17 giugno 2020, da https://it.crimethinc.com/2020/06/17/istantanee-della-rivolta-racconti-di-tre-settimane-di-rivolta-nazionale
Nella seguente analisi, esaminiamo quei movimenti che hanno portato alla rivolta in risposta all’assassinio di George Floyd, esploriamo i fattori che hanno l’hanno resa potente, parliamo delle minacce che si trova a dover affrontare e concludiamo con una serie di racconti di chi vi ha preso parte a Minneapolis, New York, Richmond, Grand Rapids, Austin, Seattle e altrove nel Paese.
Per quest’articolo, abbiamo utilizzato solo fotografie già ampiamente disponibili online, per evitare di fornire inavvertitamente dati sensibili alla Polizia.
Non proviamo risentimento per quelli che vanno fuori controllo per averci ricordato i conflitti che rimangono irrisolti nella nostra società. Al contrario, dovremmo esser loro grati. Non stanno sconvolgendo la pace; stanno semplicemente portando alla luce che la pace non c’è mai stata, che la giustizia non c’è mai stata. Correndo rischi tremendi, stanno facendoci un dono: un’opportunità per riconoscere la sofferenza che ci circonda e per riscoprire la nostra capacità di identificare e simpatizzare con coloro che la vivono.
Perché noi possiamo vivere delle esperienze drammatiche come la morte di Michael Brown per quello che sono solo quando vediamo altre persone che le percepiscono come tragedie. Altrimenti, a meno che gli eventi non ci tocchino personalmente, restiamo insensibili. Se si vuole che le persone si rendano conto che è stata compiuta un’ingiustizia, bisogna reagire immediatamente, come hanno fatto le persone a Ferguson. Non si deve aspettare un momento migliore, non si devono supplicare le autorità, non si devono pronunciare frasi a effetto per un pubblico immaginario che rappresenta l’opinione pubblica. Si deve procedere immediatamente all’azione, dimostrando che la situazione è abbastanza grave da giustificarla.
- ” Cosa vogliono dire quando parlano di pace ,” pubblicato durante i moti di Ferguson, precursori del movimento sviluppatosi a livello nazionale in seguito all’assassinio di George Floyd a Minneapolis.
Dobbiamo iniziare con un attimo di silenzio – perché nessuna rivolta, non importa quanto potente sia, nemmeno se potesse radere al suolo ogni Distretto di Polizia e aprire ogni prigione, potrebbe mai far tornare in vita Breonna Taylor, George Floyd, David McAtee, Rayshard Brooks o uno qualsiasi degli innumerevoli afroamericani che sono stati assassinati dalla Polizia a partire dalla nascita degli Stati Uniti d’America. Insurrezioni come quella iniziata a Minneapolis sono un modo per scoraggiare la Polizia dal commettere omicidi futuri ma sono anche espressioni di dolore per le perdite irreparabili che hanno già avuto luogo.
Il retroscena
Nel corso della ricerca di punti di riferimento storici per comprendere questa rivolta, la maggior parte delle persone torna con la memoria ai moti del 1960 – anche se, come ha sostenuto il famoso conduttore Dan Rather:
“Nel 1968, si ebbe la sensazione, dimostrata dalle successive elezioni, che coloro che scendevano in piazza per il dolore e per protestare erano una minoranza del Paese e le leve del potere negli affari, nel Governo e nella cultura erano schierate contro di loro. Non è quello che percepisco nel 2020.”
Tracciando la discendenza di questa rivolta, vorremmo iniziare prendendo in considerazione alcuni eventi più recenti, tralasciando i moti di Los Angeles del 1992 e di Cincinnati del 2001, e analizzando i tumulti di Oakland del 2009 in risposta all’assassinio di Oscar Grant. I disordini di Oakland furono minimi rispetto a quanto accaduto da allora ma riunirono la stessa fascia di popolazione che venne coinvolta in quelli successivi – giovani neri arrabbiati consci di poter essere i prossimi, manifestanti stanchi di sterili campagne riformiste, anarchici che si opponevano alla violenza di Stato per questioni di principio e altri ribelli dalle svariate origini etniche – creando un precedente che ha riecheggiato nei cinque anni successivi a Seattle , Atlanta , Anaheim , Brooklyn , Durham e altrove.
Ognuna di queste insurrezioni è durata al massimo un paio di giorni, un gesto di rifiuto dell’ordine imposto dalla violenza della Polizia incapace di contrapporre un’alternativa sostenibile. Ciò è cambiato con la rivolta di Ferguson dell’agosto 2014, che si protrasse per oltre una settimana e mezza per poi ripetersi a novembre, diffondendosi in tutti gli Stati Uniti per svariate settimane. Dopo Ferguson, le vittime della violenza poliziesca sono riuscite a immaginare di diventare ingovernabili su larga scala.
Altri tumulti sono seguiti negli Stati Uniti, raggiungendo lo zenit a Baltimora , alla fine dell’aprile 2015, in risposta all’assassinio di Freddie Gray. Quando, nel novembre di quell’anno, scoppiò la rivolta di Minneapolis in seguito all’assassinio di Jamar Clark, questo modello sembrava scontrarsi con i suoi limiti – limiti imposti dal crescente consolidamento del potere nelle mani sia degli organizzatori istituzionali, sia della forza repressiva della Polizia. Come scrivemmo nel 2015:
Non è chiaro quanto lo Stato possa andare oltre per mantenere l’ordine attuale mediante la forza bruta. Se le insurrezioni si verificassero contemporaneamente in più città della stessa regione o se venisse coinvolta una più ampia fascia della popolazione, potrebbe accadere di tutto.
Una tempesta perfetta
Nel 2016, quando Donald Trump vinse le elezioni presidenziali, queste rivolte cessarono improvvisamente. L’abbiamo notato all’inizio del 2018; è un enigma storico a cui si deve ancora trovare risposta. Di sicuro, la Polizia non ha smesso di assassinare o di opprimere neri e latini. Forse, ciò che è cambiato sta nel fatto che anarchici e altri attivisti erano così impegnati a reagire alla violenza fascista da non riuscire a fornire la solidarietà necessaria alle comunità più colpite dalla violenza dei poliziotti.
L’avvento dell’era Trump ha provocato un’ondata di azioni dirette partecipative che hanno coinvolto decine di migliaia di persone – dai tentativi, andati in porto, per disturbare l’insediamento di Trump e per bloccare gli aeroporti alle occupazioni dell’ICE del 2018. Tuttavia, a metà del 2018, gli anarchici e le comunità interessate erano sempre più isolati in queste lotte, mentre altri manifestanti avevano riniziato a cercare soluzioni statali.
I centristi che speravano che la disfatta di Nixon si ripetesse, perseguirono una strategia destinata a fallire cercando di mettere Trump sotto impeachment e di rimuoverlo dal suo incarico, dimostrando un’ingenuità di fondo per quanto riguarda il funzionamento del potere . La sinistra ha ripreso la sua campagna per far eleggere Bernie Sanders come presidente, attirando probabilmente alcuni centristi delusi ma scoprendo, alla fine, che la sua ambizione di voler sistemare l’America ricorrendo a un approccio verticistico era ugualmente ingenua. La mummia centrista Joe Biden, ha guidato i voti neri verso la vittoria nelle primarie Democratiche, creando temporaneamente tra alcuni esperti l’errata convinzione che la maggior parte degli afroamericani statunitensi fosse più interessata a una replica di serie B degli anni di Obama anziché a un cambiamento radicale. Col senno di poi, è chiaro che il vero problema consisteva nel fatto che in gioco non ci fossero riforme significative.
Quando la pandemia di Codid 19 ha travolto gli Stati Uniti, tutti i mezzi statalisti per cercare il cambiamento sociale erano stati esauriti. Trump ha esacerbato la situazione, cogliendo l’opportunità per organizzare un massiccio passaggio di ricchezza pari a miliardi di dollari alla classe sociale più abbiente nel mezzo della peggiore recessione economica a memoria d’uomo. In questo contesto, milioni di persone negli Stati Uniti, insieme a miliardi in tutto il mondo, hanno vissuto in isolamento da metà marzo a fine maggio, riflettendo sulla propria mortalità. Mai prima di allora era stato così chiaro che le istituzioni del potere fossero fondamentalmente ostili e distruttive per la vita della gente comune.
Questo è il motivo per cui, quando si è diffusa la notizia della risposta dei ribelli neri all’omicidio di George Floyd, anche i liberali bianchi della classe media hanno sentito la tragedia in modo profondo. Con la pandemia, alcuni dei meccanismi che di solito fanno sì che i privilegiati non s’identifichino con i più emarginati sono stati sospesi.
Coloro che sono sempre stati presi di mira dalla Polizia, che soffrono maggiormente per razzismo e povertà, hanno riconosciuto che sarebbe stato in quel momento o mai più. Eroicamente, in tutti gli Stati Uniti, hanno messo le proprie vite in gioco attaccando su larga scala i loro oppressori – e milioni di persone esaurite dal lockdown di tutte le classi e dai background differenti si sono unite a loro nelle strade.
Trump e altri politici sono rimasti senza parole a causa delle rivolte scaturite dall’omicidio di George Floyd, sostenendo che erano state coordinate dagli anarchici; in effetti, hanno fatto più loro per provocare le rivolte di quanto non avrebbero potuto gli anarchici. Sono state le politiche dello Stato stesso a permettere la diffusione dell’intelligenza collettiva a capo dell’insurrezione – inquadrando come obiettivi legittimi Polizia, banche e aziende, e facendo capire praticamente a chiunque i motivi per cui la gente li avrebbe attaccati. Il supporto esplicito di Trump per i suprematisti bianchi, le sue politiche xenofobe relative ai confini, i suoi tentativi di abolire l’accesso all’assistenza sanitaria, il suo contributo all’accelerazione del riscaldamento globale e il suo rifiuto di fornire qualsiasi tipo di sostegno a chi è minacciato dalla disoccupazione o dal COVID-19, hanno mostrato a chiunque che tutti stiamo affrontando una lotta per la vita, non solo per quelli che vengono regolarmente uccisi dalla polizia.
Forse, dopotutto, l’ora più buia annuncia l’alba.
L’efficacia dell’insurrezione
Laddove le campagne riformiste sono fallite una dietro l’altra, il coraggio di chi ha bruciato il Terzo Distretto di Minneapolis ha permesso l’insorgere di un movimento per il cambiamento sociale senza precedenti. Le vittorie conseguite solo durante la prima settimana superano ciò che altre iniziative erano riuscite a realizzare negli anni. Non dovremmo sottovalutare il contributo degli abolizionisti che, lavorando per decenni, hanno consentito alle persone di immaginare di poter fare a meno di Polizia e carceri; tuttavia, molti di quelli che hanno dato vita a questo movimento non si considerano affatto attivisti.
Le ultime tre settimane hanno offerto la dimostrazione più convincente dell’efficacia dell’azione diretta negli ultimi decenni. I liberali cercheranno di interpretare la forza del movimento come una mera questione numerica ma questi numeri sono diventati tali solo perché ribelli coraggiosi hanno dimostrato di poter sconfiggere la Polizia di Minneapolis in una battaglia in campo aperto. L’idea di abolire la Polizia ha continuato a essere ritenuta inammissibile fino a quando non è diventato chiaro che i rivoltosi avrebbero potuto rovesciarla ricorrendo alla forza bruta. Quindi, e solo allora, l’idea della sua abolizione è diventata uno dei punti principali all’ordine del giorno.
Ora, tutti lo sanno: l’azione diretta fa ottenere dei risultati. Sarà molto difficile chiudere il vaso di Pandora. Dai centristi che stanno improvvisamente lottando per ridurre la questione dell’abolizione della Polizia a quella legata al “tagliare i fondi” allo stesso Donald Trump, che ieri è stato costretto a imbastire una scenetta per chiedere riforme della Polizia, è innegabile che i disordini abbiano cambiato le priorità di tutti. Anziché alienare le persone, come hanno sempre sostenuto i detrattori, l’azione diretta conflittuale ha conquistato milioni d’idee e valori che, altrimenti, non sarebbero mai stati presi in considerazione.
Poiché i movimenti di tutto il mondo interiorizzano queste lezioni, ciò avrà effetti a lungo termine su scala globale. Le azioni di solidarietà internazionale hanno già avuto luogo in oltre 50 altri Paesi e in alcuni di questi si è potuto assistere a rivolte imponenti .
Come scrivemmo nel 2014, una delle cose più importanti di un movimento come questo è che, alla fine, ci consente di piangere insieme e di riappropriarci di ciò di cui eravamo stati derubati – non solo per quanto riguarda gli omicidi quotidiani di afroamericani, latini e poveri, non solo per quanto riguarda l’incarcerazione e la deportazione di milioni di persone ma anche per quanto riguarda i modi in cui l’ordine imposto dalla Polizia preclude il potenziale di tutti. Per alcuni di noi, quest’ordine rappresenta l’impossibilità di accedere alle risorse e all’istruzione di cui abbiamo bisogno per valorizzarci al meglio alle nostre condizioni; per altri, ci impedisce di avere accesso alla pietas sepolta nel profondo del nostro cuore per coloro che sono maggiormente presi di mira rispetto a noi; per altri ancora, rappresenta la minaccia di porre fine alle nostre vite nella loro interezza. Sconvolgendo quest’ordine, riscopriamo cosa potrebbe significare vivere appieno, all’interno di una comunità estesa e pregna di significato, concedendoci di sentire profondamente e di agire secondo coscienza.
Le sfide del futuro
Niente di tutto ciò significa che d’ora innanzi le cose saranno facili. Diamo un’occhiata ad alcuni dei rischi che affrontiamo.
Fino a ora, Trump ha cercato di trarre benefici dalla polarizzazione sociale. Durante la prima settimana della rivolta, sembrava possibile che potesse approfittare dell’insurrezione come una sorta d’incendio del Reichstag per mettere le mani su un potere ancora maggiore, forse instaurando la legge marziale. Esistono prove a conferma del fatto che i suoi sostenitori abbiano perseguito apertamente questa strategia. Il 29 maggio, un sergente dell’Aeronautica Militare e un altro membro del movimento suprematista bianco “Boogaloo” hanno ucciso un ufficiale della sicurezza federale a Oakland, apparentemente durante un’operazione sotto falsa bandiera intesa ad accelerare l’avvento della guerra civile.
La presa di potere di Trump era abbastanza forte da sopravvivere all’impeachment ma non lo era abbastanza da mobilitare i militari contro la popolazione. La comparsa della Guardia Nazionale per le strade di molte città ha fissato un limite su quanto la rivolta potrebbe spingersi in quelle località ma le manifestazioni si sono diffuse solo in altre città, attirando sempre più partecipanti e sostenendosi ed espandendosi per includere nuove tattiche tra cui abbattimenti di statue e occupazioni . Trump ha minacciato di invocare l’Insurrection Act per scatenare l’Esercito contro i manifestanti ma altri membri del Governo si sono impuntati affinché ciò non accadesse. L’11 giugno, il capo di stato maggiore dell’Esercito degli Stati Uniti si è scusato per essere apparso accanto a Trump durante una mossa pubblicitaria al di fuori della Casa Bianca l’1 giugno. Mentre il clima politico diventa sempre più instabile, coloro che si trovano a capo delle forze armate comprendono appieno di dover preservare la patina di legittimità che li contraddistingue per non far crollare l’intero castello di carte.
Quando diventerà chiaro che è impossibile isolare e distruggere i nostri movimenti, il prossimo pericolo che potremmo correre sarà che questi vengano gentrificati e cooptati. La repressione della Polizia si è rivelata inutile perché è intrappolata in un ciclo in cui tutti i suoi strumenti per controllare il disordine non fanno altro che diffonderlo sempre più. L’affluenza di aspiranti politici, dirigenti e altri presunti leader nelle strade ha fatto di più per smorzare la rivolta di quanto non avrebbe fatto qualsiasi quantità di violenza statale. Ciò costituirebbe ancora una piccola minaccia per lo slancio del movimento se tutti i partecipanti avessero interiorizzato l’importanza dell’orizzontalità e dell’autonomia, come dimostrato dalla vittoria a Minneapolis; ma ci vorrà del tempo per imparare quelle lezioni e ci sono molti potenti attori istituzionali che hanno tutte le ragioni per interferire.
I centristi stanno diffondendo la versione più superficiale delle nostre argomentazioni, parlando di far tagliare i fondi alla Polizia senza prendere in considerazione nessuna delle profonde disparità di ricchezza e potere per cui la Polizia esiste per mantenere. Dovremo continuare a spiegare perché ci opponiamo al controllo della Polizia e ad altri aspetti del capitalismo e dello Stato – e questo, anziché diventare meno complicato, potrebbe diventare più difficile mentre i liberali si appropriano dei nostri punti di vista e della nostra retorica.
In futuro, mentre probabilmente potremo vedere alcune modifiche ai protocolli di Polizia o persino all’istituzione stessa della Polizia, le autorità mireranno a farlo a spese delle nostre comunità, cercando di guidare l’attività antisociale negli spazi che abbandonano. Altrove, la Polizia ha già utilizzato questa strategia per punire quartieri ribelli, come a Exarchia ad Atene, in Grecia. Ciò rende particolarmente urgente impegnarci sugli aspetti positivi dell’abolizione della Polizia, affrontando le cause profonde del comportamento distruttivo e antisociale. Dato che la maggior parte delle nostre comunità possiede un accesso limitato alle risorse, questo non sarà facile ma, poiché lo Stato non interverrà per salvarci, sarà necessario a prescindere.
Le forze dell’ordine, soprattutto a livello federale, continueranno a cercare di armare ogni elemento tossico che possono trovare nei nostri movimenti, dalle dinamiche oppressive su razza e genere all’egotismo e ai conflitti sociali. Gli accordi di solidarietà formali sono un passo importante verso il consolidamento delle nostre debolezze collettive ma le dinamiche interpersonali rappresentano un altro fronte sul quale dobbiamo intensificare gli sforzi per gestire i conflitti in modo costruttivo.
In tutto il Paese, stiamo già assistendo a raid e visite da parte dell’FBI. Mentre i tribunali distrettuali sono sommersi da casi che li hanno invasi durante la pandemia e alcuni pubblici ministeri si stanno rifiutando di presentare accuse minori contro i manifestanti, gli investigatori federali stanno cercando di farla pagare il più caro possibile a coloro cui danno la colpa per la rivolta. Questo thread di Twitter illustra alcune delle strategie adottate dai federali per identificare i manifestanti. Il supporto che riceveranno questi imputati determinerà quanti altri procuratori federali prenderanno di mira chi ha fatto parte del movimento e quanto slancio rimane per il futuro.
Infine, c’è la minaccia incombente di un’intensificazione dell’attività fascista, che distoglierebbe l’attenzione dalla violenza della supremazia bianca dello Stato e farebbe mettere sulla difensiva gli attivisti e le comunità prese di mira. Nel 2017, anarchici e antifascisti sconfissero un movimento fascista in forte espansione – sbarazzandosi di una minaccia che avrebbe potuto rendere impossibili le vittorie degli ultimi tre anni. Resta da vedere se la continua polarizzazione della nostra società darà origine a un’ondata di organizzazioni fasciste; ma le milizie si sono mobilitate in molte città e fascisti e altri individui di estrema destra, incoraggiati dalle richieste di Trump di trattare gli antifascisti come terroristi, hanno già sparato ad alcuni manifestanti a Seattle e ad Albuquerque .
Qualunque cosa accada in futuro, dovremmo ricordare per il resto della nostra vita quanto, solo un mese fa, tutto apparisse tetro e quanto rapidamente la situazione sia cambiata. Sebbene le rivolte scoppiate in tutto il mondo nel 2019 suggerissero la possibilità che ciò sarebbe accaduto anche negli Stati Uniti, pochi lo avevano previsto dopo la diffusione del COVID-19 e il conseguente malessere. Anche quando sembra che non esistano, ci sono sempre occasioni per resistere all’ordine dominante e per trovare una causa comune con gli altri. Possa questa esperienza sostenerci nei difficili anni a venire.
Resoconti
Nei seguenti resoconti anonimi, gli anarchici di tutto il Paese raccontano le loro esperienze durante la prima settimana della rivolta. Per approfondire, visitate It’s Going Down e leggete il nostro articolo precedente, “L’assedio del terzo distretto di Minneapolis.”
Minneapolis
Richmond
New York City
Grand Rapids
Cleveland
Philadelphia
Austin
Fort Lauderdale
Atlanta
Seattle
Coda: Minneapolis , ancora
Minneapolis, 26 maggio
Abbiamo marciato lungo Lake Street, trascinando barricate nella strada e scrivendo “Fuck 12” insieme a dei teenager. Qualche ragazzino che si è unito alla protesta ha urlato eccitato che eravamo come Martin Luther King, Jr. e un altro ha risposto “No, fratello, siamo Malcolm X!” La nostra diramazione ballerina del corteo era arrabbiata e gioiosa e in preda all’escalation… e poi siamo arrivati al Terzo Distretto. Mentre salivamo, alcuni giovani afroamericani stavano sfasciando un’auto della polizia, strappandone il cambio e facendo a pezzi montagne di multe in bianco, fino a quando non hanno preso d’assalto il cancello del parcheggio del Distretto. Un ragazzo ha distrutto ogni macchina con uno skate fino a quando un’anziana ha urlato “ASPETTATE FERMI!!!” Pensavo che la tanto attesa peace police fosse finalmente arrivata, fino a quando la donna non finì la frase: “Colpite anche le loro auto private!”
Nelle ultime notti, l’atmosfera era di quelle che si potevano tagliare col coltello. Abbiamo visto persone che si guardavano le spalle l’un l’altra, condividendo cibo e saccheggiando birra con degli estranei, ballando, distribuendo vernice spray e disinfettante per le mani, abbracciandosi anche se non avrebbero dovuto. Qualcuno ha preso un set di mazze da golf da un banco dei pegni e l’ha consegnato a chi si trovava davanti alla US Bank. Sembrava quasi uno sport di squadra e quelle vetrate erano gli avversari ed eravamo tutti nello stesso team. I ribelli colpivano a turno un bancomat con una mazza e guidavano le macchine mentre la folla applaudiva. Il cielo era così carico di fumo che sembrava fosse ricoperto da nuvole scure. E poi la stazione di Polizia era in fiamme.
Minneapolis, 28 maggio
Circondato da macerie incenerite e strade inondate di acqua, non riesco quasi a descrivere lo spettacolo cui stavamo assistendo quella notte fuori dal Terzo Distretto. Era come se fossimo stati tutti trasportati in un lontano futuro, dopo l’apocalisse. Provate a immaginare insieme a me.
Il Distretto si trova dall’altra parte della strada. La gente usa le insegne strappate dai negozi adiacenti per costruire delle barricate che la protegga dai lacrimogeni. Le persone intorno a me vengono colpite da proiettili di gomma. Mentre il sole inizia a tramontare, la fiducia in se stessa della folla ha alti e bassi. L’obiettivo finale è ovvio ma la vittoria non è ancora certa.
Qualcuno raccoglie delle pietre da alcune pile di macerie e le frantuma per ottenere pezzi più piccoli. La gente si è appropriata di un bidone della spazzatura del Target e lo sta riempiendo per poi scaricarlo vicino alla prima linea. In questo scenario, è difficile per chiunque pensare per più di cinque o dieci secondi prima di agire, agenti inclusi. Ciò offre a chiunque sia in grado di pianificare qualche minuto di vantaggio.
Non passa molto prima che un tizio si precipiti correndo, con uno sguardo familiare di assoluta serietà negli occhi. Alcuni dei suoi amici sono schierati al lato dell’edificio armati di scudi ma hanno bisogno di aiuto. Dopo pochi istanti ci troviamo di fronte a una raffica incessante di granate stordenti e proiettili di gomma. Gli scudi ne respingono la maggior parte. La gente intorno a noi sta usando le pietre per sopraffare la decina di poliziotti dal nostro lato dello stabile, concentrandosi su un punto debole della loro fortificazione anziché attaccarli tutti insieme.
Quando i poliziotti hanno iniziato a ritirarsi, gli applausi si sono fatti assordanti. Mi facevano male le orecchie sentire le migliaia di persone intorno a me urlare: “Bruciatelo!”, mentre tutti insieme scavalcavano le recinzioni. Era come se fossimo le prime persone ad atterrare sulla luna. Qualcuno ha rinforzato la zona con delle barricate; altri si sono semplicemente alzati e hanno riso, senza perdersi nulla.
Alla fine della nottata, alcuni teenager avevano circondato l’edificio in fiamme, andando sullo skate, tenendosi per mano, stando seduti in strada con bottiglie di champagne. I più grandi passavano con le mascherine chirurgiche, salutando i ragazzi. Non potranno mai portarcelo via.
Richmond, 30 maggio
La notte del 30 maggio, mi sono unito a centinaia di altre persone all’incrocio tra West Broad Street e North Belvidere Street dove, la sera prima, un autobus era stato incenerito dai nostri. Né la nostra rabbia né la sensazione del nostro potere erano diminuiti. Non vedevamo l’ora di prendere ancora d’assalto la città. Mentre la folla si mobilitava, scaldandosi con un corteo attraverso il vicino campus universitario, siamo tornati all’incrocio tra Broad e Belvidere per imbatterci in autopattuglie ferme, con gli agenti in piedi accanto a esse. Senza esitazione alcuna, chi era davanti si è precipitato contro i poliziotti, facendoli scappare quasi all’istante, e anche l’atmosfera della seconda notte era stata creata: se l’erano filata!
Abbiamo imperversato per la città, desiderosi di superare noi stessi, lasciando sul nostro cammino monumenti profanati, un museo Confederato incendiato, banche devastate e catene di negozi – tra cui un Whole Foods appena costruito – saccheggiate. Per ore, abbiamo giocato al gatto e al topo con i poliziotti, vanificando i loro tentativi di dirigerci e spostandoci più rapidamente di quanto non tentassero di bloccarci. Ancora una volta, siamo tornati verso Broad e Belvidere, imbattendoci in cordoni di agenti antisommossa e veicoli blindati. Hanno cercato di guadagnare terreno, diffondendosi dai loro quartier generali assediati, solo per confrontarsi con una folla non intimidita dalla forza. Lacrimogeni, proiettili di gomma e proiettili marchianti combattuti con pietre, mattoni, laser, barricate in fiamme e tutto ciò che potevamo scagliare verso il nemico per tenerlo a bada. Una lunga fila di macchine ha bloccato una strada parallela a quella dove si stava svolgendo la battaglia, strombazzando e applaudendo in nostro sostegno, mentre l’incrocio alle nostre spalle era diventato teatro di auto e moto sgommanti, con le autoradiono che continuavano a pompare “Fuck the Police” di Boosiee e “Knuck if You Buck” di Crime Mob.
Cities, fuck ‘em! Narcotics, fuck ‘em! Feds, fuck ‘em! DAs, fuck ‘em! We don’t need you bitches on our streets, say with me, Fuck the police!
Ruotando su me stesso, non potevo quasi sopportare tutto ciò che stavo vivendo. Era una tempesta di lacrimogeni, scarico delle auto, fumo di ganja e di roba bruciata che riempivano l’aria mentre i militanti si scontravano e gli amici si abbracciavano e danzavano senza farsi troppo problemi. Ciò che era iniziato con rabbia e dolore era diventato una lezione sul nostro potere; anche se l’aspra battaglia continuava, mi ritrovai a sorridere. Negli spazi che avevamo aperto, c’erano motivi di gioia per esplodere nel mondo, gioia non ostacolata dalla paura. I poliziotti rimasero lì in silenzio, per ore, nel caldo, con indosso il loro pesante equipaggiamento. Verrebbe da chiedersi se ci invidiassero.
New York City, 30 maggio
Union Square. Gli agenti in assetto antisommossa sulla 14th Street, impediscono al corteo di spostarsi più a nord. Il clima è sia gioioso sia teso; la musica indugia nell’aria. A New York, è normale vedere un altoparlante su ruote – all’estremità di una bici o dentro un carrellino per la spesa. Stasera, all’incrocio tra la 14th e Broadway, ci godiamo una serenata. Anziché continuare a marciare, la folla s’irradia lungo diversi quartieri. Nessuno sa come andare avanti. Procediamo in preda all’ansia, prevedendo una mossa della polizia. All’improvviso, come per rompere la situazione di stallo, qualcuno fa oscillare un martello attraverso la vetrata della Chase Bank. Quindi, tutto in una volta, l’intera zona dalla 14th e da University alla 12th e alla 4th si anima di rumori.
In passato, su ogni angolo di questa strada si potevano trovare dei bidoni della spazzatura. Ora, sulla strada, ce ne sono quattro che prendono fuoco. All’incrocio, si sente la sirena di un’unica macchina della polizia. La folla si disperde. Perdo i miei amici nella confusione.
A ripensarci, ero andato con troppe persone. Il nostro gruppo è stato riunito in fretta e furia. I nostri fattori di rischio e i nostri modi di interagire con una rivolta sono variati ampiamente. Sebbene fossimo poco più di una manciata, eravamo pur sempre troppi e questo ha fatto sì che fosse impossibile tenere traccia di tutti contemporaneamente. Nelle notti successive sono andato solo con uno o due amici fidati, con l’accordo di non separarci.
Ho girato l’angolo all’isolato successivo. Un gruppetto di manifestanti stava martellando diligentemente un paio di camionette della polizia abbandonate. Alcune persone stavano sorvegliando il negozio all’angolo, non tanto per reprimere la rabbia della folla quanto per farla convergere. Nessuno stava proteggendo le banche. Una camionetta distrutta era in fiamme. In seguito, ho scoperto che un’altra era stata bruciata completamente a un paio d’isolati prima. La tensione stava aumentando. Gli sbirri hanno iniziato a entrare da una strada secondaria. In molti sono fuggiti. Essendo da solo, ho deciso di correre anch’io.
Ho messo una certa distanza tra me e il caos sulla 14th Street. Mi sono tolto il maglione, felice di essere libero dal suo calore eccessivo. Ho gettato la mia borsa sotto un’auto parcheggiata, dove sarebbe stato meno probabile che fosse trovata, e ho attraversato Washington Square. Qui c’erano soprattutto famiglie, musicisti, gente che – apparentemente non scossa dalla devastazione delle strade vicine – si stava godendo le ultime notti fresche di tarda primavera. Sarebbe stata una lunga camminata verso casa.
Avvicinandomi a Broadway-Lafayette, ho notato alcuni appendini sparsi sul marciapiede. Un corteo di circa un centinaio di giovani si aggirava per Soho. Come ho scoperto in seguito, le loro azioni hanno preparato il terreno per le notti successive.
Per alcuni, potrebbe essere sorprendente sentire che le situazioni più drammatiche erano ancora permeate da un’aura di serenità. Non è un caso che buona parte del saccheggio sia avvenuta quando nei paraggi c’erano pochi sbirri. La sfrontatezza e l’imprevedibilità dei sediziosi hanno dato del filo da torcere alla risposta della polizia. Di tanto in tanto, gli ufficiali si precipitavano su gruppo di persone per effettuare uno o due arresti. Era una tattica intimidatoria. Si affrettavano se noi correvamo; correvamo in modo tale che non fossero obbligati ad arrestarci. Un teatrino.
A volte, la gente ha mantenuto la posizione. A volte, sono stati gli sbirri a ritirarsi.
Soprattutto a New York, le implicazioni razziste della narrativa del bravo/cattivo manifestante sono palesi. Le prime due notti, ho visto pochissimi casi di ciò che è stato chiamato riot shaming – la sorveglianza di giovani afroamericani e latini in seguito agli omicidi da parte della polizia. Al massimo, le controversie riguardavano gli obiettivi, non le tattiche. Mentre sempre più bianchi si univano al movimento da una notte all’altra, ho visto questo passaggio narrativo in tempo reale, dal “non qui” al “non farlo.” Ho iniziato a vedere i bianchi scontrarsi fisicamente con i manifestanti neri con la premessa che ciò che stavano facendo fosse negativo per il movimento. Di solito, cerco di evitare dichiarazioni totalizzanti. Tuttavia, alla luce delle implicazioni di questa dinamica, voglio dire una cosa: non spetta ai bianchi dire la loro su quale dovrebbe essere la risposta appropriata al costante omicidio di persone nere da parte della Polizia.
Lontano dalle strade, i politici di sinistra e di destra hanno iniziato a pronunciarsi contro i dimostranti. Insulti razzisti sono comparsi sui quotidiani: “Questi non erano manifestanti, erano criminali, criminali.” Sia Trump sia De Blasio si sono disperatamente aggrappati alla menzogna che gli agitatori esterni siano stati i responsabili della rivolta. Si sono nascosti dietro l’ambiguità razziale di quest’affermazione per reprimere con violenza la resistenza nera. In realtà, gli afroamericani sono sempre stati in prima linea, dalle manifestazioni pacifiche agli incendi. A New York, la distinzione politica tra saccheggiatori e manifestanti ha coinciso con uno sforzo consapevole di condannare una parte del movimento che non era guidato solo da neri ma aveva, in modo sproporzionato, più partecipanti neri. In diverse occasioni, Trump stesso ha accennato al mito secondo cui le proteste violente oscurano quelle pacifiche. Se questo non conferma a chi appartenga il programma di questa narrativa, non so cos’altro potrebbe farlo. Non c’è altro modo per dirlo: condannare il saccheggio e lodare i cortei pacifici vuol dire demonizzare l’autodeterminazione dei neri e favorire la maggioranza delle moltitudini bianche.
Tuttavia, alcune persone sostengono che i saccheggiatori siano solo criminali opportunisti che, in realtà, non sono lì per protestare. Per me protestare non è un atto a sé stante. È il motivo per l’azione. Si può marciare in segno di protesta, ci si può dimettere dall’ufficio in segno di protesta, si può fare lo sciopero della fame in segno di protesta e, sì, si può saccheggiare in segno di protesta. Non si può negare che il saccheggio sia avvenuto come risposta diretta all’omicidio di George Floyd. Domenica sera, ho visto alcuni cosiddetti “criminali” razziare Lululemon per recuperare dei tappetini da yoga e dei leggings. Ho superato un negozio di tè dove, tempo prima, avevo acquistato dei regali di Natale per mia madre. Il saccheggio non è stato un modo per capitalizzare un movimento. È stata una frantumazione di status symbol basati sull’esclusione razziale. Certo, alcuni di essi verranno rivenduti ma a un decimo del prezzo che i negozi stavano facendo pagare. La stampa parla di crimine organizzato; i saccheggiatori dicono Risarcimenti fai-da-te.
Per diverse notti, lo scanner della Polizia ha emanato l’avviso che gli agenti non dovevano inseguire i saccheggiatori, presumibilmente per il rischio di lesioni. Invece, quando la polizia ha voluto affermare la propria forza sulle proteste, l’ha fatto radunando e picchiando i manifestanti pacifici. Alcuni desiderano incolpare i saccheggiatori di questa brutalità. Non è mia intenzione. Credo che ci sia un vantaggio reciproco nell’avere dimostranti che praticano la nonviolenza insieme a quelli che non lo fanno. Ogni protesta che comporta la distruzione di proprietà, contiene al suo interno un nucleo di manifestanti nonviolenti. Inoltre, una chiara divisione tra cortei ordinati e turbolenti contrassegna i primi come facile bersaglio della violenza della polizia. Ho partecipato a una miriade di cortei nelle ultime due settimane. Le mie esperienze di gran lunga più terrificanti le ho trascorse in ginocchio.
Mai prima d’allora avevo assistito a disordini così massicci e diffusi. Di solito, si lasciava una protesta solo per finire inaspettatamente nel mezzo di un’altra. Alcuni sostengono che l’illegalità sia stata coordinata dagli anarchici. Come anarchico, posso dire che era quasi impossibile persino coordinarsi con i miei amici più intimi sul dove ci saremmo incontrati. Abbiamo partecipato alle dimostrazioni ma la portata di ciò che stava accadendo andava molto al di là delle mie capacità. Non dimenticherò mai l’esercito di skateboarder che ho visto inneggiare “Apple Store! Apple Store” mentre si faceva strada attraverso SoHo. Ho visto un tizio guidare degli scontri in una strada secondaria deserta, lanciando barricate e facendo a pezzi le macchine della polizia con una roccia enorme. Così tante autopattuglie sono state rese inutilizzabili quelle prime notti che le uniche in grado di circolare andavano in giro con le scritte PIG (porco) FTP (Fuck the Police – Fanculo gli sbirri) sulle portiere.
È stata davvero un’esperienza umiliante. A un certo punto ho dovuto rivalutare il tipo d’impatto che stavo avendo e come avrei potuto essere più utile. Sarà da dieci anni che mi sbatto sul campo ma non avevo mai visto nulla di simile. Tanto per dire: fino a ora, la tattica più conflittuale utilizzata dagli anarchici è stata il presentarsi con un martello e spaccare le vetrine. La seconda notte, a New York, parecchie persone cui non gliene poteva fregare di meno di Bakunin stavano saccheggiando armati di pale. Erano dappertutto. Mai nella mia vita ho pensato che gli anarchici dovessero essere l’avanguardia della rivoluzione ma buona parte di ciò che avevo da offrire in questo momento era solo una goccia d’acqua durante una tempesta.
Ho iniziato a presentarmi con guanti e giacche extra. La militanza può avvenire spontaneamente, ho pensato, ma questo non vale per le misure di sicurezza. Dato il clima delle teorie cospirazioniste legate ai mattoni e le accuse nei confronti di agitatori esterni, ero un po’ nervoso all’idea di offrire qualcosa. Per fortuna, sono stati ben accetti.
C’è molto che chi ha esperienza nelle piazze può insegnare ai principianti. Se qualcuno sta attirando parecchia attenzione da parte della polizia o delle telecamere, proteggilo. Assicurati che si sbarazzi dei marchiatori e si allontani in sicurezza. Allo stesso tempo, dovremmo imparare dai nuovi arrivati che accellerano gli eventi. Può capitare che, dopo anni di conflitti, le persone sviluppino una comfort zone. Uscirne sarebbe un’ottima cosa. Ci sono ragazzini che vanno da zero a cento in una notte. Non blocchiamoci a cinquanta.
Sulla lunga distanza, il cambiamento radicale implica sapere quando accellerare e quando ridurre i rischi al minimo. Al giorno d’oggi, sostenere chi è stato arrestato ha un valore inestimabile. Chi dona tempo, alimenti e denaro – che aspetta fuori dal carcere con caricabatterie e cibo – rende possibili ondate di resistenza. Immagino che continueremo a sentire ogni tipo di accusa provenire da ogni parte del Paese. La nostra capacità di sostenere gli imputati modellerà in modo sostanziale il futuro della rivolta a venire.
Entro la metà della settimana successiva, la repressione della polizia ha iniziato a farsi sentire. Avevano iniziato a circolare notizie di arresti di massa, percosse, interrogatori e sulla sospensione dell’habeas corpus. Qualcosa si stava muovendo. La gente aveva vinto le piazze. Il coprifuoco dichiarato lunedì notte ha fatto diminuire il numero di persone nelle strade. Alle 20.00, i principali ponti che collegavano New York erano sorvegliati dalla polizia. I compagni avrebbero aperto le loro case a quei manifestanti intrappolati in altri quartieri. Essere fuori dalle 8 ha fatto sì che tornare a casa fosse un’odissea.
Ma chiariamo una cosa. La potenza e la bellezza delle prime notti non sono stati affatto repressi dalla polizia. Né sono stati cooptati da leader autoproclamati. La verità è che nessuno aveva mai immaginato che, nella New York odierna, la rivolta potesse essere possibile su una così vasta scala. Ogni notte ha superato la precedente. Venerdì sera, a Brooklyn, molti Distretti sono stati saccheggiati e una camionetta della polizia è stata data alle fiamme. Sabato, Union Square è stata distrutta e il saccheggio ha avuto inizio. Domenica, Soho era completamente devastata. Lunedì il saccheggio si è spostato verso il centro. Nonostante il coprifuoco, i saccheggi decentralizzati sono continuati per diverse notti. A metà settimana, quasi tutta Manhattan era stata chiusa. I negozi erano vuoti. Ovviamente nessuna macchina della polizia era stata lasciata incustodita.
La crescita esponenziale e la forza delle proteste hanno colto di sorpresa le autorità. Come ho detto, De Blasio, Cuomo e Trump hanno asserito che l’insurrezione è stata coordinata da agitatori esterni. In realtà, le rivolte hanno coinvolto una vasta gamma di partecipanti. Gli obiettivi erano i negozi di lusso e la polizia – era talmente ovvio che non è stato necessario pianificare in anticipo. Si trattava solo di essere nel posto giusto al momento giusto. Fortunatamente, stava succedendo sempre, ovunque. I disordini sono andati avanti fino a quando non sono stati colpiti tutti i bersagli. Lasciata senza obiettivi chiari, la rivolta è entrata in una fase di stallo.
Ma l’ondata di resistenza che ha avuto luogo nel corso delle prime notti rappresenta solo una piccola parte di una storia molto più lunga di movimenti abolizionisti e di potere nero. Rappresenta uno zenit che, di sicuro, verrà superato da un’altra ondata. Mentre scrivo, a New York si stanno ancora svolgendo massicce proteste quotidiane. L’energia è inarrestabile, sorprendente e stimolante.
Uno degli aspetti più surreali di tutto questo calvario consiste nel cercare di tornare alla “vita normale.” Per me, significa cercare di ripristinare il mio ritmo di sonno e pulire la mia stanza mentre mi abituo alle strade di Manhattan martoriate dalla guerriglia. Vado in bici e faccio foto ai graffiti rimasti sugli edifici chiusi. So che in un certo momento del futuro, queste immagini saranno così diffuse da non risultare più spettacolari. Ciò che ti rimane davvero dopo le pause del saccheggio non sono i vestiti presi a casaccio che nemmeno vuoi, né un resoconto accurato di quando e quali vetrine siano cadute a pezzi – è l’esperienza vissuta legata al fatto che la vita può essere diversa. È una conoscenza collettiva e stiamo ancora imparando.
Per quanto posso dire, opinione generale tra gli anarchici negli Stati Uniti è che “nessuno avrebbe pensato che questo sarebbe accaduto qui.” In realtà, nessuno sa mai se qualcosa accadrà da qualche parte. Tutto ciò che si può fare è arrivare preparati, sognare in grande e sperare per il meglio. La storia è fatta da coloro che decidono di agire. Quando una finestra di opportunità si apre, si può ottenere tutto ciò che si vuole ma bisogna agire in fretta. È straordinario quanto sia facile oltrepassare la soglia.
Grand Rapids, 30 maggio
Viviamo in una città del Midwest di medie dimensioni: Grand Rapids, Michigan. Prende il nome dal fiume che attraversa il centro, sebbene il corso d’acqua sia stato da tempo addomesticato dal colonialismo. I coloni bianchi lo usavano come autostrada, tagliando legname e trasportandolo tra i suoi flussi. Questi tronchi alimentarono l’industria del mobile, e il suo sfruttamento scatenò le rivolte dei mobili del 1911. Nel 1967, la povertà, la scarsità di alloggi e il ridimensionamento guidati dal razzismo scatenarono alcune rivolte che scoppiarono all’ombra della rabbia più nota di Detroit. Quell’anno, 33 incendi furono appiccati sul lato sud-est in quartieri prevalentemente neri. Pur risalendo a decenni fa, le sue eco riverberano ancora oggi.
Sabato 30 maggio 2020 abbiamo evocato i fantasmi. Com’è accaduto con parecchie altre città di questa terra depredata, la nostra città è scesa in piazza con calma e attenzione verso la leadership formale che cercava di dirci cosa fare e come avremmo dovuto comportarci e come incanalare la nostra rabbia. Abbiamo camminato per ore sotto il caldo afoso, cercando di individuare e identificare i nostri amici in una marea di volti mascherati. Li abbiamo trovati mentre, insieme a degli estranei ansiosi, reggevano uno striscione su cui c’era scritto “Attack White Supremacy” (“Attacchiamo la supremazia bianca”); li abbiamo visti indossare degli elmetti, brandire degli scudi e passarsi le bombolette spray da una mano nervosa all’altra.
Con il passare delle ore, si poteva sentire l’ansia della folla diventare sempre più palpabile; i nostri corpi ammassati furono spinti da un lato da chissà cosa, circondando la stazione di Polizia. Era successo qualcosa. Corpi spinti, pugni che si agitavano, grida urlate in un coro di rabbia incoerente. È bastato che un braccio con una bomboletta spray si ergesse in mezzo alla folla perché tutto cambiasse. “Fuck 12” è stato scritto sul lato della storica stazione di Polizia. Dritti al punto. La folla ha esultato più forte.
Un paio di stupidi bianchi hanno cercato di usare le loro biciclette per proteggere l’edificio temendo che ci saremmo feriti. Mi scontro verbalmente con uno dei giovani. La quantità di gente ha fatto nascere paura e serietà. Poi più braccia si sono allungate, brandendo delle bombolette. “Burn The Plantation” (Bruciamo le piantagioni”) e “Shoot Back!” (“Spariamo”). Queste braccia erano diverse. Nessuna razza particolare. Persone di ogni tipo e di varie identità. Questo è stato uno degli eventi più eterogenei mai accaduti in centro. Non eravamo lì solo per bontà d’animo ma perché siamo delle fottute famiglie e migliori amici e partner e, ovviamente, combatteremo fianco a fianco per e con i nostri cari. In passato, si poteva essere certi che qualche pubblico ufficiale o gli apologeti degli sbirri sarebbero intervenuti fisicamente ma quel sabato è stato diverso. Avevamo girato pagina e ci trovavamo in un tempo differente, assistendo alla nascita di una nuova tradizione.
Applausi hanno salutato ogni scritta raffazzonata comparsa su quell’edificio, sede del Dipartimento di Polizia di Grand Rapids, del Segretario di Stato e del Tribunale, che occupa un intero isolato del centro. Allo stesso tempo, la gente stava erigendo delle barricate sull’incrocio cittadino principale. Vasi ornamentali traboccanti di fiori, bidoni della spazzatura incendiati, cartelli stradali, cassonetti, immondizia, fate voi… tutto trascinato lì per rinforzare. Le zone della strada che non siamo riusciti a chiudere sono state bloccate da automobilisti solidali che pompavano della musica dai loro veicoli. La gente ha iniziato a ballare e saltava su e giù. Lo striscione “Attack White Supremacy” è stato spostato e appeso alla barricata.
Abbiamo occupato questo spazio fino al calar della notte. Fino a quando non abbiamo udito il primo colpo di vetro e sono scoppiati gli applausi. Sì, avremmo potuto tenere quell’incrocio e ballare tutta la notte ma l’energia delle persone aveva bisogno di qualcos’altro. Perché non andare oltre?
Ogni finestra della stazione di Polizia andata. Una volta rotte tutte quelle al primo piano, la gente è salita al secondo. Un’insegna è stata rimossa e incendiata; qualcuno è entrato nell’ufficio del Segretario di Stato e l’ha appoggiata sulla sua scrivania. Qualcuno che brandiva un cartello di stop ha iniziato a colpire la videocamera di sorveglianza situata all’esterno fino a quando non è caduta. Dopo ogni atto coraggioso, un boato di applausi riecheggiava nel corridoio degli edifici. Trovare i miei amici e piangere, non a causa del cliché poetico dei lacrimogeni ma per lacrime di gioia, ridendo così tanto. La nostra città? Sul serio? Sì. La folla serpeggiava attraverso tutti i negozi e gli edifici del centro, distruggendo. Oltre cento vetrine, dicono. Fuochi accesi, negozi saccheggiati. Quello di abbigliamento maschile alla moda. “Qualcuno ha bisogno di una cintura?” ha chiesto un tizio con una rastrelliera. Carte magic prese da una fumetteria sono state condivise, sushi del ristorante di lusso è stato distribuito, la gioielleria fatta a pezzi, il negozio per abiti da sposa, il museo, la stazione televisiva… tutto sotto la luna di quella notte è stato distrutto.
Immagino che il 2020 verrà aggiunto al nostro piccolo elenco di rivolte. Lo sto ancora accettando. Adesso, in centro, ci sono una marea pannelli beigiolini che rattoppano e rinforzano le vetrine. Bende che cercano di curare contusioni. Che ridere. Non funziona così. Ora perseguiteremo il futuro.
Cleveland, 30 maggio
Alla fine è successo.
Alla fine è successo. Dopo anni di ripristino liberale, dopo anni passati ad ascoltare il canto delle sirene riformista, dopo anni di “autocontrollo” della comunità come risultato della paura per la rabbia e per le rappresaglie della Polizia, alla fine è successo… e ovviamente non ero lì per vedere la rivolta sbocciare in tutta la sua gloria. Invece di essere nelle strade, inalare lacrimogeni e aver a che fare con i proiettili di gomma, sono stato segregato in un luogo sicuro, per aiutare a gestire la logistica di backend per medici e altro personale di sostegno, guardando tutto quello che stava accadendo attraverso livestream e scanner della polizia… In un attimo, tuttavia, la nostra squadra di supporto è diventata cieca e sorda mentre i livestreamer venivano spinti fuori da un centro trasformato in zona di guerra e gli scanner della polizia erano morti.
Mentre il giorno si trasformava in notte e l’azione si spostava al di fuori del centro cittadino, la città è diventata completamente irriconoscibile, indecifrabile, non solo per la polizia ma anche per i sostenitori e i partecipanti. Le fila dell’attivismo, le fila degli spazi identificati dell’azione discorsiva, sono crollate in uno scontro diretto tra la comunità e le persone che erano lì per occupare le nostre comunità con la forza militare. Alla fine, la gente aveva abbandonato la “leadership” politica di gruppi attivisti affermati ed era entrata nel regno dell’azione diretta, dell’intervento diretto nella propria vita.
Ho lasciato la sicurezza del luogo protetto per incontrarmi con il resto del mio nucleo famigliare, che era al sicuro in tutta la città. Le strade erano deserte. Il paesaggio era punteggiato da cordoni di sbirri che bloccavano ponti e rampe di uscita. In lontananza, il fumo delle autopattuglie in fiamme era ancora visibile all’orizzonte.
Al calar della notte, i ricognitori hanno iniziato a pattugliare le strade, alla ricerca di scontri, alla ricerca di spazi in cui supporto e intervento fossero possibili. Quella notte ho aiutato a far addormentare i bambini, ho salutato e mi sono fatto forza per addentrarmi nell’ignoto. Questi sono stati alcuni degli addii più difficili che io abbia mai pronunciato, dicendo ai più giovani che sarebbe andato tutto bene, che quella era una lotta per la liberazione, che sarei stato al sicuro – pur non essendo del tutto certo di tale sicurezza.
La Guardia Nazionale era in arrivo, la città era ufficialmente in stato di assedio, il coprifuoco era in atto e siamo partiti, verso l’abisso, con la velocità del nostro veicolo come unica protezione.
Buio. Le luci della città sono spente. Dietro l’angolo, nelle strade, si può vedere la spazzatura uscita da bidoni della spazzatura rovesciati. Gli scanner della polizia stavano chiamando rinforzi, trasmettendo informazioni sul saccheggio. In lontananza potevamo vedere carovane di automobili con bandiere rosse, nere e verdi. Ogni curva, ogni strada secondaria, ogni zona commerciale offriva la possibilità per occupare o per liberare – e allo stesso tempo, tutto sembrava vuoto, teso, pieno di possibilità e rischi.
Quella notte, è diventato chiaro che, almeno per un po’, le regole d’ingaggio erano cambiate sostanzialmente. Le dinamiche del potere erano state riallineate. Il bel mondo patinato di riformismo e ingenuità liberali è crollato sotto il peso della rabbia della gente. Niente è più stato lo stesso da quel momento. Ora tutto si presenta in frammenti – tutto è transitorio, materiale, radicato nella dinamica del conflitto, costante, estenuante, energizzante e, allo stesso tempo, pericoloso. Il tran tran della vita cittadina è svanito. Le strade stesse della città sembrano ergersi, combattere contro la Polizia – alzando il dito medio contro gli elicotteri della Polizia, scrivendo “Fuck 12” su una stazione di polizia. A testa alta, con tutte le pericolose possibilità implicite in questo momento.
Filadelfia, 30-31 maggio
Sabato, un corteo iniziato al Philadelphia Museum of Art si è trovato bloccato dagli agenti all’ingresso dell’autostrada. Alcuni ragazzini hanno iniziato a saltare sulle macchine della polizia, ballando su di loro e sferrando calci ai parabrezza. Non riuscivo a vedere cosa stesse succedendo tra la folla ma, quando una nuvola di gas lattiginoso schizzò in avanti, la gente indietreggiò rapidamente, temendo si trattasse di lacrimogeni. In realtà, alcuni ragazzi avevano preso gli estintori dalle autopattuglie e li avevano rivolti verso i poliziotti per bloccare il loro spray antisommossa. Forse quindici minuti dopo, a un isolato di distanza, potevamo vedere il fumo che si alzava dall’auto della polizia che era servita da pista da ballo.
Il corteo è proseguito. Diverse vetrate della banca sono state distrutte. Gli Starbucks accanto al Municipio hanno preso fuoco insieme ad alcune auto civetta. La statua di uno dei sindaci più razzisti di Filadelfia, Frank Rizzo, è stata vandalizzata davanti al Comune; in seguito, è stata rimossa. Dopo alcuni momenti di tensione con gli agenti che si trovavano intorno al Municipio, buona parte della marcia si è diretta invece verso la via principale dello shopping nel centro città. Decine di negozi sono stati saccheggiati e le loro merci distribuite a chiunque potesse farne uso.
Domenica mattina, sono uscito a fare una passeggiata con il mio partner. Avvicinandoci a Spruce, abbiamo sentito elicotteri nelle vicinanze e controllato i social. Si parlava di rivolte nei pressi della 52nd e Market, quindi ci siamo diretti da quella parte. Mentre ci avvicinavamo, siamo stati salutati da parecchi abitanti del luogo che, dai loro portici, ci dissero anche di “stare attenti” ad andare in quella direzione.
Tra Chestnut e 52nd, la prima cosa che ho visto è stata un veicolo blindato della polizia che strombazzava alla folla, composta perlopiù da giovani nelle strade. Gli uomini continuano a camminare verso gli agenti, urlando e, di quando in quando, lanciando bottiglie d’acqua verso quello che era fondamentalmente un carro armato. Da un lato, due ragazzi martellavano un po’ di cemento per rendere più efficaci i proiettili. Gli sbirri si sono diretti a nord accompagnati da applausi – c’era del fumo lassù. Forse un’auto della polizia era in fiamme? Ma anziché disperdersi o dirigersi verso il calore, sempre più gente si è radunata, mentre gruppi di persone andavano di porta in porta per strappare i cancelli di metallo preposti a tenere al sicuro ogni negozio. Per caso, abbiamo udito una giovane donna gridare: “È un negozio di Neri!”
Un gruppo di cinque donne afroamericane di mezza età l’ha rimproverata: “Ascolta, gli abbiamo dato tutto per anni. Dove ci ha portato? Che si fottano.”
Innanzitutto, è stato forzato un discount. Tutte le donne, giovani e meno giovani, si sono avvicinate per poi correr via portando con sé cuscini, coperte, camicie e vari cosmetici e articoli per la casa. Un altro gruppo di ragazzini ha iniziato svaligiare le macchinette piene di bottiglie di acqua, caramelle e profumi. In seguito hanno colpito la farmacia. Le caramelle sono state distribuite gratuitamente a chiunque passasse. A un certo punto, un elicottero della polizia ha iniziato a volare basso sopra di noi, a sirene spiegate. Il traffico stava cercando di farsi strada attraverso l’incrocio. Mi sono reso conto che alcuni dei conducenti erano gente del posto che aveva preso la macchina e stava arrivando per fare il pieno di merci. Presto, un cassonetto era in mezzo alla strada, bloccando ulteriormente il traffico.
Mentre stavamo tornando a casa, ci siamo trovati a mezzo isolato da un ragazzo che trasportava un enorme sacco della spazzatura pieno di roba saccheggiata. A tre isolati dall’azione, è sceso dal marciapiede ed è entrato in casa. “Agitatori esterni,” ho pensato.
Austin, 31 maggio
Dopo aver finalmente strappato le assi della stazione Shell sull’autostrada, dalla parte opposta dal quartier generale della polizia locale, alcuni ragazzini correvano e uscivano trasportando le cose più comuni come fossero trofei. Un adolescente ha portato alla sua ragazza una borsa gigante di Takis. Con gli occhi a forma di cuore, lei gli ha detto: “Baby! Mi hai portato una Takis!” come se fosse il dono più importante che avesse mai ricevuto.
Fort Lauderdale, 31 maggio
Fort Lauderdale, Florida: probabilmente non è in cima alla lista delle capitali delle rivolte. Ma al di là della sua reputazione di pacchiana destinazione turistica balneare, lì si trovano degli agenti e uno sceriffo particolarmente brutali e una consistente popolazione di poveri e arrabbiati. Siamo qui per mostrare solidarietà e vogliamo essere preparati per qualunque cosa possa accadere. Telefoni lasciati a casa o in macchina, un cellulare usa e getta completamente carico per le emergenze. Un sacco di acqua, crema solare; bandane con aceto di mele; maschere di scorta; igienizzante per le mani; un cambio di vestiti. Numeri degli avvocati scritti sulla pelle, luogo d’incontro e orario concordati nel caso in cui dovessimo essere separati. Siamo pronti a entrare in azione.
Mentre giriamo l’angolo del parcheggio, due agenti caricano una pila di mattoni su una camionetta della polizia, apparentemente collegata a un lavoro di manutenzione incompleto sul marciapiede di mattoni. Più tardi, i media raccolgono l’idea che, in qualche modo, gli anarchici siano andati in giro in tutto il Paese disseminando ovunque mucchi di mattoni da utilizzare in caso di rivolte. Anche se ne avessimo, sarebbe scomodo lasciarli lì; non c’è niente qui verso cui valga la pena lanciare un mattone. Per ironia della sorte, si scopre però che questo è esattamente il punto in cui la polizia inizierà la rivolta poche ore dopo.
Quando arriviamo al punto di partenza, il corteo sta ingrossandosi fuori dal parco e in strada. Siamo sorpresi dalle dimensioni della folla: è infinita! A prima vista, sembra essere ben al di sopra dei mille partecipanti ottimisticamente predetti dagli organizzatori. La strada è troppo piccola per noi. Sciamiamo in tutte e quattro le corsie, in entrambe le direzioni, su entrambi i marciapiedi, e ci riversiamo in parchi e strade secondarie in una massa che occupa diversi isolati. Che sogno, vedere quasi tutti in una marcia mascherata! L’energia è a mille: canti, pugni alzati, risate e chiacchiere tra i manifestanti, clacson quasi costanti e urla di sostegno dei passanti.
La folla è variegata, sebbene con una maggioranza di afroamericani; ci sono persone di ogni età ma uno soprattutto di giovani, tra cui liceali e ragazzi delle scuole medie con cartelli disegnati a mano. Alcuni di loro cercano far partire gli slogan “Fuck 12!”, sebbene alcuni adulti non si sentano del tutto a proprio agio; “Nessuna Giustizia, Nessuna Pace” e “Di’ il suo nome: George Floyd!” scatenano le risposte più intense. Un giovane vestito elegantemente su uno scooter rosso lucido s’infila e si allontana dalla folla suonando il clacson, pompando la gente e urlando: “Tutti insieme! FANCULO LA POLIZIA!” Volontari dalla vista acuta, con canottiere fosforescenti, gironzolano ai margini. Mentre passiamo davanti ai negozi lungo l’arteria principale, vediamo file di manifestanti in piedi con i pugni alzati rivolti verso la folla: passanti che ci sostengono mentre fanno una pausa all’ombra o pubblici ufficiali che si assicurano che non andiamo fuori controllo?
Finalmente, dopo aver marciato per parecchi isolati sotto il sole cocente, arriviamo: il quartier generale della polizia. Qualcuno è in piedi sul cartello all’ingresso del parcheggio, sventolando una grande bandiera nera e rossa. Qualcun’altro si appoggia contro il muro dell’edificio e accende una canna nell’ombra. Ci sono oltre un migliaio di persone; il parcheggio (strategicamente e preventivamente svuotato dalle autopattuglie) trabocca di gente. A parte due porci con il binocolo sul tetto, non si sono poliziotti in vista, nessuno. Ci ammassiamo davanti al muro anteriore. Qualcuno sta urlando in un megafono, ma non riesco a capire cosa stia dicendo. Qualcuno ammaina la bandiera americana dal palo vicino alla porta d’ingresso della stazione, partono degli applausi. Uno o due minuti dopo viene issata nuovamente, con la scritta “FREEDOM FOR SOME” (“LIBERTÀ PER QUALCUNO”), riscuotendo meno applausi; è il meglio che riusciamo a pensare? La maggior parte di noi sta semplicemente girovagando. Cosa faremo?
Niente, a quanto pare. Prima di rendercene conto, un gruppo di persone della prima linea si riversa ancora in strada. Siamo appena arrivati qui! Molti non si muovono, chiaramente vogliono molto più di uno scontro, una dichiarazione più forte, qualcosa. I Marshal più zelanti si aggirano tra la folla scontenta, spingendola di nuovo sulla strada per tornare in centro. “Abbiamo marciato fino a qui, per tutti e sette i minuti,” si lamenta una donna. “Non siamo nemmeno stati qui abbastanza a lungo.” La folla è frustrata e delusa, ma non si ribella. Il nostro piccolo gruppo rimane fermo e cerca di chiacchierare con gli altri intorno a noi ma in breve tempo è chiaro che qualsiasi possibilità possa essere stata offerta dai grandi numeri ci sta sfuggendo dalle mani. Abbiamo colto in anticipo dei segnali dagli organizzatori sul fatto che questa sarà una situazione fortemente autosorvegliata, nonostante la retorica del “risveglio” di chi non pratica la riot-shaming… ovvero, persone che si ribellano almeno altrove.
Dopo aver riflettuto, torniamo in strada ma cerchiamo di tenere sotto controllo la stazione mentre il corteo inizia a dilagare. L’autostrada si trova a un paio d’isolati nella direzione opposta e ci sono ancora un paio di centinaia di persone che vagano, affamate di altro. Ma le proposte informali per andare in autostrada non ottengono consenso, e con la maggior parte del corteo che si blocca più avanti, mentre i poliziotti alle nostre spalle formano un cordone di auto e moto, non sembra esserci molto che possiamo fare. Sospirando per la frustrazione, torniamo ci ricongiungiamo alla marcia.
Capannelli di persone si raggruppano intorno ai conflitti mentre i manifestanti si urlano addosso a vicenda. Un uomo di mezza età con quella che sembra essere un’insolazione chiacchiera con un paio di paramedici seduti sul marciapiede. I poliziotti stanno ancora prestando attenzione a mantenere le distanze. Stiamo bloccando solo una direzione e gli automobilisti che vanno dall’altra parte suonano quasi tutti il clacson per dimostrarci il loro sostegno. Ma le nostre energie sono al minimo. Tra i manifestanti scattano altri conflitti, poi si dissipano. Più avanti, vediamo una piccola folla raggrupparsi intorno all’ingresso di un CVS. Quando arriviamo lì, è chiaro che è scoppiato un diverbio tra chi vuole prendere ciò che c’è all’interno senza pagare e gli altri che vogliono impedirlo. I pubblici ufficiali prevalgono. Due donne di mezza età si stanno urlando addosso, discutendo se la nonna di qualcuno possa farsi prescrivere delle ricette qui. Dall’altro lato della strada, spostandosi verso un edificio, un tizio dice “Oh, aspettate, c’è una fottuta BANCA.” WHOOMP, una vetrata in meno. La manciata di ritardatari torna in strada e continuano sulla loro strada.
Dove stiamo andando? Spero al Tribunale, al Municipio, alla prigione o da qualche parte dove le persone possano sfogare almeno un po’ più di rabbia. Ma no, la destinazione finale è proprio lo stesso gradevole parco erboso da cui siamo partiti. Quando arriviamo, il corteo originale ha fatto il giro dell’isolato andando avanti e indietro su un ponte e sta riversandosi nel parco. Ci sediamo sull’erba, fuori dalla portata dei discorsi autocompiaciuti degli organizzatori. Un uomo da solo si arrampica in cima al palco, incoraggiando gli applausi e guidando lo slogan “Black Lives Matter!” e, per poco, “Fuck 12!”, anche se quest’ultimo sembra essere meno popolare. La gente girovaga per chiacchierare, flirtare, girare video e scattare foto. Vedo un drone che si libra sopra la folla e provo a pensare a come fare a bloccarlo, poi, mentre atterra, realizzo che è stato portato da uno dei manifestanti, un nerd seduto sul prato. Ben oltre un migliaio di persone sono ancora in giro sotto il piacevole sole del tardo pomeriggio e quasi nessun poliziotto è in vista, anche se sappiamo che non possono essere lontani. Il tempo di dispersione designato passa, gli organizzatori concludono i loro discorsi e la folla inizia a tornare verso le auto. In parecchi non hanno fretta di andarsene; molti stanno probabilmente godendosi la loro prima uscita pubblica di massa dopo il COVID. Un ragazzo cammina in mezzo alla gente trainando un carretto rosso pieno di ghiaccio e bottiglie di plastica: “Margaritas, punch al rum, cibo! Contanti, Venmo, Paypal!” Ci riposiamo e facciamo uno spuntino e pensiamo a quanto tempo ancora dovremmo rimanere in giro.
Poi qualcosa cambia. Lo sento prima di vederlo: una nuova energia, una tensione, poi un mormorio si propaga lungo la folla seduta. Alcune persone, poi un po’ di più, iniziano a camminare verso un incrocio e giù per una strada verso il garage nascosto alla vista. Poi, all’improvviso, decine di persone, e poi centinaia, stanno camminando, correndo, scattando in quel modo. Decidiamo di unirci a loro e vedere cosa sta succedendo. E poi — BOOM. Una granata stordente risuona in lontananza. BOOM, BOOM. Urla, e poi ancora urla. Acceleriamo il passo.
Girando l’angolo della strada, vediamo una folla compatta che circonda due veicoli della polizia. In lontananza vediamo delle luci lampeggianti, sentiamo delle urla, del trambusto. Intorno a noi, si aggirano molti curiosi, alcuni si spostano verso il conflitto, altri se ne allontanano. Sembrano tutti incazzati. La gente sta urlando contro l’auto in cui si trovano due poliziotti che stanno cercando di uscire da un parcheggio in strada. CRASH: qualcuno esce dal finestrino del SUV della polizia e il vetro colorato inonda il terreno. Il veicolo rotto si avvicina al garage e si ritira nelle sue profondità, dove riecheggiano grida di rabbia e altre esplosioni.
Ci accucciamo in un angolo e ci cambiamo. Di nuovo in strada, le persone gironzolano, sbuffando e maledicendo gli sbirri. Cos’è successo? Sentiamo delle voci ma una cosa è chiara: gli sbirri hanno iniziato. “Perché sono anche venuti bardati come se fossero pronti per la guerra, quando non abbiamo nemmeno fatto nulla? Va bene allora! Volete una guerra? E guerra sia!”
Scopriremo più tardi che la “rivolta” è iniziata quando un tizio bianco aggressivo con un distintivo ha spinto una giovane donna nera che era inginocchiata a terra con le mani in aria, provocando urla d’indignazione e una raffica di lanci di bottiglie. Un video arrivato alla CNN ha evidenziato una poliziotta nera che seguiva il suo collega bianco verso il cordone di poliziotti, urlando contro di lui, infuriata per la sua escalation insensata. L’ufficiale bianco, Stephen Pohorence, sarà “sollevato dal dovere” (cioè, riceverà lo stesso stipendio per sedersi a una scrivania con aria condizionata fino a quando le acque non si calmeranno) per la sua azione, spingendo il capo del sindacato della Polizia a sfogarsi. Pohorence, non a caso, ha una storia di arresti violenti, in cui ha minacciato i fermati con la sua pistola, e accuse di discriminazione razziale – che nessun altro, a parte i suoi obiettivi, sembrava aver notato fino a ora.
In lontananza, nel mezzo di un incrocio di fronte a un cordone di agenti antisommossa, ci sembra di vedere una donna bianca con indosso pantaloni da yoga seduta nella posizione del loto. Certo, perché no – diversità di tattiche, giusto? Sulla strada che occupiamo, ci sono macchine che cercano di fuggire dalla zona ma che sono trattenute dalla folla; su una di queste, una donna con degli occhiali da sole alla moda è seduta con un cartello Black Lives Matter. Il ragazzo del carretto rosso sta facendosi strada tra la folla, esortando le persone a prendere una posizione e urlando: “FANCULO GLI SBIRRIIIII!!!” Qualcuno sta lanciando pietre o bottiglie d’acqua sul cordone ma la maggior parte aspetta di vedere cosa succederà.
Altre esplosioni. La gente sta urlando, sorpassandomi dal cordone della polizia. Mi ribolle il sangue. Da ogni dove, la gente urla dei “Vaffanculo!” agli agenti. BOOM, e di nuovo, BOOM, le granate esplodono. Un sibilo, un turbinio di fumo colorato e una zaffata acre s’intensificano – OK, questo è gas lacrimogeno. Una giovane donna corre singhiozzando. Sono troppo arrabbiato per pensare. Il bossolo è lì per terra. Corro verso di lui, mi chino – una parte remota del mio cervello sa che questa non è una buona idea, ma è proprio lì e deve ANDARE! – e poi la mia mano lo sta afferrando, lo sta afferrando senza stringerlo troppo e lo sta sollevando in alto, il braccio si alza all’indietro e il bossolo sta volando in aria. Non provo altro che esaltazione! Vaffanculo, porci! Prendete questo! Sono tutto un fuoco!
Oh, aspetta – la mia mano è davvero in fiamme. Guardo il mio guanto sottile, che sembra ancora intatto ma la sensazione di bruciore è arrivata e pulsa più forte ogni istante. È stato stupido, stupido. Tuttavia, dovevo tirare quel bossolo. Aspetta, mi bruciano anche gli occhi. Un’altra nuvola sta propagandosi verso di me. I poliziotti non stanno caricando, quindi cammino con calma verso l’incrocio dove una folla ansiosa si sta muovendo. Lo stesso ragazzo con il carretto rosso che vende margarita sta camminando ancora in mezzo la folla, le lacrime gli solcano il viso. Intorno a me, la gente sta versando liquidi negli occhi degli altri, tossendo e sputacchiando. Un sacco di graffiti si trovano su tutto il muro di… qualunque cosa sia questo edificio. Non so nemmeno dirlo. Non riesco a vedere.
Sbatto gli occhi, lacrime a fiotti, bruciore. OK, questo è spiacevole, ma ce la posso fare. La mia mano è a posto? Non ne sono sicuro. I miei stanno bene? Qualcuno si precipita verso di me, facendomi cenno di piegarmi, alzare lo sguardo, aprire gli occhi. No, sto bene, scuoto la testa per dire. Aspetta, no, non sto bene. OK, sì, per favore, annuisco. Qualcuno tiene in mano una bottiglia di latte; cerco di tenere gli occhi aperti. Aspetta, latte? Non dovrebbe essere Maalox o qualcosa del genere? Comunque sia, sto vivendo il momento.
Sbatto le palpebre furiosamente. Volti ansiosi mi guardano preoccupati. “Suppongo di non essere più vegano,” farfuglio con voce roca al medico e agli osservatori. Ridono educatamente, per lo più felici che io stia parlando e sorridendo. Chiedo al dottore se hanno qualcosa per le ustioni; non c’è nulla ma, raccogliendo quello che sto mettendo giù, tirano fuori un pesante guanto resistente al calore e me lo offrono. Condividiamo uno sguardo pieno di significato.
I miei occhi bruciano ancora. Faccio ancora qualche passo e un altro medico me li risciacqua. Il bruciore è diminuito, ma ora la tshirt con cui ho creato una maschera è zuppa di latte e acqua, e mentre provo a tenere su la maschera per nascondere il viso, mi sento come se mi stessero torturando con il waterboarding. Non funzionerà. Fortunatamente, un membro del gruppo di affinità sta allungandomi una maschera N95 pulita – una buona idea. Tengo la maglietta bagnata alzata per coprire testa e collo ma la faccio scivolare giù dal naso e dalla bocca e allaccio la maschera. Posso respirare di nuovo. Brucia ancora un po’ e il dolore alla mano mi sta uccidendo, ma sono tornato in gioco.
OK. Dove siamo? Dove sono loro? Ci ritiriamo brevemente in una strada secondaria e valutiamo la situazione. Un altro flusso di persone: “Stanno arrivando, state tutti attenti,” grida qualcuno che sta correndo. Sì, c’è un cordone di agenti in tenuta antisommossa che avanza lungo l’altra strada. Ma sono file singole, non in formazione, e solo una decina compatte. Perché la gente va in panico? Siamo ancora qualche centinaio, forti ma sparpagliati. Devo continuare a ricordare che la maggior parte delle persone qui, anche se ha molta esperienza con singoli agenti, perlopiù non si è mai trovata in una situazione di conflitto di gruppo come questa.
Mentre assemblano un cordone su uno spiazzo erboso nei paraggi, un uomo arrabbiato si rivolge a loro sbraitando: “Ehi, froci! Siete un mucchio di figli di puttana succhiacazzi!” È chiaramente dalla nostra parte e sente la rabbia che sentiamo noi, ma questo è un po’… fuori tema. Un amico gli si avvicina e parla in modo tranquillo: “Ehi, anch’io odio gli sbirri ma mi piace succhiare il cazzo!” Non sa cosa dire. Continuiamo a muoverci.
Nessuno sa cosa fare. I poliziotti sono solo lì, su un declivio su uno spiazzo d’erba al di fuori dell’incrocio – una posizione comicamente pessima da un punto di vista tattico. Se solo volessimo, potremmo cacciarli facilmente. Ma ogni volta che qualcuno lancia loro una bottiglia, una decina di manifestanti urla rabbiosamente di fermarsi. Invece, inizia un ciclo; i manifestanti formano un cordone in semicerchio di fronte a quello dei poliziotti ma non si avvicinano abbastanza per affrontarli. La gente s’inginocchia, inizia a intonare slogan o urla; i fotografi scattano; le persone si rivolgono indignate agli altri, dicendo loro cosa fare e cosa no.
Una giovane donna, un’alleata bianca speciale, va avanti e indietro, urlando a tutti le solite banalità sul non mettere in pericolo la gente di colore, ecc. Non sembra rendersi conto che oltre l’80% delle persone che si trovano qui sono nere, per non parlare del fatto che nessuno l’ha eletta a salvatrice delle masse e vice capo dei pubblici ufficiali. Attenti a Woke Karen: lancia una bottiglia e lei chiederà di vedere il tuo manager.
Altra gente s’inginocchia, urla, canta, aspetta. “Non abbiamo paura di voi!” grido al cordone di agenti. Non attaccano. Non so come provare a trasmettere la sensazione che in questo momento, in realtà, noi siamo più potenti di loro. La nostra paura è palpabile. Eppure, si gonfia e si sgonfia; in breve tempo, l’ago della bilancia pende verso il coraggio collettivo.
Più tardi, scopro che poco prima, uno sbirro antisommossa ha sparato in testa a una donna nera con un proiettile di gomma, fratturandole il cranio.
Sento qualcosa che si gonfia dietro di me e mi giro a guardare mentre mi scatta un allarme in testa. Ma ciò che vedono i miei occhi mi fa immediatamente eccitare. La berlina bianca che spunta tra i manifestanti sta trasmettendo un famoso pezzo hip-hop e la folla freme di gioia. All’improvviso decine, ora ben oltre un centinaio, di persone raggruppate attorno all’auto all’incrocio cantano e si muovono all’unisono con sorrisi smaglianti sui loro volti. Questo è il mio momento preferito nella dimostrazione: un breve guizzo di autentica baldoria, di assoluta felicità nel condividere l’ebbrezza collettiva insieme in strada, nonostante la violenza, contro la paura. Quando “Di chi sono le strade? LE NOSTRE strade!” sembra più di uno slogan ma una realtà fisica. Probabilmente passano solo novanta secondi prima che la canzone cambi o la gente venga distratta da qualcos’altro. Ma lo ricorderò a lungo.
La folla sta lentamente assottigliandosi. Una tizia con una calzamaglia fosforescente su uno di quegli odiosi Segway sta zigzagando lentamente in mezzo alla gente, dicendo a tutti che la polizia ci caricherà in dieci minuti. Non è un’agente; su cosa si sta basando? Dai, teniamo sotto controllo le voci! Una donna nera di 20 anni con delle unghie incredibili urla: “Ma da che cazzo di parte stai, comunque? Che qualcuno la butti giù da quel fottuto aggeggio.” Ridacchiamo tutti. Un uomo bianco muscoloso, che dice di essere appena uscito dalla prigione locale, si lamenta: “Avremmo bisogno di un po’ di meth, allora sì che la gente ingranerebbe!” Sapevo che avevamo dimenticato qualcosa.
Partono dei petardi; un fuoco d’artificio va verso il cordone di polizia. Urla angosciate dei manifestanti. Quindi — WHOOSH — altri lacrimogeni. Sono pronto questa volta. Me l’aspettavo. Mi precipito verso il primo bossolo. “L’ho preso, l’ho preso io…” Un altro ragazzo mi ha battuto; pantaloncini da ginnastica e canottiera, nessuna maschera: non credo che abbia nemmeno i guanti! Ma si sta piegando, l’afferra, lo lancia. “OK, ce l’hai fatta!” Un secondo scivola sul terreno alla mia destra e gli altri manifestanti scappano via. Mi precipito, mi chino, l’afferro con il mio guanto pesante e lo rigetto verso i poliziotti. Sento sibilare i proiettili di gomma, anche se è difficile vedere e il gas inizia a bruciare ancora. Mi giro e corro in diagonale all’indietro verso il parco, fuori portata. Non c’è copertura della folla e mi levo di mezzo. Ma non stanno caricando; gli agenti antisommossa non hanno approfittato del campo che hanno sgombrato, avanzando solo di qualche metro rispetto al pendio erboso su cui si trovavano e ancora sul lato opposto dell’incrocio.
Oh, merda, dov’è il mio gruppo di affinità? Mi sono concentrato così tanto sul gettare i bossoli verso i legittimi proprietari che ho perso la cognizione. Muovendomi lateralmente per stare lontano dalla vista dei poliziotti, osservo il flusso di manifestanti sul marciapiede vicino al museo. Oh, fantastico, vedo uno di noi. Costeggiando il parco, corro attraverso la strada e li intercetto. Eccoci qui. Ne manca ancora uno – cerca, cerca – eccoli lì, che si affrettano verso di noi. Ce l’abbiamo fatta.
“Stai bene?” “Sì, tu?” “Aargh, ho preso un cazzo di bossolo di lacrimogeni in faccia!” Oh, merda.
Giriamo l’angolo lontano dal cordone della polizia e ci accovacciamo contro un muro. Sollevano la maschera; c’è molto sangue. “Com’è?” “Uh, male.” C’è un medico in giro? Medico? Nessun medico Qualcuno ha altre bottiglie di latte, ma nient’altro. Troviamo un bandana pulito e sciacquiamo la ferita con dell’acqua. Sembra messa male ma in realtà non sanguina così tanto e il dolore è gestibile. Accidenti. Maschera ancora su. Chi è il prossimo?
Altri veicoli della polizia stanno arrivando. Nessun carica ancora ma stanno ingrossando le fila, mentre i nostri si stanno allontanando. La strada e l’incrocio sono ancora intasati ma alcune auto stanno passando e sembra che, in strada, ci siano più poliziotti rispetto a noi, con i manifestanti rimasti in agguato sui marciapiedi che deridono gli sbirri o aspettando ai margini per vedere cosa succederà dopo. Mentre ci appoggiamo a un muro, il tipo che prima si rivolgeva ai poliziotti chiamandoli “froci” chiede un accendino al mio amico succhiacazzi e si fanno una fumata e condividono un momento. Una piccola vittoria.
Abbiamo sentito delle voci su alcune persone ammassate nei paraggi del Tribunale e abbiamo deciso di andare a dare un’occhiata, visto che qui sembra tutto finito. Sono voci infondate, però, e ora siamo isolati da tutti. Penso che siamo fregati. Facciamo un salto in un vicolo per un momento fashion. Dopo esserci cambiati, siamo di nuovo in condizioni decenti e torniamo al garage dov’è iniziato il conflitto, dove speriamo di ritrovare la nostra macchina. Saliamo una tromba delle scale fino al secondo piano, quindi ci fermiamo a guardare all’esterno. L’angolo offre una vista perfetta di un muretto che attraversa il marciapiede dall’altra parte della strada, lungo il quale si legge un messaggio enorme scritto in vernice spray color oro:
THE REVOLUTION HAS BEGUN <3 (LA RIVOLUZIONE È INIZIATA <3)
Se è così, ha sicuramente molta strada da fare. Ma è un inizio.
https://twitter.com/Dakarai_Turner/status/1266549838788902914
Questi due tweet danno un’idea del tipo di filmati che le stazioni televisive conservatrici sono state costrette a trasmettere durante l’insurrezione e, per inciso, dell’inutilità della Polizia.
Atlanta, 1 giugno
Dopo gli scontri di venerdì (29 maggio), la folla ha continuato a radunarsi al Centennial Olympic Park per alcuni giorni, anche se molti negozi e bar adiacenti erano già stati distrutti e saccheggiati. All’inizio, sembrava stupido continuare ad andare lì ma c’era anche un fascino particolare. Quando la giunta comunale ha dichiarato il coprifuoco, ha gettato le basi per un conflitto certo; in molti sarebbero arrivati l’ora prima del coprifuoco, giusto in tempo per scontrarsi con la polizia.
La notte precedente, la prima scarica di lacrimogeni era stata sufficiente per disperdere la folla ma quella sera erano arrivate molte persone disposte a rispondere. Nel giro di pochi minuti, in centinaia stavano trascinando attrezzature edili in Centennial Olympic Park Drive, erigendo una barricata enorme contro la Guardia Nazionale e la Polizia. Tutt’intorno, la gente lanciava pietre e mattoni sulla strada affinché fossero utilizzati da altri, mentre alcuni li usavano per bersagliare la Guardia Nazionale. Qualcuno che pensavo fossero studenti universitari diceva di smettere di gettare roba; nel frattempo, le prime linee stavano costruendo un secondo livello di barricate alte parecchi metri. Ho sentito qualcuno dire agli studenti bianchi di rompere i mattoni se volevano aiutare – essere lì e basta non sarebbe servito a niente.
I medici stavano curando chi era stato esposto ai lacrimogeni ma in molti stavano rapidamente gettando indietro ogni bossolo. Ho visto un gruppo abbastanza ingente di neri avvicinarsi a un gruppo più piccolo di non neri presso la barricata anteriore. “Vogliamo saccheggiare alcuni negozi in Peachtree Street ma abbiamo bisogno che gli sbirri rimangano quaggiù. Ragazzi, potete aiutarci?”
“Sì, almeno 20 minuti.”
Gli attivisti anti-oppressione hanno continuato a gridare che i bianchi stavano mettendo in pericolo i neri. La polizia è stata bloccata sul luogo del conflitto per 40 minuti prima di poter disperdere la folla. Quella notte, su Peachtree Street nessuno è stato arrestato.
Seattle, 4 giugno
Dalla zona autonoma di Capitol Hill nel territorio Occupato dei Coast Salish.
Il momento più gioioso che ho vissuto è stato nelle ore successive alla sparatoria presso la Capitol Hill Autonomous Zone (CHAZ). La risposta di tutti è stata un valido esempio del fatto che non abbiamo bisogno della Polizia per proteggerci. Uno dei dimostranti in prima linea cha ha manifestato ogni giorno, ha contribuito a impedire all’aggressore di investirci con la sua vettura. L’autista gli ha sparato e i medici di strada gli hanno applicato un laccio emostatico prima ancora che scendesse dall’auto.
Nel giro di poche ore, ogni strada che portava alla manifestazione fuori dal Distretto era bloccata da barricate della polizia, massi, auto di privati cittadini e file di persone in piedi con le loro biciclette. I manifestanti si sono moltiplicati. Di fronte alla repressione sempre più violenta della polizia, e degli attacchi dei reazionari alle nostre spalle, chi di noi si trovava nelle strade ha mostrato la nostra dedizione reciproca, per dimostrare che un mondo senza polizia non è solo una dichiarazione politica ma è una possibile soluzione alla violenza delle nostre vite.
Coda: Minneapolis, 28 maggio
Alcuni anni fa, i poliziotti cercarono di rovinarmi la vita. Mi condussero in una stanza nel loro Distretto, arrabbiati e felici per essere riusciti a catturarmi, sorridendo con i loro denti radi. Mi bloccarono i piedi sul pavimento e poi mi picchiarono. L’esperienza di essere alla mercé violenta di qualcosa o qualcuno, è qualcosa con cui dovrò sempre fare i conti. In qualsiasi momento a caso, riesco ancora a sentirmi coperto di sangue. Solo. In lacrime.
Non perdonerò mai la polizia. Non sarò io a fare proclami pieni di spavalderia sulla violenza contro gli sbirri. Preferirei semplicemente che rassegnassero le dimissioni. Ma se vedessi uno degli agenti che mi picchiavano sdraiato a terra implorando di aver salva la vita mentre è in preda a un infarto dovuto allo stress, lo scavalcherei senza esitazione.
Per ore, fuori dalla stanza, i poliziotti hanno archiettato una storia da usare per accusarmi di un crimine. Di tanto in tanto venivano da me, urlando e minacciando di picchiarmi di nuovo. Inspirando ed espirando, mi sono seduto lì a dirmi che dovevo essere pronto. Immaginare i pugni, tendendo preventivamente tutto il mio corpo in attesa. Fortunatamente, non sono mai arrivati altri pestaggi. Ma la denuncia penale di un Gran Giurì è arrivata il giorno successivo.
Due anni dopo, dopo decine di udienze, fui assolto. Sono stato fortunato. Non sono finito né morto né rinchiuso.
So che, in quanto anarchico, è così che funziona. Combattiamo contro l’autorità politica, sociale ed economica in tutte le forme possibili e immaginabili. Ci imbattiamo nelle forze del dominio e non dovremmo sorprenderci quando rispondono con la forza bruta. Eppure, brucia. E anche se la mia mente e il mio corpo possono spesso trovarsi in questo stato di guerra, alla fine è qualcosa di cui voglio liberarmi.
In molti modi, la repressione da noi sperimentata può essere curata solo attraverso il processo di rivolta. Il rifiuto di massa è il rilascio complesso dei nostri desideri repressi, influenzato dai vari traumi personali e sistematici che sperimentiamo. Questi desideri non possono essere placati o compresi da campagne politiche o riforme. Purtroppo, il rifiuto di massa si verifica spesso solo dopo un evento che ha risonanza e che è estremamente doloroso e traumatico – un omicidio commesso da dei poliziotti, in questo caso. Può essere un’opportunità per far defluire una libertà che non smette di lottare per sfondare la facciata quotidiana, apparentemente senza speranza, di ciò che chiamiamo “normale” – la liberazione da razzializzazione, patriarcato, capitale, politica, scuola o religione. Di solito, la polizia è quella che reprime i nostri tentativi di liberarci da tutto ciò. Ma quando le cose escono dal suo raggio di controllo, il rilascio di energia sembra infinito.
La rivolta di Minneapolis dopo l’omicidio di George Floyd è stata una tale liberazione. Un’uscita da questa realtà, dalla disperazione impostaci dalla Storia. Rappresenta il ritorno possibile dei repressi come attori in opposizione ai vari livelli d’invisibilità che ci vengono imposti. Contro quella realtà che può spingerti verso il basso per essere povero e nero e poi ucciderti per aver cercato di spacciare una banconota falsa per vera. La stessa cosa che può anche ucciderti senza fare riscorso alla Polizia – che sia attraverso il virus o lo stress della proprietà privata, della razza, della classe o dello stigma sociale.
Il 28 maggio si è aperta una finestra. Sembrava una festa. Un grande livellamento. Molti negozi a Minneapolis sono diventati gratuiti, soprattutto nei paraggi del Terzo Distretto. La libera circolazione delle merci precedentemente bloccate presso Target e Cub Foods – ciò che viene chiamato “saccheggio” – è stato una festa per gli occhi. Penso alle volte in cui ho nervosamente taccheggiato e penso a tutte le volte che io e altri come me siamo stati beccati dalla security. Penso anche a tutti coloro che sono stati assassinati per furto o presunto tale.
Passeggiando tra la folla variegata, si poteva percepire poesia ovunque, sia nella realtà circostante sia nelle azioni di tutti i presenti. Volevo vedere tutto. Un’auto era in fiamme e la gente stava andando al Target per accaparrarsi quel poco di materiale infiammabile rimasto da aggiungere al fuoco: manichini, tavoli da esposizione e via di seguito. Una coppia un po’ bigotta suonava la chitarra, intonando le canzoni di Leonard Cohen mentre le persone si univano a loro. Da una tenda medica, presumibilmente piena di provviste saccheggiate da Target e da Cub, veniva distruibuita dell’acqua e veniva fornito il primo soccorso. Le auto si stavano riversando nel parcheggio, al punto tale che c’era un ingorgo costante. Migliaia di persone, molte delle quali munite di liste della spesa, entravano e uscivano da Target e Cub Food e riempivano le loro auto di merci liberate. Stavano sorridendo.
Ho sentito un uomo all’interno del negozio chiamare un amico per chiedergli dove si trovasse esattamente la lettiera del gatto. A un certo punto, qualcuno ha provato a far entrare un’auto nel Cub, ma non ci è riuscito. Anche un negozio di liquori veniva saccheggiato nelle vicinanze e la gente condivideva il bottino. I pavimenti di questi ex negozi sono stati inondati di acqua e carta inzuppata dagli sprinkler ma ciò non ha impedito che alcuni prendessero fuoco. Un folto gruppo di persone che si applaudivano a vicenda, ha fatto irruzione nel bancomat drive-through di una banca nei paraggi. Tutto era pervaso da un’aria di cordialità, nessun conflitto in vista – a parte i poliziotti.
Ho parlato con tanta gente. Non so quante volte persone a caso mi passano accanto e, guardandoci a vicenda, diciamo qualcosa del tipo “QUESTO È REALE? STIAMO SOGNANDO, GIUSTO? COS’È QUESTO?” Una mamma e suo figlio sono venuti da un sobborgo per vedere quel che stava accadendo. Era una sociologa e abbiamo iniziato a discutere delle ragioni per cui tutto ciò era successo. Suo figlio si è diretto verso il Target e lei è corsa via per trovarlo. Un altro ragazzo stava parlando di come ciò che stava accadendo fosse anarchia bella e buona. Le persone lì presenti erano estremamente variegate, eppure non ho assistito a nessuno dei conflitti legati alla razza che sono abituato a vedere in situazioni simili.
Più tardi, mentre il sole stava tramontando, c’è stato un altro attacco al Terzo Distretto già distrutto. Dal tetto, gli sbirri hanno risposto con lacrimogeni e proiettili di gomma, ma poi si sono fermati e si sono ritirati. Dal parcheggio adiacente, stavano sparando gas e proiettili di gomma mentre il resto degli sbirri che potevano entrare nelle auto lo facevano. Quelli che non ci riuscivano, formavano un cordone antisommossa, sparando costantemente agli astanti per proteggere chi saliva sulle macchine. Alla fine, tutti gli sbirri si sono diretti verso il cancello del parcheggio. Quelli a piedi hanno lottato per aprirlo manualmente ma, alla fine, hanno rinunciato. Un ufficiale ha usato un’auto per aprire il cancello, sfondandolo. Un cordone di agenti e macchine, dalle autopattuglie ai quad, si sono sparpagliati abbandonando il Distretto. È stato incredibile. Le pietre venivano lanciate contro di loro, puntatori laser brillavano contro di loro. Proprio così, erano spariti.
La folla si è scatenata. Il modo migliore per essere felici? Far scappare la polizia. Un incendio è divampato nell’atrio del Distretto. Nessuno ha tentato di spegnerlo e nessuno ne ha sentito il bisogno.
Veder bruciare un Distretto di Polizia è una liberazione necessaria per tutti coloro che vi sono stati trasportati con la forza, per tutti coloro che sono stati picchiati al suo interno, per tutti coloro che amano qualcuno che è stato assassinato dalla polizia. Vedere degli agenti spaventati scappare da una folla giusta è una liberazione. È curativo.
A un certo punto, è arrivato sgommando un furgone USPS, tutti i finestrini spaccati, coperti di graffiti. La gente l’ha capovolto e l’ha dato alle fiamme. Dopo cinque minuti, un altro mezzo scassato è sbucato da dietro l’angolo; l’autista stava sgommando e stava per urtare qualcuno. Alla fine, è stato convinto a rilassarsi e a fare inversione verso la stazione in fiamme; ma nella confusione, la gente continuava a mettersi in mezzo, quindi l’autista l’ha spinto nell’altro furgone USPS in fiamm, per poi salire a sua volta. Un altro è arrivato cinque minuti dopo, per essere dato alle fiamme in fondo alla strada. Quando ci viene dato libero sfogo, ciò che emerge è bello, creativo e distruttivo. Quando distruggiamo le sale del potere, dove siamo così spesso costretti a parlare in lingue o ritmi corporei che non sono per noi (Legge, giustizia sociale, riforma), altri percorsi di sperimentazione si aprono di fronte a noi. I modi di vivere che esistevano già all’ombra del capitale e dell’autorità possono sbocciare liberamente e nuovi che devono ancora essere creati possono emergere.