L’ospedale in Fiera: ovvero, dei vuoti e della gestione dell’emergenza sanitaria in Lombardia

E’ passato un mese da quando i primi casi di contagio da Covid19 si sono manifestati in Lombardia. In questo mese abbiamo assistito a un profluvio di dichiarazioni, allarmi, smentite, promesse, lamentele da parte del Presidente della Regione Fontana e dall’Assessore alla Sanità Gallera rispetto a priorità, competenze, azioni da intraprendere. Un fuoco di fila di dichiarazioni, ben spalleggiati in questo da quelle, spesso contrastanti o divergenti, che venivano dal Governo o dal Sindaco Sala. Mentre la diffusione del virus cresceva e con essa i morti, le Istituzioni locali e nazionali e la Protezione Civile giocavano a rimpallarsi doveri e responsabilità anziché agire con prontezza e immediatezza, anche su aspetti basilari ma fondamentali come la disponibilità di mascherine.

Ancora una volta stiamo assistendo di fronte a gravi emergenze, a comportamenti a dir poco discutibili da parte dei poteri Istituzionali, più attenti a guadagnarsi la ribalta con la sparata, il video (memorabile la mascherina mal indossata da Fontana che si impone l’auto-quarantena), l’accusa del giorno. Una cortina fumogena che, al pari di quella generata quotidianamente da gran parte dell’informazione mainstream sull’emergenza Covid19, ha contribuito non poco a creare disorientamento e confusione nella comunicazione. Soprattutto in Lombardia questo flusso mediatico è servito da subito a nascondere quelle che giorno dopo giorno diventavano sempre più evidenze: i profondi limiti e i vuoti (non di oggi, ma realizzati e alimentati in 25 anni di governo ininterrotto della Regione da parte di Lega e Forza Italia) di quello che era considerato uno dei modelli sanitari migliori del paese, depredato da decenni di tagli e scelte a favore della Sanità privata, incapace anche di fornire le protezioni minime indispensabili al personale sanitario e medico e di mettere veramente in sicurezza gli ospedali dal rischio diffusione contagio; il privilegio costante ai profitti delle imprese a discapito di misure che potessero contenere in maniera più efficace il propagarsi del virus.

Una delle vicende emblematiche è quella della terapia intensiva, ma anche delle capacità di accoglienza per pazienti meno gravi o semplicemente da sottoporre a quarantena. Di fronte alla scarsità di posti per fronteggiare l’emergenza, la scelta subito sbandierata da Fontana e Gallera (Presidente di Fiera Milano Food System Spa dal 2007 al 2010 tra le tante cose) è stata quella della “grande opera”, l’ospedale dedicato ai pazienti Covid19 da realizzare dentro i padiglioni della Fiera di Milano. In una Regione con decine di strutture ospedaliere pubbliche inutilizzate e vuote e con altrettante strutture private che si sarebbero potute requisire (come ha fatto il Governo spagnolo) la scelta poteva essere differente. Ma nella migliore tradizione del nostro Paese, alle emergenze corrispondono sempre “grandi opere” e “uomini della provvidenza” che devono realizzarle.

Quella che segue è la cronaca di questa vicenda fino a oggi.

Giovedì 20 febbraio: il “Paziente Uno” finisce in terapia intensiva a Codogno.

Sabato 29 febbraio: l’Assessore Gallera confida alla stampa il suggerimento dell’OMS, ovvero realizzare un ospedale interamente dedicato a pazienti che hanno contratto il Covid19.

Venerdì 6 marzo: annunciato nell’ospedale militare di Baggio un reparto interamente dedicato ai contagi, 60 posti letto poi divenuti 50 poi divenuti 16, di cui 8 militari (personale sanitario). Il 13 marzo chiude.

Giovedì 12 marzo: accordo Regione/Governo (Protezione Civile) per allestire in Fiera un ospedale dedicato contenente 600 posti letto da montare in 7 giorni. La vecchia fiera del Portello forse non è il luogo migliore possibile, essendo in mezzo alla città, ma i suoi padiglioni sono gli unici spazi strutturalmente inutilizzati della Fiera.

Sabato 14 marzo: il Presidente Fontana decide di affidare il progetto ad aziende italiane e operatori internazionali disponibili a fornire in breve tempo tutte le attrezzature necessarie. Il 16 marzo, in compagnia di Pazzali (Fiera Milano Spa), Bertolaso (fresco dall’aver battezzato la fine dell’epidemia in qualche giorno, con l’arrivo del caldo) e Gallera dichiara che con l’aiuto dei privati il nuovo ospedale sarà attivo in 7 giorni, in tempi cinesi. I posti in terapia intensiva diventano 400. Spesa: 10 milioni di euro, pagati da Berlusconi Silvio. Servirà anche al resto d’Italia. Nel mentre, il sistema per la gestione dell’emergenza “Cross” della protezione civile sposta dai 60 ai 70 ricoverati al giorno dalla Lombardia al Sud.

Martedì 17 marzo: il supercommissario Arcuri garantisce massimo sostegno al progetto.

Sabato 21 marzo: Cracco cucina per gli operai della Fiera impegnati nell’impresa (vuoi mettere il rischio di contaminarti a fronte della fortuna di avere uno chef stellato che fa da mangiare…).

Domenica 22 marzo: i posti in terapia diventano, ad opera ultimata (senza specificare quando) 200/250, in 7 giorni i primi 40 posti.

Lunedì 23 marzo: in un video promosso dal Corriere della Sera, Guido Bertolaso fa visita ai lavoratori vantando un curriculum importante nel campo della gestione delle disgrazie e chiede ai lavoratori di andare da lui se c’è qualcosa che non va. Lo ricordiamo in parte questo curriculum, a uso e consumo di chi ha la memoria corta. Bertolaso è quello che doveva gestire l’emergenza rifiuti in Campania nel periodo 2006-2010, quello delle ecoballe e delle discariche in mezzo alle case. Bertolaso è anche quello che gestì l’emergenza post-terremoto a l’Aquila e la gestione della riunione del G8 che venne svolta nel 2010, ricordate le new town, le famiglie che dopo anni vivono ancora in container, una ricostruzione gestita manu militari espropriando di fatto la città ai suoi abitanti per anni? Incarichi ed emergenze finite nelle aule di tribunale, inchieste, opere mai realizzate, costi oltre l’accettabile. Questo il curriculum di chi chiede se qualcosa non va.

Qualcosa che non va?

Martedì 24 marzo: Bertolaso annuncia di essere risultato positivo al virus e di doversi mettere quarantena. Praticamente il giorno prima ha potenzialmente contagiato tutte le persone incontrate durante la visita ai lavoratori e l’Ospedale Fiera è già contaminato prima ancora di vedere la luce.

Mentre la Regione sta impiegando lavoratori h24 per realizzare la propria personale grande opera in una struttura non più utilizzata (anzi sarebbe meglio dire un vuoto a perdere) di proprietà di una sua controllata (Fiera Spa), negli ospedali lombardi mancano respiratori, medicinali, posti per la terapia intensiva, l’assistenza medica e infermieristica sono garantite con doppi e tripli turni del personale in dotazione, ci si appella a personale proveniente in aiuto da Cina, Cuba, Venezuela, le altre regioni d’Italia ed ora pure la Germania stan prendendosi cura dei pazienti che non riescono ad essere curati nel Comune in cui domiciliano.

A Madrid un’idea simile è stata realizzata nell’ancora utilizzata IFEMA e in due giorni dall’annuncio sono stati trasferiti i primi 1.300 pazienti con lievi sintomi e si lavora per creare in pochi giorni 5.500 nuovi posti letto.

IFEMA adibito a ospedale d’urgenza

Questa crisi avrebbe dovuto aprire una seria riflessione circa i limiti e le mancanze dell’approccio sanitario regionale e nazionale, non solo a livello di strutture e risorse (su cui già abbiamo detto), ma anche e soprattutto sul tipo di approccio e di preparazione del nostro sistema: come hanno suggerito alcuni medici in prima fila negli ospedali di Bergamo, “I sistemi sanitari occidentali sono stati costruiti intorno al concetto di patient-centered care (un approccio per cui le decisioni cliniche sono guidate dai bisogni, dalle preferenze e dai valori del paziente, ndt). Ma un’epidemia richiede un cambio di prospettiva verso un approccio community-centered care. Stiamo dolorosamente imparando che c’è bisogno di esperti di salute pubblica ed epidemie” [1].

Ben venga qualunque soluzione che vada nella direzione di salvare vite, ma non quelle fatte per sanare bilanci e rinforzare legami clientelari che poco hanno a che fare il radicale cambio di paradigma e cultura che questa crisi epidemiologica richiede.

NOTE:

[1] https://bgreport.org/lettera-dei-medici-dellospedale-papa-giovanni-xxiii-bergamo.html

 


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