N.B: il seguente pezzo non ha come fine quello di sbeffeggiare le teorie del complotto e tanto meno chi professa con ammirabile devozione un credo religioso. Qui siamo interessati alle dinamiche che generano e rafforzano questi contenuti mentali, contenuti che sembrano avere più di qualcosa in comune.
In questi giorni si racconta che il coronavirus sia stato il frutto di un esperimento condotto in laboratorio sfuggito al controllo degli scienziati. Leggerezza volontaria o no, che avrebbe poi scatenato la pandemia con cui tutt’oggi conviviamo. A suffragare tali convinzioni, e alimentare un pensiero di diffidenza già molto acuto in certe personalità, il video di TGR Leonardo del 2015, dove si documenta un esperimento effettuato da scienziati sul virus SARS, apparso per la prima volta nel 2002 a Guandong in Cina.
Insinuazioni che hanno riscosso subito una grande viralità nel flipper dei social, attratto dalla comprensibilità e dalla parziale coerenza delle informazioni in possesso (la zoonosi, il virus fuori controllo nel laboratorio come oggi lo è nel mondo), arrivando addirittura all’attenzione dei media tradizionali.
Teoria del complotto che, comunque, che in poche ore è stata subito sedata dagli ambienti istituzionali. Il virus effettivamente ingegnerizzato, infatti, non ha alcuna relazione con il nuovo coronavirus che, invece, è di origine naturale. Una presa di posizione condivisa dalla comunità scientifica (che come tutte le comunità del sapere è fallibile, ma non in questo caso specifico) che, per dovere di sintesi, riduciamo alle parole di Fausto Baldanti virologo e professore all’università di Pavia:
“La sperimentazione è avvenuta pubblicamente. Il genoma di quel microrganismo è stato pubblicato per intero. E non è lo stesso del coronavirus attuale”.
Insomma, polemica risolta, e l’approfondimento potete trovarlo qui, in quanto questo non è un pezzo di debunking.
In questo spazio ci interessa approfondire l’origine e la formazione del pensiero complottista. La sua capacità virale e soprattutto perché in qualche modo esso è accostabile – in parte – al pensiero di tipo religioso.
Sì, religioso, avete capito bene. L’universo complottista ha molto da spartire con quest’ultimo nella formazione dei suoi contenuti mentali.
Complotto: la necessità di semplificare la realtà
Perché sosteniamo ciò? Essenzialmente per tre motivi.
Le teorie del complotto, quanto il pensiero religioso, partono da un medesimo punto di partenza: l’ignoto.
Ovvero eventi o fenomeni che l’uomo non conosce (o ignora volutamente), e a cui cerca di dare una spiegazione esauriente utile al suo equilibrio psicologico. Nel caso della religione, il grande dubbio riguarda il senso della sua esistenza e la morte.
Nel complottista ci sono argomenti meno esistenziali, ma altrettanto poco chiari alla sua comprensione, che toccano più o meno fortemente la sua esperienza, e a cui vuole dare una logica esaustiva (per le sue conoscenze), o comunque una più accettabile che tenda a ristabilire il suo controllo sugli eventi. In entrambi i casi, comunque, si tratta di temi ed eventi non riducibili in una logica semplicistica.
Esatto, il religioso quanto il complottista, cercano di ridurre la complessità della realtà in una narrazione comprensibile, umana, in una logica di causa-effetto, dove ogni cosa ha un senso intrinseco e accomodante.
La religione difatti, fornisce l’ampia prospettiva nella quale le persone considerano il mondo, la propria attività, il loro futuro, compresa la morte, diventando matrice di significati generali.
Il pensiero complottista, altrettanto, fornisce spiegazioni ad eventi particolari e controversi che sfuggono alla comprensione per un deficit di informazioni e specializzazioni di colui che la condivide. Quindi anche questo pensiero diviene matrice di significati di eventi specifici.
Il Deus ex nelle teorie del complotto
Il secondo punto che accomuna entrambi i pensieri, e avvicina il complottista al timorato religioso, è la convinzione che alla base di ogni evento ci sia un deus ex razionale. Qualcuno che scientemente muova i fili dei destini dell’umanità e che in qualche modo ne limiti il libero arbitrio. Nel caso delle religioni sono le divinità, nel caso delle teorie complottiste tale posto provvidenziale è occupato da figure vicarie, meno sacrali, ma potenti allo stesso modo: un’elite, dei massoni, un credo illuminato, a seconda della teoria complottista. Insomma, in tutti i casi, si tratta di personificazioni, più o meno sacrali, capaci di dare una precisa traiettoria agli eventi del mondo. Una concezione che sicuramente insidia un certo timore in noi, ma che colloca all’interno di un sistema cognitivo di controllo, tutto ciò che alle nostre menti appare come incerto. La storia del mondo, insomma, è nelle mani rassicuranti di qualcuno molto simile a noi. Ha un volto, o forse no, ma è comunque un’entità che intravediamo e ci tiene al riparo dal caos assoluto.
Complotto: una fede laica e narcisista?
Altro punto in comune è la fede, ovvero la credenza sentita, nel processo razionale-emotivo, di una narrazione dal carattere mitico-sacrale. Al religioso viene fornita nel corso della socializzazione secondaria – quando la società interviene con i suoi processi di apprendimento sul soggetto, o in particolari punti di congiuntura della sua esperienza adulta.
La stessa cosa riguarda il complottista che investe una fiducia cieca (in una dimensione più individualista) in una narrazione alternativa.
“Alternativa” e forse questo è l’unico elemento di distanza – importante – tra il religioso e il complottista. Il religioso accetta una narrazione dominante e un sistema di valori ampiamente condiviso all’interno della sua società (se si escludono le sette e le religioni minori di cui ci sarebbe da fare un discorso distinto). Il complottista, invece, tradendo una predisposizione di tipo narcisistico e autoreferenziale, individua una lettura alternativa degli eventi nel quale riconoscersi e credere. Teorie che ritiene destinate ad una cerchia di illuminati specifica, che seducono e occultano una verità nascosta e accessibile solo a pochi. Un qualcosa di suggestivo per il Sé e la propria autostima.
La facilità di diffusione del pensiero complottista – pur mancando nella componente mitica o sacrale come nella narrazione religiosa – è da attribuire ad una forte capacità di comprensione, da un lato, e di suggestione dall’altro.
In ogni caso il pensiero complottista non deve essere oggetti di ludibrio a priori, né con questo pezzo si vuole spingere ad accettare tout court le informazioni provenienti dalle fonti ufficiali e autorevoli. La storia, infatti, racconta di istituzioni governative ed economiche che in alcuni casi hanno tentato di nascondere all’opinione pubblica avvenimenti di una certa rilevanza.
Inoltre, il pensiero alternativo, è sempre stato il motore della conoscenza e dell’evoluzione umana.
In questo spazio, contrariamente, si vogliono problematizzare le teorie del complotto manchevoli nelle argomentazioni.
Teorie che, nonostante la debole natura, da taluni vengono spacciate come verità assolute procedendo all’inquinamento della comunicazione orizzontale e che, spesso, sono responsabili di uno stato di isolamento ideologico e conseguenti comportamenti aggressivi sul piano verbale. Certamente involutivi.
Enrico Ciccarelli