Forse è il destino di ogni concetto quello di nascere con un significato preciso, crescere poco alla volta di dimensione estendendo la propria ombra, fino ad invecchiare diventando fiacco, confuso, traballante, e magari pure rinsecchito. Come un impero che, a furia di espandersi per imporre la propria potenza, finisce per indebolirsi. Prendiamo ad esempio il concetto di negazionismo, il cui significato potrebbe essere quanto mai chiaro.
Per definizione con questo termine si indica una corrente del revisionismo la quale, attraverso l’uso di uno scetticismo storiografico portato all’estremo, non si limita a reinterpretare determinati fenomeni della storia contemporanea connessi al fascismo e al nazismo, ma in alcuni casi si spinge fino a negarne la stessa esistenza (per esempio, dell’uso delle camere a gas nei campi di sterminio nazisti).
Ora, va da sé che per la stragrande maggioranza delle persone il termine negazionismo emana un tale tanfo di carogna che può essere apprezzato solo per malafede o per ignoranza. Chi mai può essere negazionista, se non un ammiratore di Hitler o un mezzo analfabeta? Se poi si prende atto sia dell’estraneità di alcuni studiosi negazionisti all’estrema destra, sia dell’esistenza — sconosciuta ai più — di gruppuscoli più o meno bordighisti fedeli lettori di Rassinier, l’interrogativo viene formulato così: chi può essere negazionista, se non un ammiratore di Hitler, un mezzo analfabeta, o qualche imbecille di storico o di militante che inconsapevolmente fa da sponda agli ammiratori di Hitler?
Ad ogni modo, quale che sia il giudizio che se ne possa avere o il movente che li anima — all’estrema destra l’immonda necessità politica di ripulire le amate uniformi militari del Terzo Reich dal sangue delle vittime dell’Olocausto, all’estrema sinistra lo sciocco avvitamento speculativo nella ricerca di una verità storica in quanto tale rivoluzionaria —, negazionisti sono considerati coloro che mettono in discussione l’intenzionalità teorica e la realizzazione pratica dello sterminio degli ebrei. Tutto chiaro?
Sì, ma non per molto. Perché la riprovazione del revisionismo si è rivelata talmente forte ed unanime, e quindi talmente efficace a zittire chiunque ne venga accusato, da spingere a brandire questo concetto come arma polemica poliedrica, usata a proposito e a sproposito un po’ da tutti contro tutti, anche fuori dal contesto storiografico che le è proprio. Ciò è avvenuto dopo che, in un certo senso, si è abbandonata la questione specifica dell’Olocausto, che da oggetto esclusivo del negazionismo ne è diventato esempio e modello. Una volta sottoposto ad astrazione, ecco che il negazionismo si è trasformato in negazione di fenomeni storici riferiti a genocidi e crimini contro l’umanità. Ampliamento di significato che, per quanto frutto di una logica talora comprensibile, ha ottenuto l’aberrante risultato di permettere all’accusato di ergersi ad accusatore. È quanto accaduto in Italia con gli eredi del regime fascista, i quali approfittando di un governo amico hanno istituzionalmente decretato che le centinaia di cadaveri di camerati e collaborazionisti rinvenuti dopo la fine della seconda guerra mondiale nelle foibe, sul confine con l’ex-Jugoslavia, erano in realtà migliaia di italiani uccisi per la loro nazionalità e non per il regime che sostenevano. Versione faziosa eletta a verità pubblica ufficiale, sancita addirittura con l’istituzione di una pomposa Giornata del Ricordo, utile per inoculare un veleno teorico in grado di produrre col tempo un effetto micidiale: non ci sono grosse differenze fra militari nazisti e partigiani slavo-comunisti, i primi ebbero solo maggior successo dei secondi nello sterminio di un popolo. Dopo che la storiografia italica ufficiale ha avallato questa delirante interpretazione che trasforma l’inevitabile vendetta delle vittime nel tentato genocidio del popolo cui appartenevano i carnefici, gli studiosi che erano in disaccordo ed hanno dedicato numerose opere critiche per smontare il mito delle foibe si sono visti equiparare ai negazionisti dell’Olocausto, nel metodo e nelle intenzioni. Chi (al fine di difendere l’onore della Resistenza) misura la profondità delle foibe per dimostrare l’incapacità di contenervi così tanti cadaveri, sarebbe uguale a chi (al fine di difendere l’onore del nazismo) misura le dimensioni delle camere a gas per dimostrare l’impossibilità di eliminarvi così tanti prigionieri. L’intento di questi paragoni è ovvio: diffondere quanta più confusione possibile al fine di far prevalere la logica del tutti colpevoli, nessun colpevole utile a rilanciare la moda delle camicie nera e bruna.
Ora, se l’estremista di destra che nega l’Olocausto è un negazionista per democratici e sovversivi, e il sovversivo che nega la «tragedia delle foibe» è un negazionista per democratici ed estremisti di destra, ne deriva che per incappare nell’accusa di negazionismo basta contestare la verità dello Stato democratico. Perché, semplicemente, è lo Stato a stabilire cosa sia verità accertata e cosa interpretazione infondata. E più si avrà interesse a mettere questa verità al riparo da ogni critica, più la si decreterà oggettiva, più si potrà denunciare come negazionista chiunque intenda sottoporla a critica.
Lo slittamento di significato di questo concetto si è poi ulteriormente aggravato nel momento in cui è stato ripreso anche in ambito scientifico. Di recente, davanti ai pochi politici e ai molti industriali decisi a dimostrare che il pianeta gode di ottima salute, si è parlato di negazionismo climatico inteso come rifiuto testardo e irragionevole di prendere atto delle evidenze scientifiche su cui la comunità scientifica ha raggiunto un consenso in materia di inquinamento atmosferico. Questa evoluzione del concetto di negazionismo lo stravolge radicalmente: cambia l’epoca presa in considerazione, cambia l’autorità depositaria di verità da non mettere assolutamente in discussione (dallo Stato alla Scienza, per bocca della sua comunità di tecnici), cambia la «natura» della volontà di chi ha provocato il disastro (che da diretta-dolosa diventa indiretta-colposa), cambia anche la responsabilità di chi protesta contro questo presunto negazionismo (non trattandosi più di uno studioso privo di legami con quanto accaduto, bensì di una parte in causa, spesso e volentieri al servizio degli stessi devastatori dell’ambiente).
Ennesima grottesca mutazione, in questi ultimi mesi si è tacciato di negazionismo (virale?) chi ha osato osservare la sproporzione fra le misure di contenimento della pandemia in corso e l’effettiva minaccia costituita dal virus che ne è all’origine. Se nel caso dell’inquinamento atmosferico la comunità scientifica ha emesso la sua verità dopo decenni di osservazioni, confronti, esami, dibattiti, perizie, qui si è saltato ogni passaggio pur di soffocare sul nascere le perplessità e le critiche che delegittimavano la politica dei governi. Poco importa se persino due esperti virologi dello stesso ospedale, colleghi che si conoscono e collaborano da anni, hanno pareri diametralmente opposti sulla questione — non c’è tempo da perdere in discussioni faccia-a-faccia. La politica del governo, quella che pretende di contrastare una pandemia annientando ogni minima libertà personale, va difesa nell’immediato. La verità vera, univoca, incontrovertibile, è quella che di volta in volta dicono i funzionari del ministero, punto e basta. E chi non è d’accordo è solo un negazionista.
Va da sé che l’utilizzo disinvolto di questo termine rischia di non risparmiare nessuno dalla riprovazione che scatena. Se per venire accusati di negazionismo basta dissentire dal parere che in un dato momento va per la maggiore fra gli scienziati salariati del dominio, essendo solo la maggioranza quantitativa ad istituire la veridicità qualitativa, quanto tempo ci vorrà per finire tutti quanti in un medesimo esecrabile calderone, in mezzo a «No-Vax» e a «terrapiattisti»? Calderone senza fondo, riempito di continuo, perché un domani potrebbe accogliere anche chi nega l’accertata efficacia terapeutica dei farmaci, chi nega l’accertata superiorità nutritiva della dieta onnivora, chi nega l’accertata meraviglia tecnica del progresso, chi nega l’accertata ineluttabilità storica del capitalismo e dello Stato… Insomma, chiunque oserà contestare il parere di un’autorità vedrà bollare le proprie argomentazioni con questo marchio, sinonimo di ambiguità o stupidità.
La disinvolta denuncia di negazionismo manifesta solo l’incapacità di portare avanti le proprie argomentazioni, sostituendole con una comoda accusa stronca-dibattito: la maniera più sicura e sbrigativa per evitare discussioni, «vincendo» non sul campo, ma per squalifica dell’avversario. Ecco perché si tratta di una scappatoia che non viene imboccata solo da chi in alto vuole difendere le verità di Stato o di Scienza, ma anche da chi in basso non si priva di facili espedienti pur di imporre il proprio parere. Creando anche qui un interessato confusionismo. Basti pensare ai miasmi sollevati dalla furibonda polemica sui cosiddetti negazionisti di sinistra, i quali hanno avuto la pessima idea di sostenere una cosa giusta (il nazismo non ha l’esclusiva in materia di orrore statale) nella maniera più sbagliata (affermando che lo sterminio degli ebrei non è mai avvenuto). Ciò ha permesso ad alcuni prima di far osservare la sporcizia del dito per non far guardare la luna, poi di sospettare chiunque guardi la luna di avere il dito sporco. Come se chiunque critichi l’orrore democratico sia ad un passo dal minimizzare quello nazista. Deduzione priva di senso respinta anche da un noto storico, studioso fra l’altro del totalitarismo nazista e della Shoah, il quale ha criticato il presunto «isolamento del passato nazista che impedisce di coglierne i legami con gli altri fascismi europei e, più in generale, col modello di civilizzazione del mondo occidentale. Cogliere questi legami non significa “normalizzare” o riabilitare il nazismo, ma piuttosto “denormalizzare” la nostra civiltà e rimettere in discussione la storia dell’Europa». Ma è una storia quest’ultima che sono in molti a non voler mettere in discussione, considerata l’accusa di negazionismo rivolta da qualche mente paranoico-delirante, sia contro chi ha ricordato che i campi di sterminio colonialisti hanno preceduto quelli nazisti, sia contro chi all’indomani del massacro al Bataclan ha precisato di non gradire «né la loro guerra né la loro pace».
E sapete qual è il colmo? Che a lungo andare, per eccessiva e banale consunzione, la critica al negazionismo perderà ogni significato, e quindi ogni efficacia polemica. Con gran sollievo dei difensori di Auschwitz…
[30/5/20]
***
LINK ORIGINALE: https://finimondo.org/node/2488