In un comunicato ufficiale il Centro palestinese per i diritti umani (PCHR) ha affermato di “essere preoccupato per la situazione sanitaria nei Territori occupati, in particolare nella Striscia di Gaza, e per la situazione dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane in caso di epidemia di coronavirus”. Preoccupazioni che si uniscono ad un appello da parte dei prigionieri riguardo alle “gravi carenze in materia di prevenzione e contrasto del contagio” da parte dell’amministrazione carceraria di Tel Aviv. “Se l’amministrazione carceraria non prenderà dei provvedimenti seri” afferma il comunicato “le celle di reclusione diventeranno le nostre tombe”.
Il numero dei casi positivi è salito in Israele a 3865, con 12 decessi, numeri che sono triplicati negli ultimi 10 giorni. Difficoltà nel contenimento del virus da parte del governo israeliano che, ovviamente, coinvolgono anche le sue strutture carcerarie. Secondo Addameer, ong palestinese per i diritti dei detenuti, nelle carceri israeliane ci sono ad oggi circa 5400 prigionieri palestinesi (tra cui 60 donne, 127 minorenni e 19 giornalisti). Tra questi oltre 500 sono in detenzione amministra, una procedura – illegale per il diritto internazionale – che consente all’esercito israeliano di trattenere una persona per un periodo massimo di 6 mesi, rinnovabile a tempo indeterminato, senza accusa né processo.
Secondo Amnesty International in Israele sono costantemente violate le norme che regolano i procedimenti giudiziari, la tutela della salute, la dignità della persona e la sua integrità fisica e psichica. Le celle mancano dei requisiti igienico-sanitari e sono insalubri, i prigionieri subiscono punizioni collettive, sono soggetti a irruzioni notturne da parte delle guardie carcerarie con maltrattamenti e abusi sistematici, anche su donne e minori.
La negligenza medica è comune nelle carceri israeliane. Come riferisce Addameer i medici e il personale sanitario delle carceri “sono famosi per la trascuratezza e la mancanza di professionalità con cui trattano ed assistono i prigionieri palestinesi che richiedono cure ed assistenza sanitaria”. Dentro le prigioni ci sono diverse centinaia di prigionieri affetti da varie problematiche sanitarie, alcune delle quali anche gravi. Molti hanno problemi respiratori e cardiaci, per non parlare di quelli che sono colpiti dall’ipertensione, dal diabete o da molte altre patologie croniche (circa il 15%, ndr).
Preoccupazioni che sono inevitabilmente aumentate con la notizia, da parte di vari organi di informazione palestinesi, che 4 prigionieri palestinesi della prigione di Meggido in Israele hanno contratto il coronavirus. Secondo la Palestine Prisoner’s Society, l’infezione è iniziata “dopo il contatto tra un prigioniero e un investigatore israeliano contaminato”. “La negligenza sanitaria e il ritardo nelle cure perseguitano da sempre i prigionieri palestinesi con almeno una 60 di vittime in questi anni” afferma la Palestine Prisoner’s Society “figuriamoci ora che le autorità sanitarie israeliane hanno già dichiarato di non essere in grado di curare tutti i pazienti colpiti dal virus”.
Nel loro appello i prigionieri palestinesi affermano che l’amministrazione carceraria israeliana non fornisce nulla: nessun mezzo per la sterilizzazione e nessuna mascherina. “L’unico nostro contatto col mondo esterno è rappresentato dai nostri carcerieri che non esitano ad entrare in contatto con noi, senza rispettare la distanza di sicurezza, con il rischio appunto di contagiarci” dichiarano i prigionieri.
“Il nostro è un grido di protesta rivolto al mondo intero e a tutte le persone libere” conclude l’appello dei detenuti palestinesi “per far conoscere la nostra situazione di pericolo, senza alcuna misura protettiva nei nostri confronti col contagio che si sta propagando”.
1 aprile 2020