Una app non ci salverà: tracciamo i contatti per ritracciare la rotta

23 aprile 2020

Contact tracing e fase 2: il grande assente è la sanità pubblica

L’idea che ci siano strumenti che funzionino sempre per tutti e tutte, ovunque, che non richiedano conoscenze o infrastrutture aggiuntive, che siano equi e giusti e che proteggano la privacy degli utenti in ogni momento, è una favola che ancora non è diventata realtà. Questo il suggerimento che ci arriva dall’ONG Tactical Tech in un lungo articolo che significativamente è intitolato Technology is stupid1 – cui aggiungono anche il necessario corollario relativo al fatto che, sebbene sia stupida, tuttavia non è mai neutrale: dipende da chi la crea, da chi la utilizza e soprattutto dal contesto socio economico in cui è inserita.

Il dibattito di questi giorni riguarda l’app di contact tracing finalmente annunciata dal governo – o meglio dal Commissario per l’emergenza – ignora questo assunto di base, partendo invece dal presupposto che la tecnologia possa essere l’elemento centrale nel contenimento e nel futuro debellamento dell’epidemia di Covid-19. Una specifica narrazione pubblica a sostegno è stata costruita fin dai primi giorni dell’emergenza, quando si riportavano esempi di paesi che, nel rispetto degli assunti liberali e della privacy, erano riusciti a tenere basso il numero di contagi e decessi proprio grazie a un’azione integrata al cui centro vi erano i mezzi offerti dal digitale per risolvere il principale enigma di ogni epidemia: la ricostruzione dei contagi passati e la previsione di quelli futuri, per poter eliminare il principale veicolo tramite cui il virus cresce e prolifera – appunto, il contatto sociale e la vicinanza dei corpi. Eppure, con un misto di distorsione della realtà – il “modello Corea del Sud”, il “modello Singapore”: descrizioni più figlie dello storytelling piuttosto che dell’evidenza scientifica e sociologica – e di linguaggio neo-clericale – il padroneggiamento del discorso tecnologico, come quello economico, è prerogativa e privilegio dei tecnici, il nuovo clero appunto, a cui ci affidiamo nella garanzia che la nostra sfera individuale sia protetta – come abbiamo già evidenziato i grandi assenti sono la sfera sociale e politica.

Un’applicazione di tracciamento contatti in un progetto di contenimento epidemiologico risulta efficace o meno a seconda del contesto in cui si trova a operare: che farsene dei dati raccolti? A servizio di quale modello di cura e sanità vengono utilizzati? Di quale ecosistema e cultura di salute pubblica diventano elementi?

Qualunque discorso su contact tracing e tecnologie in Italia non può prescindere dalla dismissione, devastazione e saccheggio del sistema sanitario pubblico. Qui sono infatti due i principali processi che danno forma all’architettura della sanità:

  • Il processo di privatizzazione ed esternalizzazione di ospedali e strutture mediche sui territori (avviato con la riforma del 1992 – d.l. 502/92), con il passaggio dal principio di universalismo della cura e dell’assistenza per tutta la popolazione a quello dell’aziendalizzazione, che ribalta il rapporto fra committenza ed erogazione del servizio sanitario e imponendo di fatto l’approccio neoliberista del New Public Management anche al welfare ospedaliero con l’istituzione delle A.O. – Aziende Ospedaliere – e la sostituzione delle Unità Sanitarie Locali (USL) con le Aziende Sanitarie Locali (ASL), gestite da un manager.
  • La regionalizzazione imposta con la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha permesso una differenziazione sempre più marcata nell’organizzazione dei sistemi sanitari regionali, accelerando una vera e propria spartizione dove le ATS vengono utilizzate come centrali di appalto ed erogatrici di servizi collegate alle AO.

La Lombardia, fra tutte le regioni, è quella che meglio dimostra la trasformazione in senso clientelare, dove notabilato politico e manager ospedalieri hanno di fatto subordinato la cura all’imperativo dell’attivo nei bilanci: qui infatti è stato sposato un sistema a sanità contrattata ed esternalizzata, dove l’erogazione del servizio viene posto su un mercato dove AO pubbliche e private agiscono alla pari e dove ASL (ora Agenzie di Tutela della Salute – ATS) e AO sono totalmente separate.

Numero di posti letto per pazienti acuti in Italia, dal 1980 a oggi (Organizzazione mondiale della sanità)

Cosa ha significato nel tempo tutto ciò, a livello nazionale e locale? Nel 1981 in Italia si potevano contare 530.000 posti letto negli ospedali, oggi sono meno di 215.000; i posti letto per i casi acuti sono passati dal 1997 al 2015 da 575 ogni 100.00 abitanti ai 275 attuali2 (164.000 in totale), mentre per la terapia intensiva sono poco più di 3.700, 5.300 se consideriamo anche le strutture private (8,4 ogni 100.000 abitanti). Nel 1983 c’erano 642 USL in tutta Italia (99 in Lombardia), che amministravano anche i grandi ospedali; nel 2017 le ASL sono scese a 973 (8 in Lombardia), mentre si sono costituite 99 aziende ospedaliere autonome in grandi comparti e istituti, parallelamente alla crescita della sanità contrattata rispetto a quella universalista. Questo ha comportato anche la drastica perdita di posti di lavoro ( -46.000 dal 2009 e il 2017 ) e di personale nella sanità territoriale. Nel 2015, il DM 70/2015 che accompagnò la chiusura di decine di ospedali che non rispettavano i “criteri di efficienza”, prevedeva anche come contropartita l’implementazione di una più capillare rete di medicina di base territoriale, per la presa in carico di pazienti cronici con multimorbilità e un potenziamento della capacità di assistenza domiciliare e personalizzata. Indicazione rimasta di fatto lettera morta.

In Lombardia non è “scoppiata una bomba atomica”, come dichiarato dall’assessore Gallera, ma abbiamo pagato un prezzo più alto causato sicuramente da un sistema impreparato ad accogliere un’emergenza sanitaria di massa e non costruito per curare un numero imponente di persone. In questo contesto, l’app Immuni – così come quella avviata unilateralmente dalla Regione, allertaLom – rappresenta uno degli strumenti da integrare nell’ecosistema medico-sanitario e non a sostituzione di questo. Nello specifico della pandemia, oltre alle mancanze strutturali e che dovrebbero divenire punto di partenza di qualunque piano sul futuro, non è chiaro quali siano le misure e le risorse messe in campo, quali i protocolli da adottare.

Rileviamo infatti nel disastro lombardo – che è regionale (giunta Fontana) e metropolitano (giunta Sala), non dimentichiamolo – in particolare alcune gravi mancanze di cultura, metodo e mezzi: se, tra i contagiati, l’ospedalizzazione riguarda circa il 20%-30% allora significa che tra il 70 e l’80% dei malati rimane sul territorio, affronta il decorso a casa, da solo; i conti ufficiali considerano gli ospedalizzati e la percentuale minima di non ospedalizzati che vengono intercettati dalla statistica, mentre la restante parte – il sommerso su cui insistiamo da tempo – non solo viene ignorata ma non può nemmeno essere raggiunta e curata in assenza di strutture territoriali e di una cultura sanitaria community-oriented4. Errori sono stati commessi anche rispetto alle indicazioni sui soggetti a cui fare il test, così come ritardi di una media di 3,6 giorni nella fase iniziale del contagio (quella esplosiva) nella registrazione del nuovo contagio – non sappiamo ancora su quale base5.

Ricapitolando dunque: a cosa serve una app in un contesto del genere? Come abbiamo già avuto modo di dire, della politica delle 3 T – Test, Tracing, Treat – o delle 4 D della “via lombarda alla libertà” – Distanza, Dispositivi, Digitalizzazione, Diagnosi – la dimensione del tracciamento e della sola digitalizzazione da sole possono fare davvero ben poco. Per concludere riprendendo i due miti narrativi dei sostenitori del “tecno-soluzionismo”, Corea del Sud e Singapore, proprio da qui ci arriva l’indicazione che la sorveglianza di massa non è per forza la panacea che stiamo cercando: mentre sul modello Seul si può dire che, senza entrare nei dettagli delle ombre e crepe anche lì presenti, il C.T. era affiancato anche a una applicazione su larghissima scala dei tamponi (20mila al giorno dopo la prima settimana6), Singapore, nonostante l’uso massivo di app simili a Immuni, il contagio non si è fermato e anzi la situazione appare talmente fuori controllo che il governo ha prolungato in modo ancora più stringente le misure di lockdown7 fino al prossimo 1° giugno (invece di interromperlo al 4 maggio come inizialmente previsto).

Il Covid-19 sembra molto simile a quei iperoggetti di cui ha parlato il filosofo ecologista Timothy Morton8, a proposito di quei fenomeni e processi fisici, oggettuali e oggettivi, che nel nostro tempo di crisi hanno assunto una dimensione tale da non poterla concepire, eppure ci assorbono e determinano la forma e il modo del nostro vivere. Il riduzionismo tecnologico alla base del contact tracing appare dunque come una risposta semplice a un problema complesso e articolato, una tecnologia in sé stupida – per riprendere Tactical Tech – ma politicamente ed economica orientata.

Il dibattito pubblico: oltre tecnicismi, anonimato e privacy

Il dibattito mainstream, dope aver dato quasi per scontato le proprietà salvifiche dell’app, ha spostato subito l’attenzione a livello di anonimato, di tutela della privacy e tecnicismi (GPS, Bluetooth, Daily tracing key, pseudo random key, etc).

Consapevoli della loro importanza e consapevoli anche che “non esistono tecnologie di controllo che siano anche etiche”9 crediamo sia più opportuno, ad oggi, sviscerare invece altri 3 argomenti rimasti in penombra.

(Per approfondimenti su anonimato e privacy consigliamo i seguenti link [decentralized] [applegoogle] [eff] [ccc])

  1. Per fare in modo che l’app sia utile si dice dovrà essere usata da circa il 60% della popolazione. Una ricerca del Pew Research Center10 evidenzia come in Italia circa il 72% della popolazione abbia uno smartphone, il 20% abbia un dumbphone e l’8% non lo possieda un telefono. Se a questo aggiungiamo che l’app sarà compatibile sono con le versioni più recenti di Android e iOS, necessarie per sfruttare a pieno la tecnologia Bluetooth Low Energy (se presente), e che tra la fascia più a rischio non c’è una alta penetrazione tecnologica, il raggiungimento dell’obiettivo pare molto difficile.
    L’app verrà dunque resa obbligatoria? Molto probabilmente no. Sia a livello europeo11 che all’interno della task force governativa12 sembra non ci siano dubbi su questo punto.
    Dunque, in una situazione ideale per lo Stato, ci vorrebbe una presa in carico di responsabilità della popolazione, una responsabilità che si fonda sulla fiducia reciproca, che a sua volta si costruisce su un dialogo trasparente. Fino ad ora però l’apparato statale ha tenuto la popolazione a distanza: poche informazioni e molto confuse ma soprattutto ha puntato sulla strategia della colpevolizzazione dell’individuo tramite la delazione. Chi non usa l’app sarà il nuovo runner e, pur non essendoci un obbligo legislativo, ce ne sarà uno sociale13.
  2. Si è parlato molto dell’app e delle possibili soluzioni tecnologiche che adotterà e su chi la svilupperà. In gergo informatico l’app viene chiamata anche front-end e di solito comunica con un back-end o, se vogliamo semplificare, con un server. Che l’approccio sia centralizzato o decentralizzato, comunque sarà necessario un server. Farà parte di una infrastruttura governativa o commerciale (es: Amazon)? Come interagisce con l’app? Chi lo gestirà? Chi avrà accesso? Al momento non è dato sapersi, nei documenti troviamo riferimento solo ad un generico soggetto pubblico.
  3. L’utilizzo dell’applicazione e quindi anche i salvataggio dei dati raccolti dureranno fino alla fine epidemia. Questo pone un orizzonte temporale estremamente vago e presuppone un ritorno alla tanto agognata normalità, messa già in dubbio da una probabile seconda ondata ad Ottobre. Il rischio che l’emergenza diventi quotidianità è evidente e l’app potrebbe essere uno di quegli strumenti che ci porteremo dietro per molto tempo.

PEPP-PT, DP-3T, Apple/Google: tra i due litiganti il terzo gode

PEPP-PT, acronimo di Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing, è un consorzio di Istituti di ricerca, Governi (Italia, Francia, Germania), università e aziende lanciato il primo Aprile 2020 con sede legale in Svizzera. L’obiettivo è di “fornire standard, tecnologie e servizi a paesi e sviluppatori, adottando un approccio pienamente rispettoso della privacy” per lo sviluppo di soluzioni di “contact tracing”14. Inoltre sostiene di considerare sia soluzioni centralizzate che decentralizzate.

Nonostante l’enorme elenco di partner ad oggi però non è stata prodotta alcuna soluzione realmente aperta e testabile ma solamente alcune specifiche riguardo al protocollo ROBERT15. Sembrerebbe infatti che PEPP-PT, nella persona di Hans-Christian Boos, stia cercando di indirizzare i suoi partner verso un approccio opaco e centralizzato invece di seguire altri standard decentralizzati e pubblici come DP-3T.

DP-3T è un altro consorzio guidato dall’ EPFL (École polytechnique fédérale di Losanna) per lo sviluppo di “un protocollo sicuro e decentralizzato rispettoso della privacy”16. Inizialmente era stato inserito all’interno del progetto PEPP-PT, portando con sé anche diversi partner,  ma poi è stato rimosso “senza preavviso” ed escluso da successivo incontro17.

A seguito di questo episodio diverse accuse sono state portate verso PEPP-PT ed alcuni partner hanno cominciato ad abbandonare il progetto: ETH Zürich,  EPFL, CISPA, Technical University of Denmark ed in ultima Fondazione ISI unico partner italiano oltre a Bending Spoons. Da un lato la Comunità Europea esorta all’utilizzo di soluzioni decentralizzate, alla pubblicazione del codice e alla trasparenza, dall’altro PEPP-PT sembra andare in direzione opposta. Il Ministero dell’Innovazione tecnologica e trasformazione Digitale, al termine di un webinar organizzato da PEPP-PT, aveva confermato che l’applicazione Immuni si sarebbe basata proprio sul protocollo PEPP-PT18, anche se in una nota recente la decisione finale sembra non sia stata ancora presa.

Come andrà a finire non lo sappiamo, di certo situazioni poco chiare come queste potrebbero favorire l’utilizzo del framework API, pronto ad essere rilasciato a metà Maggio, dell’inedito duo Apple/Google19.

Cosa ci spaventa del duo Apple/Google non è la questione di quanto il framework rispetti la nostra privacy (d’altronde privacy non è sinonimo di libertà), ma piuttosto le possibilità che le due corporation vengano considerate come le uniche entità in grado di dare risposte e (pseudo) soluzioni a dei problemi di governance politica e sociale, sostituendosi di fatto ad interi apparati statali. D’altronde Google, Apple o Facebook non hanno di certo bisogno dei dati relative alle app di contact tracing per sapere dove ci spostiamo e chi incontriamo, queste informazioni le hanno già e miliardi di persone le condividono più o meno consapevolmente usando i loro servizi.
Emblematico il rilascio dei dati e la reportistica della mobilità durante i periodi di lockdown sia di Google20, Apple21 e Facebook22. Tramite queste pubblicazioni hanno dimostrato che possiedono effettivamente i dati su come ci spostiamo ma che alla fine li utilizzano per “il bene della comunità”. I dati sulla  posizione sono fondamentali per il capitalismo della sorveglianza e le big tech corporation vogliono che ci fidiamo di loro così da continuare a dargli accesso illimitato ai nostri dati.

Il rischio di perorare la favola del “gigante buono” e di un aumento di fiducia nei loro confronti non è altro che un altro passo verso una delega decisionale tecnocratica.

Per farla finita col concetto di cittadinanza (digitale per di più)

Per il filosofo francese Etienne Balibar23, che ha riflettuto a lungo sulla genesi storica del concetto di cittadinanza, questo ha sempre al suo interno una doppia funzione: conservativa dei rapporti sociali esistenti e insurrezionale, per inventare nuovi diritti e nuove forme di “democratizzazione” della democrazia medesima. Tuttavia, anche nelle fasi rivoluzionarie in cui si produce una concezione universalista ed egualitaria dei nuovi diritti prodotti dalla sovversione dell’esistente, la cittadinanza tenderà comunque sul lungo periodo a subire un processo di regressione e chiusura, fino ad assumere come prioritario il carattere particolarista ed escludente che ha comunque in sé ogni costruzione giuridica di ammissione a far parte della società – la cittadinanza appunto. L’opposizione propria al concetto e al diritto di cui stiamo parlando è sintetizzata da Balibar nel processo di “internalizzare tutte le solidarietà e esternalizzare tutte le forme di ostilità”.

Secondo Foucault24 questa eterna dinamica, nella società contemporanea ha esacerbato il carattere conservativo, ammettendo nella sfera della cittadinanza tutti gli individui possibili, ma solamente per utilizzarli nelle sue fabbriche, per disciplinarli nei suoi ospedali, per burocratizzarli attraverso le proprie strutture di potere, renderli statistica. Ma Foucault rifletteva su una società prevalentemente industriale, che valore assume quel meccanismo oggi, nel presente della prima pandemia nell’epoca della società digitale e del capitalismo della sorveglianza?

In questi giorni si sono moltiplicati gli annunci di applicazioni che ci aiuteranno a gestire digitalmente la fase 2, in un’ottica di convivenza con il virus. Oltre a Immuni di cui abbiamo già parlato, in circolazione c’è anche IO, l’app della Pubblica amministrazione uscita al momento ancora in versione beta ma già scaricabile e compatibile con entrambi i sistemi operativi di Apple e Google. L’intenzione e il sogno è che tramite IO il cittadino possa fare tutto attraverso il suo smartphone: dall’iscrizione dei figli a scuola al pagare multe, dal rinnovare i documenti al ritiro di cartelle cliniche. Programmata a fine 2019 e in gestazione da due anni è stata lanciata solo adesso in ottica di un più ampio progetto di riavvio dell’interazione popolazione e P.A. In questo contesto emergenziale, oltre alle funzionalità sopra citate, potrebbe essere utilizzata per sostituire l’autocertificazione cartacea qualora dovessero proseguire le restrizioni agli spostamenti o dovessimo affrontare lockdown temporanei nei prossimi mesi.

Oltre questa ricordiamo anche:

  • il rilancio dell’app allertaLOM da parte della Regione Lombardia, dove il livello di privacy è molto basso e che la giunta Fontana utilizza anche anche per sponsorizzare le proprie iniziative politiche
  • L’annuncio di un’app dalla ministra ai Trasporti De Micheli per l’utilizzo contingentato dei mezzi pubblici
  • L’indicazione di Stefano Boeri di un’app che ci aiuterà a prendere gli ascensori uno alla volta (ovviamente dei grattacieli, mica stiamo parlando delle affollate case popolari o dei condomini residenziali).

Assistiamo dunque a una nuova forma di accelerazione imposta dall’emergenza epidemiologica, sulla digitalizzazione della vita quotidiana e soprattutto delle interazioni tra cittadino e infrastrutture – politiche, burocratiche, amministrative, dei trasporti. A stabilire forme e modalità dell’interazione è proprio l’architettura giuridica della cittadinanza, che tuttavia adesso non è solo in rapporto al riconoscimento da parte dello Stato ma anche e soprattutto al tuo comportamento nei confronti della minaccia alla salute pubblica. Il codice penale ha sempre previsto, come sanzione estrema, la privazione della cittadinanza; tuttavia qui si parla di una cittadinanza precaria, fluida, differenziata sulla base di utilizzo o meno di una app e sulla base della sorveglianza permanente che classifica ogni contatto individuale in cui ci imbattiamo, anche per caso per strada a meno di 1 metro di distanza. In alcuni contesti, come la Cina dei crediti sociali, si è già arrivati alla determinazione, da parte di un software governativo, del codice sanitario che, in base alla pericolosità indicata da un colore (verde, giallo, rosso) determinerà se le persone potranno o meno uscire di casa25.

In qualche modo è una possibilità paventata anche dal Commissario straordinario per la Fase 2 Colao, nello scontro che c’è stato su Immuni con la ministra all’Innovazione Pisano riguardo utilizzo del GPS invece del Bluetooth e, soprattutto, sull’obbligatorietà di utilizzo per accedere al diritto alla piena libertà di movimento – limitata invece in caso di non utilizzo. È in qualche modo un processo connaturato alla stessa digitalizzazione totale e al progetto di computazione ubiqua rappresentato dall’Internet delle Cose26: non c’è bisogno di fare una legge per imporre ai singoli la cittadinanza digitale se tutti i processi, le attività, i meccanismi relazionali e burocratici avvengono nella infosfera. L’esclusione colpisce in automatico due categorie di persone: le fasce sociali prive dell’infrastruttura e dei mezzi necessari ad accedere (fenomeno particolarmente evidente nel caso della didattica a distanza, a proposito di diritti segmentati e ridotti non per legge ma de facto); i singoli e i gruppi politici che rifiutano l’obbligo sotteso (se non politico, comunque imposto dal biasimo sociale) a questa governance dell’emergenza.

E qui veniamo al nostro ultimo punto: il luogo della cittadinanza. L’origine etimologica del termine stesso ce lo rivela: la civitas, civiltà e, in senso ampio, città. In una società urbanizzata e nella globalizzazione il territorio di nascita diventa centrale per accedere alle risorse allocate dal mercato internazionale e dalle scelte di investimento dei capitali finanziari: la città, la metropoli è luogo per eccellenza della pienezza dei diritti in quello che una volta si chiamava villaggio globale. Tuttavia è un luogo con profonde disuguaglianza e una feroce gerarchia sociale, dove le differenze territoriali del globale si replicano su scala urbana. Nel presente dell’epidemia è anche il luogo da tenere principalmente sotto controllo perché qui vive la maggioranza della popolazione e, nel caso di Milano, è il punto di incrocio di scambi e passaggi.

Esattamente come la smart city aveva già il suo slogan in la città al servizio del cittadino, anche la governance emergenziale pare riproporre l’accelerazione e la piena digitalizzazione secondo il medesimo principio di consenso: potremmo dire, le app al servizio del cittadino. Ma quando il rapporto tra cittadino e istituzioni è gestita tramite un’intermediazione tecnologica digitale, la partecipazione prende la forma di un commento/valutazione (feedback) trasformando la posizione di cittadino in quella di utente. L’esperienza dell’utente/cittadino diventa uno-ad-uno con l’istituzione e quindi iper-individualizzata, isolata…ne deriva una perdita di autonomia, di capacità di agire collettiva. Vivere nella smart city di oggi significa essere in uno stato di costante transizione tra l’essere cittadino e l’essere Utente dove le disparità sociali vengono regolate e automatizzate attraverso servizi erogati dalle macchine (spesso di proprietà delle big tech), producendo nuovi ambiti di esclusione nell’urbano27.

Ma ancora una volta torniamo alla questione centrale, da cui siamo anche partiti: tutto ciò è davvero necessario? Molti dati di cui si ha bisogno per il monitoraggio della pandemia si avrebbero già a disposizione e, soprattutto, che senso ha aumentare la sorveglianza digitale prima dell’implementazione della sanità territoriale e capillare? Allora, piuttosto che prestare il nostro consenso a nuove forme di cittadinanza virale, segmentata per via di fatto e senza nemmeno passare dai canali tradizionali del diritto, ci richiamiamo a quel diritto alla città inteso come riappropriazione e intervento diretto delle classi popolari, da un lato, ed universalismo egualitario senza barriere di accesso alla cura e alla solidarietà sociale, dall’altro.
Oggi più che mai abbiamo l’occasione di farla finita con tanti aspetti della normalità che è stata brutalmente interrotta dall’epidemia e che ha contribuito ad alimentare le cause sociali del contagio: uno di questi è proprio quel processo di conservazione delle differenze di status ed esclusione che conosciamo come cittadinanza.

Se riconosciamo che esiste un imperativo di salute pubblica da rispettare allora pretendiamo di poter decidere collettivamente come questa tutela collettiva si debba realizzare, senza lasciare indietro nessuno: dunque si, tracciamo i contatti, per creare le nostre reti locali, autonome e conviviali, punto di partenza per ri-tracciare28 la rotta.

Collettivo Off Topic, 23 Aprile 2020

  1. https://tacticaltech.org/#/news/technology-is-stupid
  2. https://gateway.euro.who.int/en/indicators/hfa_478-5060-acute-care-hospital-beds-per-100-000/visualizations/#id=19535&tab=table
  3. https://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=45924
  4. https://bgreport.org/lettera-dei-medici-dellospedale-papa-giovanni-xxiii-bergamo.html
  5. https://arxiv.org/abs/2003.09320?fbclid=IwAR3UkMYLf3FiHL97JL927FQFBr4NOqKP3sikCY87-JDQO95hmc6H0PXIH1U
  6. https://www.valigiablu.it/coronavirus-dati-tecnologia/
  7. https://www.straitstimes.com/singapore/health/most-workplaces-to-close-schools-will-move-to-full-home-based-learning-from-next
  8. Timothy Morton, Iperoggetti, Nero Editions 2018
  9. Ippolita, Post virus, Il Manifesto 17 Aprile 2020
  10. https://www.pewresearch.org/global/2019/02/05/smartphone-ownership-is-growing-rapidly-around-the-world-but-not-always-equally/
  11. https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2020-0054_EN.html
  12. https://innovazione.gov.it/un-aggiornamento-sull-applicazione-di-contact-tracing-digitale-per-l-emergenza-coronavirus/
  13. http://www.ondarossa.info/newstrasmissioni/2020/04/tracciamento-allitaliana
  14. https://www.pepp-pt.org/
  15. https://github.com/ROBERT-proximity-tracing/documents
  16. https://github.com/DP-3T/documents
  17. https://nadim.computer/posts/2020-04-17-pepppt.html
  18. https://techcrunch.com/2020/04/17/europes-pepp-pt-covid-19-contacts-tracing-standard-push-could-be-squaring-up-for-a-fight-with-apple-and-google/
  19. https://www.apple.com/newsroom/2020/04/apple-and-google-partner-on-covid-19-contact-tracing-technology/
  20. https://www.google.com/covid19/mobility/
  21. https://www.apple.com/covid19/mobility
  22. https://www.covid19mobility.org/
  23. E. Balibar, Cittadinanza, Bollati Boringhieri, Torino 2012
  24. M. Foucault, Bisogna difendere la società, Feltrinelli, Milano 1998
  25. Simone Pieranni, Post Data Virus, Il Manifesto, 17 Aprile 2020
  26. Vedi nostro precedente contributo: https://www.offtopiclab.org/politica-del-dato-discorso-pubblico-e-forme-della-sorveglianza
  27. https://git.abbiamoundominio.org/dan/smartcities
  28. Bruno Latour, Tracciare la rotta. Come orientarsi in politica, Raffaello Cortina Editore, 2018

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FONTE: https://www.offtopiclab.org/si-tracciamo-i-contatti/


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