Il contagio della svolta autoritaria

Il  pretesto della pandemia mette in atto la trasformazione della cosiddetta democrazia in molti Paesi, virando verso l’ipotesi autoritaria. E in Europa il modello è guidato dall’Ungheria di Viktor Orban che agisce quasi indisturbato

2 aprile 2020, di Maurizio Sacchi e Salvo Secondini

Viktor Mihály Orbán

Adottando misure dichiarate “di emergenza”  per affrontare il coronavirus, il 1 aprile il parlamento ungherese ha votato per dare al premier Viktor Orbán il potere di governare con decreto, senza una chiara data di scadenza. La legge prevede anche il carcere fino a 5 anni per chi diffonde “disinformazione” sul virus, sia nel caso che si tratti di notizie false, sia che si tratti di notizie vere, ma interpretate in modo difforme da quanto valutato dal governo. Di fatto, una sospensione della democrazia sine die. La legge “è incompatibile con l’appartenenza all’UE”, ha dichiarato martedì 2 aprile Dacian Çiolos, ex primo ministro rumeno e commissario europeo che ora guida il gruppo liberale del Parlamento europeo. Ha aggiunto che “è vergognoso che questa terribile epidemia sia usata in questo modo”.

Reazioni ufficiali tiepide

Ma il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, pur avendo rilasciato una dichiarazione in cui chiede che tutte le misure di emergenza siano “limitate a quanto è necessario e strettamente proporzionato,  e che non durino indefinitamente” non ha mai fatto apertamente menzione dell’Ungheria. Il che rende alquanto debole la seguente affermazione: ”È della massima importanza che le misure di emergenza non siano a scapito dei nostri principi e valori fondamentali stabiliti nei trattati”.

Sophie in ‘Veld, deputato liberale olandese, che presiede il Gruppo sullo stato di diritto del parlamento europeo, ha dichiarato: “Viktor Orbán ha completato il suo progetto di uccisione della democrazia e dello stato di diritto in Ungheria. Chiaramente, le azioni del governo ungherese sono incompatibili con l’adesione all’UE “. Il presidente dei Popolari europei, Donal Tusk si limita a dire che «Orban è un amico ma non condivido i valori che rappresenta». Quindi rimane sospesa l’appartenenza dei 13 europarlamentari di Orban al gruppo di Strasburgo, congelata dal marzo 2019 proprio per la mancanza del rispetto dei valori fondamentali dell’Unione.

L’emiciclo del Parlamento Eu. Troppo tenero?

Allora a far scoppiare la crisi erano state le parole del premier magiaro contro la Commissione Ue e in particolare gli attacchi diretti e personali all’allora presidente della Commissione Junker. Si era discusso allra dell’espulsione dal gruppo dei Popolari europei, , ma scesero in campo Silvio Berlusconi, i Popolari spagnoli, i francesi di Les Republicains e la destra della Cdu tedesca nonchè la Csu bavarese. Anche oggi Berlusconi dichiara che quei poteri gli vengono conferiti dal Parlamento eletto in maniera democratica. In fondo Orban, sostiene l’ex premier, difende gli interessi del suo Paese.

Ma davanti a questa svolta autoritaria è possibile che  a Strasburgo si formi un gruppo parlamentare di sovranisti e nazionalisti, formato dai Conservatori, di cui fanno parte i polacchi di Kaczynski e gli esponenti di Fratelli d’Italia, e i leghisti di Identità e Democrazia. Il nuovo gruppo sarebbe il terzo per numero di iscritti. Da Washington è arrivato un messaggio più diretto. Ma non dal Governo Trump, bensì dal presidente della commissione per gli affari esteri della Camera dei rappresentanti  Eliot L. Engel, che ha dichiarato che Orbán sta mettendo in atto “una palese presa di potere” di fronte alla peggiore crisi sanitaria globale della storia recente. Questa legislazione emargina il parlamento ungherese e consente al primo ministro Orbán di governare con decreto come un dittatore. “Un affronto così grave alla democrazia ovunque è scandaloso, in particolare all’interno di un alleato della NATO e membro dell’UE.”

Anche Norbert Röttgen, capo della commissione per gli affari esteri del Bundestag tedesco, e candidato alla corsa per succedere a Angela Merkel come cancelliere, ha condannato la legge, scrivendo su Twitter che essa “elimina di fatto l’opposizione” e ha violato i principi di base dell’UE  “ cosa che non posso accettare“. Freedom House e Articolo 19, e altre organizzazioni non governative hanno accusato le autorità dell’UE e gli Stati membri del consiglio dei ministri dell’UE di non aver fatto sentire la propria voce, di fronte al degrado delle libertà democratiche dell’Ungheria negli ultimi 10 anni. “Il silenzio del presidente della commissione e del consiglio sono assordanti “, ha dichiarato Sophie in ‘t Veld.

Tentazioni autoritarie diffuse*

La tentazione autoritaria, e l’attacco alle libertà democratiche sembrano essere un effetto collaterale della pandemia anche fuori dall’Europa. Negli Stati Uniti, dove Donald Trump veniva dato in svantaggio di quasi dieci punti sull’avversario Biden in vista delle elezioni di quest’anno, malgrado la evidente sottovalutazione  della gravità del Covid19, i successivi cambiamenti di rotta e il drammatico diffondersi del contagio, il presidente ha recuperato buona parte dello svantaggio proprio grazie all’emergenza dovuta all’arrivo del Covid-19.

In tutti gli Stati dell’Unione, il coronavirus ha già contagiato più di 150.000 persone, è costato milioni di posti di lavoro e ha distrutto il mercato azionario. Tuttavia, le quotazioni e del presidente sono più alte che mai, nonostante la maggior parte degli intervistati concordi nel considerare  lente le sue reazioni nel gestire la crisi,  sia cosciente del suo ripetere falsità sul virus, della sua propensione a spingere idee e soluzioni che contraddicono il parere degli esperti, e la sua abitudine di scagliarsi contro i governatori in prima linea.

I sondaggi danno Trump al 49 percento, pari ai momenti  migliori della sua presidenza. Mentre le opinioni dei repubblicani su Trump rimangono invariate, l’approvazione degli indipendenti è aumentata di otto punti percentuali dall’inizio di marzo, mentre l’approvazione da parte democratica è aumentata di sei punti percentuali. Gli esperti nel commentare il sondaggio affermano che è normale che il Paese si raduni attorno a un presidente durante una crisi nazionale, e che l’onnipresenza  di Trump sulle onde radio sia sufficiente a influenzare una fetta di elettori che normalmente non si interessano di politica.

Il buon esempio di Israele

Un altro esempio di come l’emergenza possa favorire in senso autoritario un governante in crisi lo dà Israele. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha recentemente autorizzato la Israel Security Agency a impiegare la tecnologia di sorveglianza, normalmente riservata alla lotta contro i terroristi, per rintracciare i pazienti affetti da coronavirus. Quando la sottocommissione parlamentare competente si è rifiutata di autorizzare la misura, Netanyahu l’ha approvata con un “decreto di emergenza”. E se ci spostiamo ancora più a oriente i casi non mancano.

 

La gestione autoritaria non è una novità in Asia: dalla Cina alla Thailandia, da Singapore all’India, per altro definita la più popolosa democrazia del mondo. E il coronavirus sembra aver rafforzato sia le gestioni dirigiste correnti sia le tendenze autoritarie come è appunto il caso dell’India, attraversata da contestazioni in tutto il Paese ben prima del virus e represse nel sangue e che proprio in questi giorni sta modificando le leggi in Kashmir a favore di un rafforzamento della presenza indù nella regione a maggioranza musulmana.

Il caso birmano e tailandese

Il decreto birmano

In Asia orientale la preoccupazione maggiore riguarda due democrazie molto fragili e tradizionalmente ostaggio della casta militare che, nel caso della Thailandia, vede una ferrea alleanza tra esercito e monarchia. Il 24 marzo il generale Prayut, divenuto primo ministro tra forti contestazioni l’anno scorso, ha proclamato lo stato di emergenza per via del virus. Sarebbe esagerato dire che i militari tailandesi, in parte estromessi dal parlamento col recente voto popolare, si siano ripresi il potere ma gli osservatori sono preoccupati dei possibili lasciti della decisione una volta che l’emergenza sarà finita. Preoccupazioni che riguardano soprattutto la libertà di stampa  e limitazioni contro le fake news che lasciano un interrogativo: chi decide cosa è una notizia censurata per evitare il panico?

Nel Myanmar il caso è ancora diverso. Il 30 marzo è stato creato un comitato civile-militare per gestire l’emergenza e Tatmadaw, l’esercito, ha fatto sapere di “essere pronto”. Ma pronto a cosa in presenza di una democrazia fragilissima sotto ricatto da parte dell’esercito in grado di bloccare qualsiasi legge in parlamento?  Per ora Aung San Suu Kyi, premier de facto, rassicura: tutto sarebbe sotto controllo. Ma la tentazione potrebbe essere forte. Lasciare le norme dello stato d’emergenza anche quando l’emergenza sarà terminata e, per cominciare, mostrare il muso duro. E’ di oggi la notizia che l’esercito – non il governo – ha rispedito al mittente le proposte di cessate il fuoco dei gruppi armati ribelli.

* Il dibattito è molto acceso anche in Europa nei singoli Paesi dove si teme che leggi speciali emergenziali possano lasciare strascichi nella vita democratica. Qui diamo solo conto delle svolte – reali o possibili – già in atto in maniera evidente.

 

 – In copertina un blindato dell’esercito scortato dalla polizia ungherese –

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FONTE: https://www.atlanteguerre.it/ungheria-il-virus-della-dittatura/

 


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