, né il cosiddetto “bene comune”.

Ci sono tanti modi per legare l’individuo all’ubbidienza, alcuni molto evidenti, altri meno.

Quelli più subdoli e meno riconoscibili si fondano sulla volontà collettiva e sul senso di comunità.

Il più delle volte tali collettività e comunità altro non sono che il prodotto funzionale, lo strumento di rigenerazione delle gerarchie e delle catene di comando: il terreno fertile, insomma, in cui attecchiscono più facilmente le radici della sorveglianza.

Ebbene, la prospettiva di avere idee condivise e sottoscritte, attraverso una limitazione quasi totale delle responsabilità individuali, è diventata nel tempo la prassi istituzionale più chiara e semplice per l’imposizione di ogni gerarchia, di ogni dominio, di ogni sfruttamento.

Ma quali “certezze” sarebbero dunque intaccate dal DPCM del governo?

E a quale “normalità” si agogna di ritornare al più presto?

La legge, oggi, dice che in tanti devono recarsi al lavoro; governo e padroni stringono accordi con le parti sociali e si ignorano gli operai che hanno organizzato scioperi spontanei.

Lo dice la legge: pattugliati in casa e, nello stesso tempo, a lavorare in fabbricaBisogna stare in casa, ma bisogna essere presenti sul posto di lavoro e in fabbrica.

Una dimensione che ricalca perfettamente lo slogan “distanti, ma vicini”, ovvero: da soli nei rapporti di forza contro gli strumenti dello sfruttamento; comunità nell’agire in modo responsabile alle ordinanze. Non è questo uno degli obiettivi più agognati dal modello economico vigente, sia esso incarnato dallo stato, sia esso incarnato da creativi imprenditori?

Intanto, in tutta questa situazione si è spinti alla delazione, si denunciano i vicini di casa usciti fuori , magari a buttare la spazzatura, si denuncia chiunque. Giornali e affini, come sempre, ma forse oggi con più foga, sono alla ricerca della notizia sensazionale e quindi pronti a fungere da sbirri e a denunciare. Politici e aspiranti tali, vogliono trarre profitto e visibilità con opere di sciacallaggio vero e proprio. Alcuni ministri cercano di conquistare il palcoscenico comunicando in diretta le scelte del governo relative al loro settore, altri politicanti dicono tutto e il contrario di tutto pur di stare sulla cresta dell’onda parlando dagli schermi di TV locali, nazionali, internazionali. C’è chi invoca elezioni e chi dice in diretta di essere ammalato. Come al solito, padroni e politicanti, danno spettacolo delle loro vite, mentre c’è chi porta i suoi familiari in ospedale, consapevole della possibilità di non poterli vedere mai più e c’è chi muore da solo, scortato a vista nel suo ultimo viaggio, dai militari.

Approfittando delle suggestioni create, numerose aziende promuovono sul mercato le loro app, i loro droni e la loro tecnologia per aiutare governo e sbirri e controllare gli spostamenti delle persone. Pronte insomma ad assicurasi una via privilegiata nella costruzione delle nuove infrastrutture della rete digitale. Nulla di nuovo per un modello economico che da tempo sta cercando di imporre i suoi nuovi standard ed i suoi nuovi obiettivi. Il rinnovamento del capitalismo ha bisogno di mettere in quarantena le sue vecchie forme di produzione industriale e di sfruttamento delle energie. Il nuovo assemblaggio strutturale sostenibile e condiviso è già in atto. Fatto proprio e propagandato dalla associazioni più disparate in flashmob e manifestazioni “pacificate”. Resta solo da rendere i sudditi consapevoli e disposti ad accettarne i parametri comportamentali senza intoppi eccessivi.

Ad ogni modo, riteniamo importante soffermare la nostra analisi su un ramo strutturale del capitalismo: l’apparato tecnoscientifico.

“Governare significa sfruttare”, ma l’esigenza odierna del capitalismo di governare e reprimere in modo produttivo ed illimitato, presuppone la costruzione di un sistema scientifico capace di aggiornare e modificare continuamente la scelte da imporre. Inoltre, tali scelte devono essere applicate velocemente, per far questo c’è bisogno di comunità e territori capaci di introitare al meglio le esigenze dell’economia.

Una lettura superficiale di ciò che accade intorno a noi in questi giorni, potrebbe facilmente indurci a pescare in un universo letterario e filosofico, già più volte evocato e scarsamente ritornato utile ai fini di un’analisi tesa al contrattacco.

A cosa è funzionale il continuo accompagnamento della sorveglianza nelle nostre vite?

Può una telecamera o un drone, impedire una qualsivoglia azione volontaria? Assolutamente no! Può solo, in alcuni casi, dissuaderla o allontanarla altrove. Eppure l’arma della sorveglianza è nello stesso tempo spuntata e a doppio taglio.

I continui cambiamenti di contesto economico e decisionale devono prevedere o influenzare i comportamenti degli individui. Tuttavia, il livello di controllo totale non agisce sull’interiorità, ma sulla cosiddetta collettività. L’obiettivo del nemico è, dunque, modulare l’ambiente affinché risponda in un determinato modo: un ambiente che funzioni come sensore, come sonda, come polizia.

Quando l’ambiente diviene un sensore non esiste più un limite a ciò che può essere elaborato, raccolto, classificato. Nel modello disciplinare di controllo industriale, la sorveglianza si concentrava sul luogo di lavoro e sulle prigioni. Nell’era digitale l’interattività di rete annulla le differenze tra i processi di monitoraggio: la raccolta dei dati arriva a permeare una crescente gamma di spazi e attività. E alla fine il punto d’arrivo di una decisione guidata è l’automazione del giudizio. L’individuo limita la quantità di informazioni che può essere assorbita o elaborata, invece le macchine promuovono scenari di “neutralità” e “oggettività” che permettono di poter trascendere le parzialità di giudizio. Lo scopo dell’automazione è, infatti, quello di sviluppare sistemi che sostituiscano le decisioni individuali e gli istinti vitali.

Il fine non è quello di reprimere semplicemente, attraverso le forze dell’ordine, i comportamenti antisociali. Oggi si sta trasferendo all’interno delle masse l’occhio del controllo, verso se stessi e verso gli altri. Quante volte, infatti, prima ancora della diffusione del mortifero virus, isterici cittadini modello hanno prodotto filmati per denunciare le condotte ritenute moleste?

Per i Decreti Legge non è importante sapere perché non vi sono abbastanza strutture o respiratori per gli ammalati, questi ultimi che stanno vivendo sulla loro pelle, le difficoltà di questi giorni, da nord a sud, lo sanno bene. Invece è utile disciplinare al meglio le persone davanti ad un evidente “errore” del sistema operativo. Con sempre maggiore frequenza amministratori, cittadini invocano la presenza dell’esercito ma come mai, invece di fare appello a misure concrete in favore della sanità si chiede l’esercito? É presto detto: la cosa importante è che non si formino assembramenti, che non ci sia gente capace di protestare una volta che ci si sarà resi conto che in realtà, ci vorrebbero chiudere in casa ad attendere il morbo, senza cure, mentre si canta dai balconi. Cosa accadrebbe se tutti testassero con mano la mancanza di cure adeguate, che succederebbe se arrivati in pronto soccorso venti , trenta persone si vedessero, tutte insieme, rifiutate le cure perché, semplicemente, non ci sono i soldi? Cosa succederebbe se alle continue rassicurazioni seguisse la triste realtà di non potersi garantire un sostentamento quotidiano adeguato?

E’ prassi, davanti ad ogni passo in avanti della sorveglianza nelle nostre vite, alimentare un panorama visionario orwelliano per criticarne gli effetti; è consuetudine davanti all’aumento della stretta della catena dello sfruttamento, dimenticarne i responsabili: il capitale, lo stato, le istituzioni e i suoi rappresentati. E’ importante, dunque, non sminuire la concretezza dei fatti e non edulcorare la realtà.

Più i governi ricercano infallibilità e completezza delle informazioni che acquisiscono, delegando ai sistemi tecno-scientifici la ricerca di un numero di dati sempre maggiore, più incorrono in errori di valutazione, poiché il concetto stesso di “completezza dei dati” è limitante, superficiale.

Il pericolo posto dalla sorveglianza automatizzata, non è che sarà assoluta, ma che le persone possano agire come se lo fosse.

Tuttavia è importante tenere presente che la fallace neutralità delle macchine condiziona quotidianamente decisioni governative, valutazioni economiche e quant’altro. Eppure, l’ampio mercato che l’apparato industriale della sicurezza muove, è evidente. Esistono, dunque, in merito alla governance della sicurezza, un ambito economico strategico ed uno strettamente sociale che si auto alimentano e spartiscono equamente gli utili ritagliandosi ruoli determinanti nella gestione e nell’erogazione dei servizi. La sperimentazione diffusa che il capitale usa come modo per rigenerarsi ha continuamente bisogno di figure che restituiscano senso ai tentativi di riavvio della macchina ma ha anche bisogno di un ambiente addomesticato che compie scelte “sane”, “virtuose”, “comuni”, prevedibili.

Per cui, se viene chiesto di lavorare senza retribuzione è un dovere del lavoratore nei confronti dell’economia statale; se viene chiesto di lavorare in ambienti o in condizioni insalubri è un dovere nei confronti della nazione o della comunità di cui si fa parte. Anche da questo punto di vista, però, ciò che il DPCM del governo impone non è nulla di nuovo o di salvifico. Ma è la conferma dell’assassinio quotidiano che viene, da sempre, somministrato dai padroni ai lavoratori.

Probabilmente questo nuovo senso del dovere riesce a far dimenticare che ogni giorno ci confrontiamo con la morte: recandoci al lavoro; respirando aria infetta; assassinati da zelanti tutori dell’ordine.

Tutto ciò ha dei responsabili! Li conosciamo bene! E non dobbiamo dimenticare come si fa a riconoscerli: quando ci dicono che bisogna stare uniti per il bene della nazione e fare sacrifici; quando ci dicono che l’imprenditoria è l’unica salvezza dalla povertà; che la democrazia è il male minore; che un prigioniero morto in galera, si è suicidato o è morto di overdose.

Non dimentichiamo chi sono anche quando chiedono uno sforzo a tutti per arginare un’emergenza come quella in corso.

Sono gli stessi infami, gli stessi assassini di sempre.

Non dobbiamo disconoscere responsabilità specifiche attraverso la condivisione della colpa; un’arma che da mesi i governi europei e i loro servi sinistrati, stanno cercando di istillare nelle coscienze, attraverso proteste addomesticate.

Politici, padroni, sbirri, magistrati sono il virus quotidiano della nostra vita.

Il vecchio detto: “Se non hai nulla da nascondere. Non hai nulla da temere dalla sorveglianza”, rievoca implicitamente i consueti privilegi di classe.

Chi non ha nulla da temere dal sistema economico che condiziona le nostre vite è il padrone, colui che ha introitato i modi di vivere funzionali al capitalismo e li riproduce.

Non abbiamo bisogno di contare un numero maggiore di passi in un recinto per sentirci liberi.

Siamo liberi poiché non riconosciamo il diritto e la legge, sia che provengano da un’assemblea di delegati, sia che provengano da un’elaborazione di un algoritmo.

La paura con cui cercano di infettare le coscienze deve rivoltarglisi contro e chi fa sciacallaggio politico di questa situazione, cercando di promuoversi a benefattore o controllore, è complice!

Nessun ordine, nessun comunicato consolatorio e distensivo di ciò che produce il sistema economico, va salvaguardato o amplificato.

Siamo animati da una fortissima vicinanza a tutti coloro i quali stanno vivendo momenti bui, in questi giorni ed è proprio per questo che non aspettiamo silenti e indifesi, alcun ritorno alla normalità, quella stessa normalità che già combattevamo e che, sostanzialmente, non ha nulla di diverso da quella odierna.

In guerra contro il capitale ieri ed oggi!

Anarchici a Cosenza.

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