29 ottobre 2020
Il fenomeno dell’accaparramento di terre coltivabili da parte di grandi compagnie straniere porta fame, violenze, repressioni, sgomberi e perdita dei mezzi di sostentamento per i piccoli agricoltori nei paesi in via di sviluppo. Un nuovo colonialismo perpetrato in questi anni dai grandi colossi multinazionali con la complicità dei governi neoliberisti e di enti internazionali come l’Unione Europea, la Banca Mondiale e il Dipartimento per lo Sviluppo Internazionale del governo del Regno Unito.
Tra i primi a denunciare pubblicamente questa pratica è stato “Dead Donkeys Fear no Hyenas”, un documentario del regista svedese Joakim Demmer uscito qualche anno fa. Il documentario metteva in evidenza come la Banca Mondiale è stata complice di questa pratica in Etiopia, supportando il programma di sviluppo “Protezione di servizi di base” con miliardi di dollari, risorse finite nelle mani del regime usate per mandare via le persone limitando gli aiuti solo ai nuovi insediamenti. La Banca Mondiale era informata della situazione sin dall’inizio e, dopo aver avviato un’inchiesta, ha ignorato le testimonianze degli abitanti locali.
Creazione di nuovi poveri, esaurimento delle risorse, espulsioni, migrazioni, minaccia al benessere delle generazioni future e minaccia all’identità culturale dei popoli indigeni che non hanno più accesso alle terre legate alla loro storia. Questo è il land-grabbing, a cui si aggiungono inquinamento, perdita di fertilità dei suoli, produzione di scarti e veleni infatuati dalla “Rivoluzione verde” sponsorizzata da Bill Gates. A denunciarlo oggi è la terza edizione del rapporto “I Padroni della Terra” a cura della Focsiv, che conta più di 80 organizzazioni che operano nel mondo per promuovere la lotta alla povertà e all’esclusione. Secondo i dati sono 80 milioni di ettari di terra concessi e più di 2.000 contratti frutto dell’espropriazione di terre, mentre tra il 2019 e il 2020 si è registrato un incremento di 8 milioni di ettari. Gli investitori maggiori secondo la piattaforma Land Matrix, quest’anno, provengono principalmente da Cina, Stati Uniti, Canada e Regno Unito, Svizzera e Spagna. I “paesi obiettivo” risultano essere Perù, Federazione Russa, Repubblica Democratica del Congo e Ucraina e gli investimenti maggiormente registrati passano dalle miniere alla produzione alimentare, dai biocarburanti alle concessioni forestali, fino a zootecnia intensiva e all’industria.
Anche con l’emergenza sanitaria da Covid-19, il land-grabbing non si è fermato, anzi, secondo Focsiv, i fenomeni di accaparramento di terre ed epidemie sono in qualche modo correlati. Il documento sottolinea come il land grabbing spinga alla produzione di monocolture, all’estrazione di risorse naturali e allo sfruttamento di terra e acqua. Questi elementi, a loro volta, condurrebbero alla perdita di biodiversità, deforestazione e all’innalzamento delle temperature, favorendo la diffusione e la mutazione dei virus. Nello studio emerge la responsabilità dell’uomo nel cambio di uso del suolo e nella distruzione degli habitat naturali, favorendo la zoonosi, ovvero la trasmissione di malattie da animali all’uomo.
Il rapporto pubblicato approfondisce anche casi specifici, tra questi l’estrazione di cobalto nella Repubblica Democratica del Congo, l’estrattivismo di petrolio e minerali in Perù e gli investimenti terrieri in Camerun e Angola. Non a caso questo fenomeno di espropriazione è un modello di sviluppo fondato sull’estrattivismo, sullo sfruttamento e la depauperazione dell’ambiente e contribuisce a ridurre la biodiversità.
La seconda parte del rapporto si concentra invece sull’analisi della complessità del fenomeno ed approfondisce la relazione esistente tra accaparramento, commercio internazionale e trattati di libero scambio, indagando anche le connessioni tra terrorismo, migrazioni e conflitti fondiari.
Si parla del Nord del Camerun, in cui i fenomeni migratori interni al paese e in Africa generano tensioni sulla terra. Costretti ad abbandonare le loro terre le popolazioni si spostano in altre aree occupando altri terreni a scapito delle popolazioni locali, innescando una vera e propria guerra tra poveri senza fine. L’occupazione di terra da parte del gruppo terroristico Boko Haram ha causato lo sfollamento di decine di migliaia di persone che hanno passato il confine tra Nigeria e Camerun occupando per necessità territori già abitati, analizzando come si siano generate tensioni e piccoli conflitti regionalisti tra comunità locali e rifugiati. Risultato: i movimenti terroristici e i signori della guerra, legati a interessi economici, occupano terra, a danno delle comunità locali.
Investimenti falliti si sono verificati invece in Angola, in cui i colossi multinazionali non sono riusciti a raggiungere gli obiettivi che avevano previsto seppure gli impatti negativi per le popolazioni locali si sono ugualmente verificati: perdita di terre coltivabili, assenza di compensazioni, sfruttamento dei terreni e successivo abbandono. In Angola 8 progetti su 14 sono stati portati avanti da esponenti degli organi statali e delle forze armate e sono falliti nel momento in cui gli imprenditori hanno lasciato la loro posizione di potere. Secondo Andrea Stocchiero, curatore del rapporto, dietro ai progetti si celano corruzione e fughe di capitali ai danni del Paese. Nonostante ciò, secondo la Banca Mondiale i governi non consentono alle multinazionali e alle imprese locali di portare a termine gli investimenti e quindi lo sviluppo.
Un altro infelice scenario si vive in Amazzoni in cui le operazioni delle compagnie petrolifere minano le lotte di popoli indigeni e dei movimenti popolari. Il rapporto non a caso è dedicato ai 472 leader indigeni e difensori dell’ambiente uccisi tra il 2017 e il 2019, per essersi opposti allo sfruttamento e all’inquinamento di terre e acque. Tra il 2020 e il 2019 sono stati assassinati molti leader indigeni del popolo Guajajara a colpi d’arma da fuoco: i guardiani della foresta Paulo Paulino, Laércio, Firmino Prexede, Raimundo Benício e Zezico Guajajara. La loro colpa era quella di voler difendere le loro terre ancestrali da allevatori e taglialegna e aver denunciato le violenze contro le tribù indigene generate dall’incapacità dello Stato di adempiere al proprio dovere di proteggere i territori brasiliani. Sonia Guajajara, principale leader del gruppo indigeno e candidata vicepresidente nel 2018 con il Psol è da anni che afferma che l’invasione dell’Amazzonia viene sostenuta dal governo Bolsonaro, nonostante la mobilitazione dei movimenti dei popoli indigeni ed è risultato molto difficile riuscire a perseguire le imprese multinazionali dove hanno origine e a livello internazionale, dove i tribunali non consentono ancora di ottenere giustizia.
Tra le raccomandazioni evidenziate dalla Focsiv ci sono: il sostegno alle lotte e ai movimenti sociali; l’applicazione delle linee guida del Comitato per la sicurezza alimentare mondiale a tutela dei diritti sulla terra; la protezione della biodiversità e difesa dei popoli indigeni; l’introduzione di clausole vincolanti per il diritto alla terra nei trattati commerciali; l’accesso alla giustizia per le comunità locali.