L’ineffabile piano pandemico nel carcere di Oristano.

di Cesare Battisti

Se a qualcuno fosse sfuggito, ricordiamo che la Costituzione e l’Ordinamento Penitenziario prevedono che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Che il trattamento dei detenuti  deve essere integrato da un’azione di assistenza alle loro famiglie, tale azione è rivolta anche a conservare e migliorare la relazione dei soggetti con i familiari e a rimuovere le difficoltà che possono ostacolare il reinserimento sociale.

A questo proposito le regole europee prevedono che la vita in carcere deve essere il più vicino possibile agli aspetti positivi della vita nella società libera. Che i detenuti devono essere autorizzati a comunicare il più frequentemente possibile con la famiglia, con terze persone, con rappresentanti di organismi esterni e a ricevere visite da dette persone.

Che le modalità delle visite devono permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni il più possibile normali.

In questo senso si dovrebbero giustificare le nuove misure di sicurezza previste nell’ineffabile piano pandemico adottato dalla casa di reclusione di Oristano.

Sotto il regime di Covid si è costretti ad accettare condizioni di vita inimmaginabili fino a qualche mese prima. Per alcuni le nuove norme sono comprensibili e adeguate ad affrontare il pericolo virale, per altri rappresentano un’insopportabile forma di controllo sociale.

Da non dimenticare i soliti saggi che ci ricordano come la gisuta misura è sempre la via di mezzo.

Non si tratta di disquisire su ragioni tanto dibattute e suppostamente ponderate. Ci prendiamo però il diritto di dire che una comunità che si aggrappa all’assoluta assenza di rischio, rinunciando al libero arbitrio, è senz’altro decadente.

Il virus fa furore nei media globali, ma non si parla d’altro che di ovvi effetti, di origini più o meno fittizie, spesso fantasiose. Sorprende invece l’assenza di dibattito sulle cause reali della pandemia, che porterebbero inevitabilmente a rivedere il sistema di produzione capitalistico che ha raggiunto l’apice dell’oscenità. In ogni caso opportuno o non, se ci sono misure di sicurezza legiferate, queste non possono essere interpretate in forma discriminatoria.

Devono pertanto valere nella stessa misura tanto per il libero cittadino quanto per i reclusi.

E’ dettato costituzionalmente, non può essere ignorato nemmeno da quei giustizialisti che dell’ignoranza ne fanno una dottrina, salvo poi ravvedersi quando dietro le sbarre ci capitano loro stessi o un parente.

C’è stato il periodo in cui la segregazione (lockdown) ha drasticamente limitato la libertà di movimento dei cittadini con i disagi che conosciamo. Nello stesso tempo i detenuti sono stati privati dei colloqui con i familiari, avvocati, magistrati, e qualsiasi altra istanza esterna. Perfino il servizio sanitario fu ridotto ai minimi termini. Mentre fuori si adottavano alcune misure per contrastare il virus, in carcere erano proibiti guati e mascherine, inesistenti, test o tamponi.

Prima di concedere telefonate e videochiamate di mezzora alla settimana, ci furono varie ribellioni, dove ben tredici detenuti persero la vita. Se fosse successo fuori si sarebbe detta strage, ma trattandosi di semplici detenuti non se ne è più parlato.

Poi fu la fase due e anche la tre e divenne impossibile impedire ai cittadini la libertà di movimento per ricongiungersi, tra l’altro, con le persone care. Sotto pressione per la manifesta cattiva gestione, l’amministrazione penitenziaria dovette prendere alcune misure. Ci fu una circolare dove si avvisava la popolazione detenuta, che le famiglie residenti nella regione avrebbero potuto visitare il parente recluso per un’ora alla settimana e un solo familiare alla volta. Una disposizione che non solo esclude in partenza tutti gli AS, giacché nel carcere di Oristano e nella maggior parte degli altri nell’isola il 70% dei reclusi sono continentali e il 100% di questi  sono in regime di alta sicurezza. Insomma, sembra una disposizione fatta apposta per scoraggiare i colloqui. Anche se in seguito questa disposizione fosse applicata alle famiglie non residenti, chi affronterebbe un costoso viaggio in aereo o in nave per fare un’ora scarsa di colloquio? Se inoltre è permesso l’ingresso a un solo familiare, vuole in concreto dire che è proibito ai detenuti riabbracciare i figli minori, giacchè non è pensabile che questi vengano da soli. Fin qui siamo nell’ordine kafkiano del regime.

E’ entrando nella sala colloqui che ci accorgiamo del salto d’epoca e di stile. Sgabelli divelti e ripiantati due a due, tracce di scasso che evocano scene di guerra,vedi campi minati, tavolini rotondi sovrapposti ad altri rettangolari, gettano l‘ambiente in una sorta di caos psico-geometrico. Ma il tocco di classe si deve senz’altro alla lastra di vetro di circa 60 cm per 80, conficcata nel mezzo di ogni tavolino squadrato.

A questo punto, e senza offendere la memoria del caro Tristan Tzara e complici, non si può non rilevare lo stile inconfondibile del dadaismo puro. Dada è  rifiuto della ragione e della logica, enfatizza la stravaganza, la derisione, l’umorismo insomma. Con le nuove sale colloqui, l’amministrazione penitenziaria ci ha voluto offrire questa composizione artistica per ricordarci quanto stravaganti e irrispettose sono le autorità nei confronti dei propri cittadini reclusi. Inoltre, da rigorosi dadaisti, non potevano assolutamente creare qualcosa di utile. Difatti, a che serve un vetro piantato su un tavolino in una stanza chiusa con altri tavolini e altrettanti vetri piantati su? Visto che  ci si muove tutti nello stesso spazio e si respira la stessa aria?

E’ così che poco a poco si scopre l’ineffabile piano pandemico e con esso si rivelano i talenti nascosti in via Arenula.

Devo concludere con un P.S. perché la notizia che segue mi è arrivata in questo momento. Alla richiesta di accesso agli atti per conoscere i motivi del mio isolamento e della classificazione AS2, il ministero della giustizia risponde quanto segue:

” La documentazione richiesta rientra fra quelle sottratte al diritto di accesso, ai sensi dell’art.3 D.M. 25/01/96 n.115…”

Traduzione: a Cesare Battisti non è dato sapere perché è mantenuto in isolamento e perché è classificato AS con retroattività di 40 anni.

Il sequestro perpetrato a Santa Cruz della Sierra il 12 gennaio 2019 continua in Sardegna sotto i riflettori della giustizia italiana.

FONTE: https://www.carmillaonline.com/2020/06/27/dada-a-oristano-piano-pandemico-secondo-episodio/

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L’ineffabile piano pandemico nel carcere di Oristano

Il 18 maggio, ho ricevuto il rigetto della richiesta di domiciliari provvisori. Naturalmente ce lo aspettavamo, volevamo solo avere in mano le motivazioni del rigetto per trarre le nostre conclusioni. Come volevasi dimostrare, gli argomenti usati dal tribunale di sorveglianza non potevano che essere, a dir poco, imprecisi. Del resto, non si può che ricorrere alla mistificazione quando esiste la volontà di giustificare un atto discriminatorio.

Sapevamo che il rigetto era inevitabile, e le ragioni di questo sono tutte da ricercare nell’uso politico che si continua a fare del mio caso: vi immaginate, dopo tante polemiche sulle cosiddette “scarcerazioni”, cosa sarebbe successo a Bonafede se mi avessero mandato a casa? Si può mettere a rischio la tenuta del governo per salvaguardare la salute di Battisti?

Sono tempi in cui le ingiustizie sembrano non sorprendere più nessuno. Ciò non vuol dire che si debba lasciar sempre correre, assistere ammutoliti a ogni sorta di obbrobrio e abuso. In questo caso si sono superati. Per giustificare l’ennesima discriminazione, l’autorità giudiziaria è scivolata su un’inaccettabile superficialità, liquidando la salute di un cittadino con una sentenza azzardata.

Ma veniamo alle ragioni vere e proprie citate dal magistrato di sorveglianza e che hanno motivato il rigetto della mia istanza. Cito: “…affetto da epatite cronica HBV relata, in trattamento farmacologico con buona risposta virologica…” Quel “relata” vorrebbe forse dire che fino ad ora il reparto sanitario del carcere di Oristano non abbia mai proceduto a un diagnostico per verificare la presenza del virus dell’epatite B? Ciò è improbabile, visto che mi viene regolarmente somministrato l’antivirale. Un “relata” dunque teso, chissà, a sminuire la gravità della patologia? Passiamo oltre.

Citando: “…Bronchite cronica… deficit ostruttivo di grado medio; iperuricemia con artropatia gottosa dislacrimia in trattamento… mostra condizioni generali buone con grado di efficienza psicofisica secondo Karnofsky pari al 100%…” Io non conosco il signor Karnofsky, ma sono certo che costuii non abbia mai messo piede in questo Istituto. Dev’essere dunque un’autorità sanitaria meno esotica ad avere indotto il magistrato di sorveglianza a continuare su questo tono: “…le sue patologie possono dunque essere curate in Istituto con ricorso alle strutture esterne…” Per mostrare l’efficienza dell’intervento sanitario, sia interno che esterno, in questo carcere, mi permetto di citare qualche esempio illustrativo.

Affetto da disturbi dovuti a un diagnosticato ingrossamento della prostata, il mese di ottobre scorso chiesi una visita urologica. Sono passati ben sette mesi da allora. Dell’urologo non ho mai avuto notizie. Intanto i disturbi si sono intensificati. Mesi or sono, da un esame delle feci, furono riscontrate tracce di sangue. Un esame clinico approfondito, richiesto dal medico specialista, è rimasto lettera morta fino a oggi. Con lo stesso disinteresse sono stati accolti da questa direzione altre sollecitazioni di ordine sanitario di uguale gravità. C’è da dire che l’efficacia del reparto sanitario, di cui sembra aver prove il magistrato, si riduce spesso alla prescrizione di Voltaren e Tachiprina, il rimedio a tutti i mali.

Veniamo adesso al famoso piano pandemico, continuo a citare: “…accertato dall’istruttoria di procedimento… dell’assenza di contagio all’interno dell’Istituto e delle misure, ARTICOLATE E PUNTUALI, disposte dall’area sanitaria contenute nel ‘piano di gestione per l’Emergenza Sanitaria’ presso la casa di reclusione di Oristano del 27-04-2020 (v. documento in atto) il rischio di contagio debba ritenersi da escludere…”.

A questo punto c’è seriamente da chiedersi se per caso in questo Istituto ci siano davvero stati interventi di prevenzione o di accertamento, come allegato, e che allora sia detenuti che agenti non si siano mai accorti che sarebbero state adottate misure ARTICOLATE E PUNTUALI. Possibile che esista un fumoso “piano pandemico” made in Oristano e che questo sia passato inosservato a tutti?

Oppure gli atti di cui parla il magistrato si riferiscono a una spruzzata di candeggina effettuata qualche settimana fa? Perché, insomma, qui mascherine e guanti sono proibiti ai detenuti dalla direzione, perché occulterebbero (sic) viso e impronte digitali.

Abbiamo visto gli agenti con mascherine fatte in casa ricavate da vecchie uniformi, in alternativa alle introvabili usa e getta. Tamponi e altri test per rivelare il virus nemmeno a parlarne. D’altronde l’ordine vigente è quello di evitare ogni riferimento al Covid 19. Non è mai stato fatto un controllo sanitario generale – nessuno è mai venuto a chiederci come ci sentiamo; detenuti con febbre e tosse sono ordinariamente rispediti in cella con l’inevitabile pillola di Tachipirina. Sarà che consiste proprio in questo il famoso piano d’Emergenza messo in atto da questa amministrazione? Oppure il tribunale di sorveglianza è in possesso di un altro piano, talmente segreto che nessuno l’ha mai visto?

Cosa contengono questi atti a cui fa riferimento il magistrato, e che gli fanno dire che non esiste pericolo di contagio? Se non ci è stato somministrato un rimedio miracoloso a nostra insaputa, cosa è stato raccontato al magistrato per indurlo a prendere una decisione così azzardata? E se fosse vero ciò che dice, a che si deve l’invio ai domiciliari per via del virus di altri detenuti dal carcere di Oristano? A chi dovremmo rivolgere queste domande, già che il tribunale di sorveglianza le ha opportunamente eluse? Quanti sono gli ingannati e quali gli ingannatori?

È la motivazione di un rigetto annunciato che la dice lunga sulla spregiudicatezza delle autorità che ci governano. L’irresponsabilità dietro le sbarre è forse più diretta, brutale. Ma là fuori, si gioca con la vita della gente che lavora, e la chiamano “ripresa” – recovery fa chic.

Qualche secolo fa, Vicor Hugo disse che se si vuol sapere come funziona un paese bisogna visitare le sue prigioni. Solo qualche anno fa, uno statista di rilievo ebbe a dire: “Non c’è da sorprendersi, nel caso di Battisti tutto è possibile”. Io direi invece che è con il popolo indifeso, con i dannati della terra che tutto è possibile. E io ne faccio semplicemente parte. Incluso per la possibilità estrema, quella di farci finalmente ascoltare.

Cesare Battisti

da Carmilla


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